Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani propone la tragica storia di Rosalia Pipitone, assassinata il 23 settembre 1983 a Palermo, attraverso le riflessioni di un giovane studente Giuseppe Carchivi della classe IV sez. C del liceo scientifico Filolao di Crotone.
“Rosalia Pipitone nasce in una delle famiglie più note fra i clan di Cosa Nostra; figlia del boss Antonino Pipitone, capo indiscusso del quartiere popolare Acquasanta e stretto collaboratore di Totò Riina. La ragazza cresce sotto il costante e ossessivo controllo del padre, rendendosi conto, fin da giovane, della terribile realtà che la circonda. Il genitore, infatti, è molto irascibile e violento in famiglia determinando malessere fra i suoi congiunti. Quando la bambina rimase orfana della madre, perse l’unica figura di riferimento alla quale potesse affidarsi nel suo contesto difficile. Dopo un simile duro colpo, la giovane non si demoralizzò e decise di ribellarsi pian piano al padre facendo valere le sue passioni, spesso denigrate e ignorate, iscrivendosi ad un liceo artistico e opponendosi al percorso di vita impostole dal genitore senza mai, però, riuscire a superare le stringenti barriere che limitavano la sua libertà sia personale che culturale. Lia, infatti, venne continuamente pedinata dagli scagnozzi del club di Cosa Nostra e costretta a limitare le sue attività sociali sotto la pressione di rigidi orari. L’unico luogo in cui la mano della mafia non può perseguitarla direttamente è la scuola; infatti, è proprio qui che la ragazza strinse le sue maggiori amicizie e conobbe quello che in poco tempo diventerà il suo ragazzo: Gero. Proprio con lui Rosalia decise di manifestare pienamente la sua ribellione nei confronti del padre, sfidandolo direttamente, fuggendo via da Palermo col suo amato e sposandolo. Dal loro legame intenso nacque anche un figlio chiamato Alessio, il quale venne cresciuto con amore dalla madre. Il padre però stava già pianificando un modo per far tornare la figlia, come se fosse una delle sue proprietà, riuscendoci nel momento in cui quest’ultima si separò dal marito. Tornata a Palermo, Lia è costretta nel ruolo della classica ‘’donna di mafia’’, confinata sempre dentro casa e sottomessa al controllo degli uomini. Eppure non chinò la testa e continuò a sognare una vita diversa, lontana dalle regole patriarcali e rigide imposte dalla famiglia. Col passare del tempo continuò a contestare apertamente le sue dure condizioni di vita, intaccando la reputazione del padre fra i clan locali. La situazione, che era già pessima, degenerò quando Antonino scoprì della segreta amicizia e supposta relazione extraconiugale fra Rosalia e il lontano cugino Simone Di Trapani. La notizia scatenò una drastica reazione da parte del boss mafioso, il quale decise di prendere seri provvedimenti e in numerose occasioni dichiarò: ‘’meglio una figlia morta che separata’’. È infatti il 23 settembre 1983 che le azioni di Lia determinarono conseguenze terribili; la ragazza si ritrovò in Via Papa Sergio e viene coinvolta in una rapina. Nel mezzo della confusione, venne centrata da un colpo di pistola sparato da uno dei due cosiddetti rapinatori. Alcuni testimoni, infatti dichiararono, in seguito, di aver visto i due uomini seguire Lia fino al locale in questione, inducendo a pensare che i due soggetti fossero difatti esecutori di Cosa Nostra, inviati direttamente dal padre della ragazza. Ulteriore prova di questo malefico piano fu il presunto suicidio dell’amico Simone, avvenuto proprio il giorno dopo, anche questo inscenato da due killer inviati dai clan locali. La vicenda giudiziaria venne studiata approfonditamente, portando, però, per molti anni ad un nulla di fatto poiché le varie dichiarazioni si basavano solo su un generico ‘’sentito dire’’. Solo nel 2012, sotto le incessanti richieste del figlio Alessio, la Procura di Palermo ha riaperto le indagini su questo particolare caso. Tramite le ricostruzioni si è capito che il boss Nino Madonia prese la decisione di uccidere la giovane Rosalia, poiché stava causando troppi problemi alla mafia locale e, sotto conferma di Antonino Pipitone, decise di ucciderla. La contorta vicenda giudiziaria e tutta la storia riguardante la giovane Rosalia sono ancora oggi fortemente impresse nell’immaginario collettivo della Palermo moderna; in particolare, nella zona del quartiere Acquasanta, dove ancora ai giorni nostri si percepisce sgomento rispetto alle terribili vicende accadute fra quelle strade. È importante ricordare la determinazione di Lia nel desiderare una vita libera e onesta. Mantenere la testa alta, nonostante le continue minacce e le restrizioni imposte da persone della sua stessa famiglia, che probabilmente amava, deve essere stato un compito estremamente difficile. Pochi adolescenti sarebbero stati in grado di affrontare una tale pressione. La sua voglia di libertà la spinse a far prevalere le sue passioni, a coltivare i suoi sogni artistici e a opporsi a qualsiasi tipo di abuso, contestando qualsiasi tipo di ingiustizia subita eopponendosi ad un sistema patriarcale che non poteva concepire e accettare la libertà femminile. Il peso delle sue azioni si sente ancora oggi tramite le forti parole del figlio e le numerose organizzazioni create a suo nome, che continuano a portare avanti le sue gesta e raccolgono l’eredità del suo coraggio.”
La condizione nel sistema mafioso è particolarmente difficile; la forma mentis di simili organizzazioni prevede ulteriori restrizioni per le donne, che, tranne casi particolari non hanno alcuna voce in capitolo nemmeno in relazione a questioni strettamente personali. Lia, come tante giovani, sognava per sé stessa un mondo luminoso in cui potesse esprimere la sua creatività e vivere serenamente le sue passioni. Rosalia rivive nelle intense parole dello studente Giuseppe Carchivi.
Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.