
Non è raro, navigando tra le pieghe (o le piaghe) dei social media e in alcune aree del web, imbattersi in un orientamento monolitico che, con la forza di un dogma, identifica il movente ultimo della strage di via D’Amelio nel dossier “mafia-appalti” dei Carabinieri del ROS. Una narrazione che eleva “mafia-appalti” a vero e proprio principio unificante di tutti i delitti eccellenti della stagione.
In questa lettura l’omicidio di Salvo Lima, l’attentato di Capaci e quello di Via D’Amelio, vengono incasellati come dirette conseguenze del fascicolo redatto dal Generale Mario Mori e dal Capitano Giuseppe De Donno, e l’attività investigativa del ROS, di fatto, diventa il punto zero della strategia stragista.
A questo punto, con una tale capacità di rintracciare ogni evento della storia repubblicana in quel fondamentale dossier, non stupirebbe scoprire che alcuni gruppi stiano già lavorando alla tesi – preventiva, s’intende – secondo cui anche la Crocifissione di Cristo non sia stata che una ritorsione preventiva per un’indagine, non ancora formalizzata, condotta proprio dal ROS ai danni degli appaltatori del Tempio.
Gruppi, amministratori e utenti, particolarmente impegnati nell’esaltare ogni archiviazione – se conviene – o mistificando i fatti, come ha fatto il quotidiano “Il Foglio” che ha riportato la notizia della sentenza della Corte di Cassazione che scagiona completamente Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi da ogni presunto collegamento con Cosa Nostra.
Questa pronuncia ha scatenato l’immediata reazione di senatori e deputati di Forza Italia, che si sono subito espressi con l’abituale battage mediatico per celebrare la verità ristabilita, parlando di “crollo di teorie infondate e ideologiche”, di “fine delle illazioni e delle falsità” e della cessazione della “persecuzione politico-giudiziaria”.
In realtà la Corte Suprema ha semplicemente rigettato il ricorso presentato dalla procura generale di Palermo, confermando la decisione precedente della Corte d’appello di Palermo che aveva negato la richiesta di applicazione della sorveglianza speciale e della confisca dei beni a carico di Dell’Utri e dei suoi parenti, non escludendo né negando qualsiasi rapporto con la mafia.
A fare da contraltare l’utente Facebook Isabella Silvestri, con una precisazione pubblicata dalla pagina “CONTRO TUTTE LE MAFIE” che *mette a nudo il compendio di castronerie pubblicate dal quotidiano.
A volte alcuni utenti social (non tutti) hanno una deontologia migliore di quella di taluni giornalisti…
Ma torniamo ai nostri gruppi a sostegno non si sa di chi (di Dell’Utri? Di Berlusconi? Di questa Commissione antimafia? Di Subranni, le cui parole offensive rivolte alla vedova Borsellino furono la ragione per la quale nacque il gruppo?), sono particolarmente apprezzati da una certa area politica, e anche allorquando non hanno nulla di nuovo da postare, martellano i loro lettori con interviste, post e articoli vecchi di anni (ovviamente solo ciò che porta acqua al loro mulino, guai a pubblicare qualcosa che vada in altra direzione).
È questo il caso di un post di ieri, che riguardava un articolo della primavera 2021, a firma di un giornalista noto per l’interesse del generale Mario Mori affinchè venisse nominato quale consulente della Commissione antimafia, poiché esperto conoscitore di mafia-appalti.
Uno scoop che riportava la notizia secondo la quale Falcone e Borsellino avrebbero detto che Salvo Lima era stato ucciso per il dossier mafia-appalti.
L’europarlamentare democristiano Salvo Lima, leader della corrente andreottiana, fu assassinato da Cosa Nostra a Mondello (Palermo) il 12 marzo 1992. L’agguato fu eseguito, per ordine di Totò Riina e della Cupola, dai mafiosi poi pentiti Francesco Onorato e Giovan Battista Ferrante, segnando l’inizio della stagione stragista.
L’articolo mirava a suggerire che la vera causale sarebbe stata legata al dossier “mafia-appalti” (elaborato dai Ros, Mori e De Donno, su impulso di Falcone), un’ipotesi che rafforzerebbe la causale di tutta la stagione stragista.
L’ipotesi, rappresentata come certezza, faceva riferimento alle dichiarazioni rese il 7 dicembre 1992, quando rivelò che lui, Borsellino e Falcone ritenevano possibile che l’omicidio Lima fosse scaturito dal rifiuto dell’europarlamentare di intervenire presso la Procura di Palermo per alleggerire la posizione di Angelo Siino in merito al procedimento nato dal dossier mafia-appalti.
Perfettamente inutile ricordare come nessun collaboratore nel corso degli anni abbia mai attribuito la morte di Lima a mafia-appalti, bensì indicando l’omicidio dell’europarlamentare come deciso dai vertici di Cosa Nostra, in particolare da Totò Riina, a causa del suo percepito disinteresse e fallimento nell’assicurare l’esito favorevole (l’annullamento) del Maxi Processo in Cassazione, la cui sentenza finale sfavorevole fu emessa il 30 gennaio 1992.
La sentenza del Maxi Processo, che confermò le tesi accusatorie (come riportato anche da Mutolo e Marchese che appresero la causale in carcere), fu interpretata come la prova che Lima, referente politico storico di Cosa Nostra (insieme ad Andreotti), non era più in grado di offrire le garanzie necessarie o non si era sufficientemente adoperato, collegandolo anche al Decreto Martelli (Brusca e La Barbera), come riportato dalla sentenza di Cassazione.
