A parlare di omicidio politico del Generale Dalla Chiesa è stata la figlia Rita nel corso di una intervista concessa a Luisella Costamagna a Tango, su Rai 2, facendo riferimento a un soggetto politico senza farne il nome, raccontando però come il politico avesse detto al padre di non mettersi contro la sua corrente politica perché chi lo aveva fatto era sempre tornato in una bara.
“Ma se io dico Andreotti?” – ha chiesto la Costamagna.
Una domanda alla quale ha fatto seguito il silenzio di Rita Dalla Chiesa, che ha indotto la conduttrice a concludere dicendo: “Un silenzio che mi sembra un assenso”.
Già in passato Rita Dalla Chiesa aveva raccontato del colloquio del padre con Andreotti, appreso dai diari del padre che Falcone gli aveva fatto leggere e dei quali aveva parlato Rocco Chinnici.
Non stupiscono e non possono stupire le parole di Stefano Andreotti in difesa della figura paterna, ricordando come tra suo padre e il generale “ci fosse un rapporto di grande stima reciproca”, nonché il racconto del contenuto delle lettere che l’ex Presidente del Consiglio aveva consegnato ai figli per leggerle dopo la sua morte, sulle quali era scritto “io giuro davanti a Dio di non avere avuto niente a che vedere con la Mafia, se non per combatterla, né con le uccisioni di Dalla Chiesa e Pecorelli”.
Ciò che lascia basiti è parte della stampa e i commenti sui social.
C’è chi infatti riporta quanto disse Riina intercettato in carcere rivendicando la responsabilità mafiosa nell’omicidio, precisando che se ci fosse stato il minimo sospetto concreto Giovanni Falcone non avrebbe mai accettato l’incarico al ministero della Giustizia durante il governo Andreotti, completando con un finale colpo da maestro la santificazione di Andreotti, riportando che proprio lui fece leggi durissime contro la mafia, anche forzando il diritto.
Prescindendo dal delitto Dalla Chiesa, mai un capomafia avrebbe ammesso di essere stato strumento di altri e chi scrive sembra voler adoperare sentenze e collaboratori di giustizia quasi a voler orientare mediaticamente il tutto in una sola direzione, quella di mafia-appalti come unico movente di tutti i fatti di sangue avvenuti in Sicilia dai primissimi anni ’80 fino ad arrivare alle stragi di Capaci e Via D’Amelio.
Sentenze di assoluzione – come nel caso della cosiddetta Trattativa Stato-mafia e altre – da considerare Vangelo; sentenze parzialmente Vangelo nelle parti assolutorie, e da dimenticare per i reati andati in prescrizione.
Ricordare che proprio Andreotti fece leggi durissime contro la mafia, dimenticando il non doversi procedere per prescrizione nei confronti del politico in ordine al reato di associazione per delinquere commesso fino alla primavera del 1980 – ovvero che fino alla primavera del 1980 era stato colluso con Cosa Nostra – non soltanto è un’enorme castroneria, ma forse anche indice di malafede.
Ad accusare Andreotti per avere intrattenuto rapporti con Cosa Nostra erano stati 41 pentiti, compreso coloro i quali – come nel caso di Angelo Siino – vengono utilizzati per perorare la causa dei ‘mafioappaltisti’.
Pentiti credibili un giorno, e l’altro meno…
I rapporti tra Andreotti e mafiosi del calibro Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti sono sanciti da sentenza definitiva.
Che Andreotti fosse consapevole – o quantomeno avesse dubbi – in merito allo spessore criminale di Vito Ciancimino, lo dimostra il sospetto che lo stesso potesse in qualche modo avere una responsabilità nell’omicidio di Salvo Lima, tanto da averne chiesto a Susanna Lima, figlia dell’europarlamentare assassinato.
Andreotti sapeva chi fossero i suoi referenti politici in Sicilia e i rapporti che gli stessi intrattenevano con il sodalizio criminale, del quale talvolta erano organici.
