Del film di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia, primo vincitore della Mostra del Cinema 2024 come miglior film italiano, avevo già scritto dopo aver letto su Wikipedia la trama di un film che avevo definito un divertente compendio di castronerie e assoluta ignoranza in materia, sia sotto il profilo storico che giudiziario.
Un film che vorrebbe raccontare un momento della latitanza di Matteo Messina Denaro, accanto alla cui storia si accosta un altro personaggio, Antonino Vaccarino – nel film Catello Palumbo -, ex sindaco di Castelvetrano con il quale l’allora latitante intrattenne un intenso rapporto epistolare nei primi anni duemila, con gli pseudonimi di Svetonio (Vaccarino) e Alessio (Matteo Messina Denaro).
Una storia, quella narrata dall’opera cinematografica, che sconfina dalla realtà all’assoluta fantasia, sconfessando fatti storici e giudiziari acclarati, come il fatto che a scrivere i ‘pizzini’ fosse stato lo stesso Matteo Messina Denaro, come comprovato dalla perizia effettuata dalla criminalista Katia Sartori e non un’amanuense come si vede nel film mentre trascrive sotto dettatura un ‘pizzino’ destinato a Vaccarino.
E se fin qui possiamo ancora parlare di finzione cinematografica, la stessa cosa non si può certo dire quando dalla stampa viene riportato che Vaccarino era stato condannato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso al quale i servizi segreti gli offrirono la libertà in cambio del suo aiuto per la cattura di Matteo Messina Denaro.
Vaccarino (nella finzione cinematografica Catello Palumbo) appare – e come tale viene indicato – uomo furbo dalle cento maschere, instancabile illusionista che trasforma verità in menzogna e menzogna in verità ,che dà vita a un unico quanto improbabile scambio epistolare con il latitante, del cui vuoto emotivo cerca di approfittare.
Catello (Vaccarino), talvolta definito uomo furbo dalle cento maschere, tal altra saltimbanco e giullare di corte, assieme al boss sono le due figure centrali di un film del quale non si comprendono quali siano i riferimenti alla storia reale dei due personaggi e quali quelli di fantasia.
Se da un canto la finzione cinematografica propone allo spettatore personaggi grotteschi come Iddu e Palumbo – alludendo nel contempo anche alla poca chiarezza dell’operato dei servizi segreti che è bene ricordare già oggetto (almeno in questo caso) di valutazioni e chiarimenti nelle apposite sedi giudiziarie – dall’altro fa emergere inaspettatamente una figura alla quale consegna uno spessore mafioso del tutto inedito: la moglie di Catello Palumbo (Vaccarino)!
Una coprotagonista che certamente per cultura mafiosa – così come rappresentata – si erge di gran lunga a di sopra di quella del marito, ridicolizzato in ogni sua veste.
È infatti lei che nel film in maniera sprezzante ricorda a marito che dopo il suo arresto è stato espulso dalla massoneria, aggiungendo: “Sei morto, come il tuo amico Don Gaetano…Io non so che stai combinando, quando scoprirò di che si tratta, t’ammazzo con le mani mie… Sei un ex in tutto!”.
È vero che il film viene dichiarato come liberamente ispirato ai ‘pizzini’ di Matteo Messina Denaro e che i personaggi che vi compaiono sono frutto però della fantasia degli autori, ma quale è il limite legittimo e lecito della fantasia quando la stessa fa riferimento a personaggi reali che come tali vengono indicati ovunque con il proprio nome?
Stupisce che ad oggi non si registri alcuna reazione da parte di quanti tirati in ballo vengono proposti allo spettatore in ruoli non certo edificanti.
A partire da quegli appartenenti ai servizi segreti che condussero l’operazione “Svetonio-Alessio”, per finire con una donna la cui cultura mafiosa ne farebbe una perfetta appartenente a una famiglia mafiosa del calibro dei Messina Denaro.
Un film che si sarebbe potuto intitolare “Iddu e Idda”.
Un’opera cinematografica che molto probabilmente continuerà a far parlare nei prossimi mesi.
Gian J. Morici