Giovanni Brusca riferì di aver utilizzato i cugini Salvo, fino a metà del ’91, per far giungere a Lima i pressanti messaggi di Riina affinché “insistesse” per l’aggiustamento del processo, mentre Salvatore Cancemi confermò che Riina, dopo l’esito, si lamentò dicendo: “ci dobbiamo rompere le ossa a questo Lima che non ha mantenuto l’impegno”.
Oltre a Lima, fu deciso di eliminare anche il finanziere Salvo (ucciso nel settembre 1992), e i magistrati ritenuti responsabili del successo processuale.
I progetti andavano oltre Lima, includendo l’uccisione di Ignazio Salvo, magistrati, e addirittura di esponenti politici di alto livello (come i figli di Andreotti o lo stesso Martelli, secondo La Barbera), e, secondo Siino, mentre si era ipotizzato di uccidere Lima (o Mannino) per impedire ad Andreotti di diventare Presidente della Repubblica (sempre per mafia-appalti?).
Particolare di non poco conto, che la riunione in cui l’omicidio di Lima fu definitivamente deciso avvenne circa 10 giorni dopo la sentenza della Cassazione del 30 gennaio 1992, in una villetta di Girolamo Guddo, alla quale Salvatore Cancemi fu presente con Riina, Biondino, e Ganci.
Anche Leonardo Messina attribuì chiaramente la causale all’esito del Maxi Processo.
Ma vi è di più. Il pentito Francesco Onorato, durante la sua deposizione al processo d’appello sul depistaggio di via D’Amelio, ha rivelato che dopo l’omicidio di Salvo Lima, Salvatore Biondino gli portò una lista di persone da uccidere, includendo il progetto di eliminare il dirigente di polizia Arnaldo La Barbera (anche lui per mafia-appalti?).
È di oggi la notizia di una svolta sull’omicidio di Piersanti Mattarella, con un ex poliziotto agli arresti per aver fatto sparire il guanto del killer.
Adesso che si è fatta piena luce su uno dei delitti eccellenti di quel periodo; adesso che mafia-appalti viene collegata anche agli omicidi eccellenti in Grecia, siamo certi che a breve il nostro bravo giornalista farà piena luce anche sul delitto di Mattarella (ovviamente in chiave mafia-appalti).
Gian J. Morici
*Di Isabella Silvestri:
“Non c’è una sentenza…la Cassazione ha detto qualcosa di molto diverso da ciò che tutta la stampa italiana ha sintetizzato in un titolo fuorviante.
Non si può far dire alla Cassazione ciò che la Corte non ha detto sui rapporti fra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e la mafia.
La Suprema Corte non ha ancora scritto alcuna sentenza che “esclude” Berlusconi da ogni legame con Dell’Utri, né ha detto che quest’ultimo non ha avuto rapporti con Cosa nostra.
Si è pronunciata invece sulla inammissibilità del ricorso della procura generale di Palermo, relativo al rigetto delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti di Dell’Utri, non avendo prove sulla natura illecita dello stesso.
Sono stati analizzati i versamenti milionari che per diversi anni Berlusconi gli ha fatto, sia durante il processonche durante gli anni in cui Dell’Utri è stato in carcere. Per i giudici sono i versamenti di un amico e nulla di più…
Quindi la decisione di pochi giorni fa non è una sentenza ma una decisione sulla ricevibilità del ricorso della Procura.
Non esiste un’assoluzione sulle accuse di mafia, anche perché quella è scritta in sentenze definitive, proprio dalla Cassazione che nel 2014 ha apposto il sigillo dell’irrevocabilità alla condanna di Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa.
Una condanna che non riguarda una “vicinanza sospetta” o “amicizie discutibili”, ma un patto di protezione stretto con la mafia palermitana, con i boss di Cosa nostra, finalizzato a garantire a Berlusconi sicurezza personale.
Un patto attivo dal 1974 al 1992, vent’anni di silenzi, di complicità, di denaro.
Da Repubblica: “I giudici del tribunale delle misure di prevenzione di Palermo, in virtù di questa sentenza definitiva, hanno trattato su proposta della procura, un procedimento patrimoniale e nell’ultima decisione d’appello, i giudici hanno ritenuto non dimostrato che i beni e le somme di denaro ricevute da Dell’Utri fossero di natura illecita.
Per loro si tratta di “elargizioni affettive” nate dall’amicizia profonda che aveva con Berlusconi.
Donazioni lecite che non sono state fatte per pagare il silenzio durante gli anni del lungo processo a Dell’Utri e poi quelli del carcere che ha fatto.
Dell’Utri, scrivono i giudici nelle sentenze penali, ha mediato tra Berlusconi e Stefano Bontate, capo storico di Cosa nostra. Non un passante. Non un inconsapevole. Un mediatore consapevole, determinante. Il canale. Il ponte tra due mondi che avrebbero dovuto essere incompatibili: quello della finanza milanese e quello della mafia siciliana.
Nella sentenza definitiva che condanna Dell’Utri si dice che era il tramite tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Che il patto prevedeva il versamento di “rilevanti somme di denaro” in cambio della protezione mafiosa. Che non c’era violenza, ma un accordo volontario. Una propensione a pagare per garantirsi la pace.Dell’Utri non è un perseguitato. È un condannato. Berlusconi non è un estraneo. È un attore, almeno in quella stagione, dentro un meccanismo di scambio che prevedeva danaro in cambio di protezione. Cosa nostra non è un fantasma. È un soggetto politico-criminale che ha saputo inserirsi nel cuore dello stato.Non c’è oggi, dunque, una sentenza della Cassazione che cancella i rapporti fra Dell’Utri e la mafia. Ce ne sono, invece, che le raccontano. Con la freddezza del diritto, ma con una chiarezza che nessuna propaganda può oscurare”…”