Il caso più clamoroso fu quello del depistaggio messo in atto con le sue dichiarazioni in merito alla strage di via D’Amelio dal falso pentito Vincenzo Scarantino, il ‘picciotto della Guadagna’, smascherato a seguito delle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza.
Un falso pentito che non faceva neppure parte di ‘Cosa nostra’.
Così come di ‘Cosa nostra’ non faceva parte neppure Vincenzo Calcara, altro spacciatore di borgata – così definito da diversi collaboratori di giustizia la cui appartenenza a ‘Cosa nostra’ è certa – utilizzato per decenni per avvalorare congetture e falsità funzionali a depistare indagini anche su fatti gravissimi.
Falsi pentiti posti sull’altare di una giustizia talvolta distratta, che li ha proposti all’opinione pubblica quasi come fossero eroi.
Di certo non possiamo dire che Maurizio Avola non sia stato un mafioso.
Lo è stato, ha commesso molti omicidi, circa ottanta, ed è considerato uno dei pentiti più importanti del catanese.
Tornato alla ribalta delle cronache a seguito della rivelazione della sua partecipazione alla strage di via D’Amelio, rispetto la quale nega il coinvolgimento di mandanti esterni, la sua credibilità viene messa in discussione dai pm di Caltanissetta, con un giudizio fortemente negativo.
Nel corso di un’intervista rilasciata nel 2021 a Michele Santoro (che ha anche scritto un libro in merito alle dichiarazioni del pentito), Avola raccontò della sua partecipazione all’attentato nel quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della scorta.
Un’intervista che suscitò la reazione dell’allora capo della Direzione distrettuale antimafia nissena, Gabriele Paci, che nello smentire i fatti narrati da Avola evidenziò come la pubblicazione del libro e le interviste rilasciate avessero compromesso l’esito di future indagini.
Molti i dubbi sulla veridicità delle sue dichiarazioni, rese per la prima volta l’anno precedente nel corso di un interrogatorio svoltosi davanti ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia nissena, dopo oltre 25 anni dall’inizio della sua collaborazione.
Tra le sue dichiarazioni più importanti relativamente alla strage di via D’Amelio – oltre la sua personale partecipazione e quella di Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Aldo Ercolano ed altri – l’avere escluso la presenza di agenti dei servizi segreti nella fase preparatoria dell’eccidio, ma solo uomini di Cosa nostra.
Il sospetto che fosse presente un uomo estraneo alla mafia nasceva dalle dichiarazioni di Spatuzza il quale aveva riferito di aver visto nel garage dove venne imbottita di esplosivo l’auto per l’attentato, una persona che non conosceva.
Avola ha poi dichiarato che era lui o Ercolano l’uomo che Spatuzza non conosceva.
Molto scettica in merito alle dichiarazioni di Avola era stata Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice morto in via D’Amelio, la quale aveva chiesto la massima cautela e che ogni dichiarazione fosse riscontrata.
Ad oggi, i dubbi sono ancora tantissimi, ma nonostante ciò una certa ‘corrente di pensiero’ che attribuisce a sola ‘Cosa nostra’ le stragi, ha già posto sull’altare il pentito che ‘scagiona’ possibili mandanti esterni.
Servizi segreti, politica, un piano per destabilizzare il governo dell’epoca, vengono negati in modo particolare da una certa stampa, per dare spazio solo agli interessi di ‘Cosa nostra’ legati all’indagine mafia-appalti condotta dai Ros del generale Mario Mori.
A prescindere dalle stragi l’obiettivo pare quello di salvaguardare una parte politica rispetto i rapporti intrattenuti con la mafia.
Paradossalmente a fare cenno alle dichiarazioni di Avola rispetto questi aspetti, è lo stesso legale del pentito, Ugo Colonna, sentito il 5 aprile 2024 in Commissione antimafia:
- Maurizio Avola quando nel 1994 inizia a collaborare dice delle cose molto gravi, che riguardano, ad esempio, gli incendi della Standa avvenuti a Catania o fa tutta una serie di riferimenti avvenuti nel 1995. Questo per dire che non è assolutamente vero che Avola, quando dice che non c’entrano nelle stragi Berlusconi e Dell’Utri, lo fa per aiutarli. Non è vero. Lui, coerentemente, ha sempre detto, dal 1994 che Marcello Dell’Utri c’entra e l’ha denunciato. Tant’è vero che Marcello Dell’Utri nel 1995 gli fa una denuncia per calunnia, perché tutta questa vicenda nasce da Catania, dagli interrogatori di Catania, dove fanno gli accertamenti sui piani di volo, di quando scendevano in epoca antecedente e prossima all’esplosione di questi attentati da Far West che la Standa subì a Catania. Lui praticamente comincia a raccontare questa vicenda di Dell’Utri del 1995.
