di Diego Romeo

Ci vuole poco a riempire un Palacongressi con un “malato immaginario” in una città immaginaria, pindaricamente “la più bella” della Sicilia, oggi, “puttanissima” secondo Pietrangelo Buttafuoco. Una bella “pensata” quella dei due direttori artistici del Parco Archeologico(Gaetano Aronica) e del Teatro Pirandello(Roberta Torre) che aprono la loro stagione con “Il malato immaginario” ( sanità permettendo) al Palacongressi e “Prima facie” (donne senza giustizia) al Teatro Pirandello. In effetti due città, una con sindaco Franco Miccichè (sorretto dai giganti della montagna) e l’altra con il “sindaco” Roberto Sciarratta del Parco archeologico che una calcolata cabina di regia regionale spesso lo intende come escort di lusso o, bene che vada, una “gallina dalle uova d’oro”. Due mondi, due città che ormai si contendono ciò che resta della presunta egemonia di sinistra con profili di artisti e intellettuali (per fortuna pagati) che si barcamenano loro malgrado tra le macerie in fieri. Un dilemma che sta provocando effetti fecondi (almeno lo vogliamo sperare per le prossime tornate elettorali) in questi tempi di disordine mondiale offrendo una meditazione sulla condizione uman-girgentana che tra le tante difficoltà la “capitale della cultura 2025” è riuscita a far tracimare. Le occasioni non sono mancate per riflettere e ne sono un esempio le perle dei concetti filosofici offerte da Massimo Cacciari e un movimentismo teatrale che può per sua essenza naturale “infliggere” lezioni di vita che te le raccomando.. Per tutto questo “Il malato immaginario” visto al Palacongressi per la regia di Salvo Ficarra senza Picone può essere considerata una salutare provocazione in una Sicilia sempre più schifanizzata e cuffarizzata tanto da far apparire l’illustre Jean-Baptiste Poquelin (alias Moliere) un autore superato dalla realtà di oggi, travalicando la fiction. Salvo Ficarra sul testo di Moliere vi si abbarbica fidando nell’imprinting caricaturale della sua comicità e consapevole di affrontare la sua prima regia teatrale cura l’adattamento del testo molieriano configurandolo a suo uso e consumo. E giù comicità strategica per popoli fanciulli e musiche di Lello Analfino che riecheggia l’andante ruffianesco di certi musical americani. Gli spettatori applaudono, ridono e ridacchiano di quell’umanità e disumanizzazione. Si spera che comprendano perché senza consapevolezza tutto si ripete.