Tirare in ballo Giovanni Falcone per santificare Andreotti, affermando che se ci fosse stato il minimo sospetto non avrebbe mai accettato di lavorare presso il Ministero della Giustizia durante il governo Andreotti, appare di una volgarità indecente da parte di chi avrebbe il dovere di fare informazione.
Se Falcone avesse avuto dubbi in merito ai rapporti di Andreotti con Badalamenti e Bontate, avrebbe accettato l’incarico?
È evidente che il giudice non avesse di questi dubbi, ma ciò non toglie la sostanza ai fatti.
Se come scrive qualche giornalista ‘dovrebbero essere i fatti a contare, non le illazioni’, non dovrebbero contare neppure gli ‘alibi artatamente creati’ facendo consumo e meretricio nell’uso dei nomi di Borsellino e Falcone.
Andreotti, secondo sentenza di Cassazione, aveva rapporti con i vertici di Cosa Nostra precedenti all’ascesa dei corleonesi di Riina e Provenzano.
Se l’omicidio fu opera dei corleonesi, si potrebbe escludere che mandante ne fu l’ex Presidente del Consiglio.
Rimane un punto sul quale tutti dovremmo riflettere: la questione morale.
Andreotti, persi i suoi riferimenti in Cosa Nostra, prese le distanze dai corleonesi, ma questo è sufficiente ad assolvere sotto il profilo morale il sette volte presidente del Consiglio e trentaquattro volte Ministro della Repubblica, il quale con la vecchia mafia – direttamente e per tramite dei suoi rappresentanti in Sicilia – intratteneva rapporti politici e amicali?
C’è un prima e un dopo in Andreotti – come il Giano Bifronte – il quale aveva capito che se voleva guardare al futuro questo non poteva essere accanto a uomini dalla lupara facile.
La rottura che avvenne con l’omicidio di Piersanti Mattarella.
La risposta alla rottura fu l’omicidio di Salvo Lima, il cui nome – quando Andreotti lo nomina come sottosegretario nel 1974 – era già comparso varie volte nelle relazioni della Commissione parlamentare antimafia ed era stato oggetto di quattro richieste di autorizzazioni a procedere nei suoi confronti.
Che l’omicidio Lima fosse la risposta dei corleonesi alla presa di distanze da parte di Andreotti, in Sicilia lo avevano capito anche le pietre.
A tal proposito voglio citare un aneddoto che mi riguarda (facilmente dimostrabile).
Nel ’90 avevo affittato un immobile della mia famiglia come sede di un organismo dello sport in Italia.
Uno o due mesi dopo, oltre la targa dell’organizzazione sportiva, su uno dei due ingressi dell’appartamento compariva la targa ‘Circolo Amici di Giulio Andreotti’, al quale evidentemente all’interno avevano dedicato parte dei 400mq dell’appartamento.
Fatto del quale lì per lì non m’interessai, poiché la pigione veniva regolarmente pagata.
Dopo l’omicidio Lima – senza motivo apparente – la targa ‘Circolo Amici di Giulio Andreotti’ venne immediatamente rimossa.
Il segnale era chiaro.
C’era la consapevolezza, da parte degli amici di Andreotti, che l’omicidio Lima non riguardava l’uomo, ma era la risposta della nuova ‘dirigenza’ di Cosa Nostra che si sentiva tradita dall’alleato politico che per decenni aveva saputo mantenere gli equilibri per tramite dei propri uomini sul territorio.
Una chiave di lettura chiara per chiunque abbia respirato aria di Sicilia, e non certo per aver stappato una bottiglia di gazzosa in una regione del Nord.
Quella di Andreotti e delle sue leggi, fu lotta alla mafia, o lotta ai corleonesi?
E quella di chi scrive parziali verità e utilizza a proprio uso e consumo sentenze e pentiti, è vero giornalismo?
Gian J. Morici