Un aspetto, questo, che i pennivendoli impegnati in campagne pro e contro – magari per ragioni personali – così come le casalinghe ‘facebucchiane’ assurte al ruolo di abili giuriste investigative, tendono ad omettere da articoli e post.
“Non esistono uomini dei servizi collusi! Non è mai esistito alcun piano eversivo, men che meno dell’estrema destra! La mafia non prende ordini!”, è il ritornello costantemente pubblicato da qualche quotidiano e in innumerevoli post sui social .
La mafia non prende ordini, è vero, ma esistono interessi in comune con altri e qualche ‘favore’ la mafia lo fa, come il progetto di eliminare l’ex pm Di Pietro per fare un ‘favore’ ai socialisti.
- Nel 1996 – prosegue l’avvocato Colonna – quando lui all’inizio dice che avrebbero voluto uccidere pure il dottor Di Pietro, non gli credono. Poi, a settembre 1996, quando collabora Brusca, quando anche Brusca dice questo fatto, che peraltro non lo sa, perché è una cosa che decidono i catanesi autonomamente e racconta nel 1996 tutte queste vicende.
Se da un lato viene ‘accantonato’ il coinvolgimento di uomini dell’estrema destra, dall’altro non si può non notare come sempre più spesso vengano fuori nomi di soggetti legati a questa fazione politica, rispetto i quali viene sempre fatto accenno a rapporti con uomini dei servizi segreti, come nel caso di Saro Cattafi, mafioso, estremista di destra e collegato ai servizi segreti:
- Colonna: – Nel mentre si parla di questa riunione dell’Hotel Excelsior – su cui Avola parla non solo a Caltanissetta, a Palermo ma anche con il dottore Chelazzi a Firenze, dove verrà sentito poi nel 1997, nel processo delle stragi del continente – riferisce e collega il nome di Saro con Cattafi e lo fa in più interrogatori in realtà, ma comunque certamente nell’interrogatorio del 16 luglio del 1998 […] Sparacio era il capo di Messina. Siccome si parlava di Alfano e di altri soggetti dice: «Non ne sono sicuro, c’era un altro messinese, uno che si è incontrato con Carletto Campanella al carcere. Questo diceva che apparteneva ai servizi segreti. Saro Cattafi. Per tutta onestà, però, vorrei dire una cosa. Cattafi l’ho saputo dopo che si chiamava Cattafi. Io l’ho indicato sempre come un certo Saro». In effetti, parla sempre di Saro o Sariddu. «Ricordo l’interrogatorio con il dottore che mi interrogava sull’omicidio del giornalista. È uscito fuori questo cognome e l’ho registrato, ma effettivamente l’ho sempre chiamato Saro dei servizi segreti che si è incontrato con Carletto Campanella al carcere di Cuneo». Quindi, noi abbiamo un dato, con riferimento alle date, assolutamente certo. Avola nel 2017 non si inventa la revisione per aiutare Cattafi e la destra eversiva delle stragi e tutte quelle cose che ho sentito dire. A parte il fatto oggettivo che non l’ha nominato nei primi interrogatori, è dal 1999, su un verbale… […] E l’ho chiamato sempre «Saro dei servizi segreti», che si è incontrato con Carletto Campanella. Queste sei persone, Marcello D’Agata, Galea, Alfano, Pacini Battaglia e altri soggetti, si incontrano in questo hotel, dove si programma una certa cosa. Siamo nell’estate del 1992. Per favore, stiamo attenti, perché questo è importante. Lui dice: non c’entra niente l’attentato a Di Pietro con le stragi, questo è un favore che dovevamo fare noi ai socialisti. Tant’è vero che non era prevista la strage, ma era previsto un omicidio con arma corta, fatto in un certo contesto, che lui, ovviamente, poi racconta a parte. Questo tengo a precisarlo per alcune chiarificazioni successive. Poi, nel 1993, vengo arrestato, quindi io non so cosa succede […] Poi domandano chi era questo Saro. Aveva contatti con i servizi segreti. Non hanno mai approfondito. Sono, casomai, ‘Cosa nostra’ o gente vicina a cosa nostra che fa il favore ai servizi o alle persone, non è mai il contrario, che i servizi fanno gli omicidi a ‘Cosa nostra’. Lui cerca di spiegarlo perbene. Poi, aveva contatti con Gullotti. A un certo punto lui ritorna sul discorso di Saro, chiamandolo sempre Saro. Lui parla di Saro Cattafi e il dottore Petralia dice: «proprio come Cattafi o come Saro?». «Come Saro, scusi. Ci faceva i servizi, aveva grossi agganci e faceva i favori ai servizi». Però, lui comunque ormai si era convinto che quel Saro era di Barcellona, veniva con Gullotti, dice che probabilmente è lui. Lui affida questo dato oggettivo in termini di incertezza”- così come è sempre Avola a parlare di un altro mafioso estremista, Pietro Rampulla, l’artificiere della strage di Capaci:
Avv. Colonna: «Per quello che ne so io» dice Avola «Rampulla già da ragazzo era nero. Metteva bombe ed era di estrema, estrema, estrema destra »Cosa volete più? Avola nel 2019 non solo conferma quello che ha detto prima, ma riconferma che il soggetto esperto di esplosivi era di destra. Non di «estrema», ma «estrema, estrema»
Certamente è una casualità, ma non si può non tener conto di come nelle stragi cosiddette di Stato, compaiano estremisti di destra e appartenenti ai servizi segreti, quei servizi per i quali utilizzare il termine ‘deviati’ (ovviamente gli uomini, non i servizi n quanto tali) suscita sempre le ire funeste di pennivendoli e casalinghe depresse in cerca di momenti di gloria, nonostante sia lo stesso avvocato del pentito a dichiarare in commissione: “Vi ricordo che è Avola nel 1994 a parlare dei servizi […] Ma Avola non dice che non ci sono i servizi segreti deviati. Avola parla di riunioni a Sigonella prima delle stragi”.
