“Sono qui per dire che se accade qualcosa a Maurizio Avola sappiamo contro chi rivolgere il dito”.
Sono parole del giornalista Michele Santoro in Commissione antimafia.
Santoro, che con Guido Rutolo aveva scritto un libro in merito alle dichiarazioni del pentito Maurizio Avola, era stato indagato, pedinato e intercettato, e poi sospettato di depistaggio.
Così come raccogliere le dichiarazioni di un pentito e riportarle in un libro non può voler dire rendersi complice di un depistaggio, altrettanto non possiamo affermare che se accadesse qualcosa al collaboratore di giustizia la responsabilità deve ricadere su chi lo ha ritenuto inattendibile rispetto talune dichiarazioni.
Secondo Santoro “Avola viene trattato così perché ha detto che lo sconosciuto che (Spatuzza – ndr) afferma di aver appena intravisto nel garage dove aveva portato la macchina rubata con la quale è stata costruita l’autobomba per via D’ Amelio, non era un agente dei servizi segreti ma un catanese, lui stesso o più presumibilmente Aldo Ercolano”.
Per il giornalista Avola è attendibile per il fatto di aver fornito un racconto in prima persona su via D’ Amelio e perchè in precedenza si era accusato di cinquanta omicidi sui quali non esistevano prove prima che lui ne parlasse.
Avola aveva ricostruito il ruolo dei catanesi nelle stragi del ’92, ricordando che Santapaola era contrario alle stragi e che aveva tenuto fuori il suo territorio da azioni stragiste, ma che per sopravvivere aveva dovuto permettere ad Aldo Ercolano di assecondare la strategia di Riina e di prendervi parte.
Nasce da qui la prima contraddizione di Santoro nella ricostruzione dei fatti, che da un lato afferma che non esiste la super cupola che decideva e imponeva a mandamenti e Commissioni provinciali di ‘Cosa nostra’ i crimini da commettere, dall’altro lato riporta il fatto che un boss con lo spessore di Nitto Santapaola aveva dovuto chinare il capo dinanzi la decisione di Riina, poiché diversamente avrebbe messo a rischio la propria incolumità.
Che rifiutarsi di eseguire un ordine di Riina equivalesse a una condanna a morte non v’è dubbio, come narrato dal pentito Carlo Zichittella nel processo a carico di Matteo Messina Denaro per le stragi del 1992, a proposito dell’uccisione dei capimafia Francesco D’Amico e Francesco Craparotta; così come per l’uccisione del boss Vincenzo Milazzo.
Stupisce – anzi, non stupisce affatto – che qualche giornalista, esperto di mafia, stragi e quanto altro , che evidentemente prima nutriva grandi speranze rispetto quanto avrebbe dichiarato Santoro in Commissione antimafia, abbia scritto il solito articolo che pone al centro delle stragi del ’92 come unico movente il dossier mafia-appalti, e unico responsabile ‘Cosa nostra’.
Santoro, pur escludendo – secondo la ricostruzione di Avola – la presenza di uomini dei servizi segreti nella fase preparatoria ed esecutiva della strage di via D’Amelio, fa importanti dichiarazioni in merito alla strategia stragista concepita da ‘Cosa Nostra’ per destabilizzare il sistema in crisi dentro il quale era cresciuta, e che pur di sopravvivere minacciava la sua esistenza, parlando dell’ omicidio Lima che affossa la candidatura di Andreotti alla presidenza della Repubblica e dell’annientamento della Prima Repubblica per trovare nuovi interlocutori accanto a cui continuare esistere.
Fatti ai quali sarebbe legata la morte di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.
Un disegno di destabilizzazione che si continua in maniera pervicace a voler negare.
“Appalti o non appalti Borsellino doveva morire” – dice Santoro, aggiungendo che a giugno, subito dopo la strage di Capaci, ‘Cosa nostra’ non ha agito da sola e “tanti soggetti si sono mossi: massoneria, servizi segreti deviati, politici”.