Ma v’è di più, e lo dichiara Michele Santoro, anche lui audito in Commissione antimafia, a proposito di omicidi commessi per fare ‘favori’ ai servizi segreti:
- Per quanto riguarda i delitti commissionati dai servizi segreti, queste sono cose che sono emerse successivamente al libro durante le intercettazioni che sono state fatte ad Avola, di cui io francamente non ero a conoscenza…
Come hanno affermato in Commissione antimafia sia l’avvocato Colonna che Santoro, riportando le parole di Avola, i servizi non uccidono per conto di ‘Cosa nostra’, ma viceversa, a fare i ‘favori’ ai servizi è ‘Cosa nostra’.
La mafia non prende ordini – sarebbe anche ‘brutto’ da dire – ma fa favori, e Avola di omicidi commessi per conto dei servizi ne ha parlato.
Un aspetto che avrebbe meritato maggiori approfondimenti, è quello relativo alle dichiarazioni di Avola in merito alle riunioni a Sigonella prima delle stragi.
Una ‘presenza americana’, stando alla narrazione di Avola, sarebbe quella di un uomo della famiglia Gotti-Gambino, esperto in materie esplodenti, venuto ad addestrare gli uomini di ‘Cosa nostra’, è sempre l’avvocato Colonna, il difensore di Avola, a dirne in Commissione antimafia:
- Maurizio Avola parla dello straniero che viene fuori non nel 2017, 2016, 2010, 2005 o 1999, bensì il 5 maggio 1994. Maurizio Avola dichiara – questo lo voglio dire a voce alta – che sono coinvolti personaggi stranieri nell’esecuzione – poi vedremo a livello di quale tipo di concorso – nel verbale del 5 maggio 1994 […] La legislazione del dottor Falcone è un pericolo per l’intera cosa nostra, perché cosa nostra americana, i Gambino soprattutto, che avevano già sotto procedimento un elemento importantissimo, che era John Gotti, anche se mal visto […] Perché? Perché morendo Falcone, non ricostruendo i rapporti con il procuratore distrettuale, il processo ai Gambino non viene fatto. I Gambino non hanno preso l’omicidio. Uno dei Gambino è morto a novantanove anni, uno o due anni fa. L’altro figlio dei Gambino è ancora vivo e vegeto. Le cinque famiglie di New York sostanzialmente non hanno più avuto problemi a livello giudiziario negli Stati Uniti d’America, a New York. E New York è il centro del mondo occidentale, dove cosa nostra non è che era forte ai tempi dei sottomarini tedeschi, ha avuto un ruolo, anche su altri fatti gravi che si sono verificati, elevatissimo.
Ma cosa c’entra Sigonella con un uomo di mafia venuto da New York?
La domanda andrebbe posta ad Avola, chiedendo di identificare i luoghi degli incontri, avvenuti in una località dove qualsiasi presenza non passa inosservata neppure se a chilometri di distanza, visto che è la contrada dove esiste una base aerea sede del 41º Stormo AntiSom, dello Squadrone eliportato carabinieri cacciatori “Sicilia” e che ospita inoltre la Naval Air Station Sigonella, della Aviazione di marina statunitense.
Aveva torto Fiammetta Borsellino a chiedere la massima cautela e che ogni dichiarazione di Avola fosse riscontrata?
È credibile Avola? E se lo è, perché le notizie non vengono riportate per intero, compreso i riferimenti a Dell’Utri, a omicidi da commettere o commessi per fare favori a partiti politici o a servizi segreti?
Ovviamente, questi aspetti dell’audizione dell’avvocato Colonna non avrete modo di leggerli negli articoli di ‘giornalisti orientati’ e neppure nei post di casalinghe depresse.
Gian J. Morici