A qualcuno sarà andato di traverso il fatto che Santoro abbia fatto riferimento anche ai servizi, ma tant’è, del resto se Avola per i fautori di mafia/appalti è credibile, dovrebbe esserlo anche quando parla di servizi deviati.
Avola è lo stesso collaboratore di giustizia, che avendo sempre escluso la presenza di mandanti esterni a ‘Cosa nostra’ nelle stragi di Capaci, via D’Amelio, Firenze, Roma e Milano – che secondo la sua ricostruzione non esistono – nel corso di un incidente probatorio ha fatto rivelazioni inedite: “Ho commesso degli omicidi fuori dalla Sicilia per conto dei servizi segreti prima di essere arrestato ma sono cose troppo gravi ed io non ne posso parlare perchè rischio di scomparire dalla sera alla mattina”.
L’aspetto più grave della vicenda, laddove si potrebbe ipotizzare un progetto depistatorio – ovviamente per Avola e non per Santoro che fa il giornalista – è il fatto che le sue più recenti dichiarazioni, riportate nel libro e rilasciate a distanza di decenni narrando fatti dei quali non aveva mai parlato prima, mettono in discussione quanto affermato da Gaspare Spatuzza, il collaboratore che smascherò il falso pentito Vincenzo Scarantino, autore del depistaggio sulla strage di via D’Amelio.
È Santoro che illustra in Commissione come ‘Cosa nostra’ a un certo punto ritiene di “essere in realtà stata indicata come capro espiatorio per i protagonisti della Prima Repubblica per salvarsi, e quindi decreta l’inizio di una strategia stragista che ha termine quando la Prima Repubblica viene completamente seppellita e si crea una situazione completamente nuova sul piano politico. Che ad agire perché questo avvenisse siano stati soggetti vari lo dico, lo ribadisco, ed è evidente… ma è evidente anche dal fatto che per esempio i primi club, forse non vi ricordate, ma Forza Italia nasce con questa organizzazione dei club, vengono a crearsi il primo… il secondo… non mi ricordo, non mi ricordo esattamente l’ordine, uno a Milano in casa di Rapisarda che era un colletto bianco vicino agli ambienti mafiosi, e uno in un altro appartamento di proprietà dei Graviano. Dire che quindi loro hanno visto con simpatia alla nascita di quel movimento diciamo, è del tutto ovvio, anche perché quel movimento inizialmente si proponeva una forte accentuazione anche di tipo garantista e loro hanno sempre appoggiato diciamo chi faceva del garantismo”.
Santoro a proposito delle dichiarazioni di Avola su mafia e politica, nel suo libro riporta un’affermazione di Avola secondo la quale “non è che il politico mi dà l’ordine, lo faccio per convenienza ,così il politico ha un conto in sospeso da pagare” e aggiunge che, in riferimento alle stragi nessuno ha dato ordini a ‘Cosa nostra’.
Che la mafia non prenda ordini significa voler banalizzare il rapporto e le cointeressenze da parte del mondo politico e imprenditoriale nelle stragi.
Del resto sarebbe inimmaginabile pensare a un Andreotti o un Berlusconi che sollevavano la cornetta del telefono per dire a Riina: uccidi Tizio o Caio.
Verrebbe però da chiedersi se è lo stesso Avola che al cosiddetto processo trattativa Stato-mafia aveva dichiarato che avrebbero dovuto uccidere Antonio Di Pietro, l’allora magistrato di ‘mani pulite’, per fare un favore ai socialisti, raccontando che era stato chiesto nel corso di un incontro all’Hotel Excelsior di Roma, in cui erano presenti Cesare Previti, il finanziere Pacini Battaglia, i boss Eugenio Galea e Marcello D’Agata, Michelangelo Alfano e un certo Sariddu che poi scoprì essere Saro Cattafi, soggetto vicino ai Servizi.
La mafia dunque non prende ordini ma fa favori?
Delle due l’una: o tra mafia, politica, pezzi di apparati dello Stato e mondo economico ci sono interessi convergenti che li vedono alleati in un progetto criminoso come omicidi e stragi, o Avola ha mentito spudoratamente.
E che Avola abbia mentito non v’è dubbio, o mentì in precedenza o ha mentito con quanto dichiarato a Santoro.
Del resto sono parole di Borsellino, non mie, “politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.
“Per quanto riguarda i delitti commissionati dai servizi segreti – dichiara Santoro in Commissione – queste sono cose che sono emerse successivamente al libro durante le intercettazioni che sono state fatte ad Avola, di cui io francamente non ero a conoscenza, e io ho cercato sempre, per quanto riguarda Avola, di dire tu parla delle cose che sai che approvi…perché già c’è questa situazione… cerca di dire la verità e di corredarla di tutti gli elementi che possono portare individuarla come tale. Cè, ripeto, non lo nego, che Cosa Nostra abbia avuto contatti con i servizi segreti, non nego che abbia avuto uno scambio di favori sia con i servizi segreti, con alcuni elementi dei servizi segreti, sia con la politica può essere capitato ci riferiamo soprattutto credo a qualche delitto che riguarda la banda della Magliana… quindi potrebbe essere avvenuto, io non ne ho mai parlato con lui e quindi non posso esserle utile a questo riguardo…”.
Tutto questo, così come tanto altro che renderebbe troppo lungo l’articolo perché possa con facilità essere letto, lo ha dichiarato Michele Santoro in Commissione antimafia.
Quanto di tutto ciò avete letto sulla stampa di oggi, in particolare su quella prona, schierata in maniera acritica su mafia/appalti?
Sicuramente nulla.
Chi è Maurizio Avola.
Maurizio Avola è un pentito che ha commesso decine di omicidi, circa ottanta, il più importante del clan catanese.
Quanto è credibile quando parla della strage di via D’Amelio?
Stando alle testimonianze, la scorta di Borsellino arrivò a sirene spente, a differenza di quanto narrato da Avola che sentì arrivare le auto a sirene spiegate.
Un particolare non di poco conto visto che Avola dice che era lì.
Al Borsellino ter dichiarò che nessun catanese era coinvolto nella strage, salvo poi, successivamente, affermare che sia lui che Ercolano erano stati coinvolti nell’operazione.
Nel 1996 raccontò del progetto di uccidere Di Pietro, dell’incontro all’Hotel Excelsior di Roma, al quale erano presenti Cesare Previti e Pacini Battaglia, oltre a boss e mafiosi vicini ai Servizi, ma mai nulla ebbe a dire della strage di via D’Amelio alla quale avrebbe preso parte.
Un personaggio controverso le cui più recenti dichiarazioni colpiscono come un maglio la credibilità di Spatuzza, rimettendo tutto in discussione.
Quella stampa che mette Avola sull’altare, vuole spiegare perché è attendibile quando esclude la presenza di mandanti esterni alle stragi, quando esclude appartenenti ai servizi segreti, quando esclude la politica, mentre non lo era quando tirava in ballo l’ex ministro Cesare Previti, quando parlava di servizi segreti deviati, quando dice di omicidi commessi per conto dei servizi segreti, quando raccontò dell’attentato che avrebbero dovuto fare in danno di Antonio Di Pietro, per fare un favore ai socialisti?
Perché Avola decise di raccontare della strage di via D’Amelio a distanza di così tanti anni da quando iniziò a collaborare con la giustizia?
Chi non ricorda da adolescenti quando si toglievano uno ad uno i petali della margherita per sapere se una persona era innamorata di noi?
Bene, forse per alcuni Maurizio Avola è un pentito/margherita, solo che al posto del ‘mi ama’, ‘non mi ama’ si usano i petali ‘vero’, ‘falso’, riportando ciò che è utile a perorare questa o quell’altra causa.
È così che leggendo i giornali, sempre più spesso mi chiedo: ma è veramente farina del sacco del giornalista, o…?
Gian J. Morici