Scusate se m’intrometto nella polemica insorta fra i figli di Bettino Craxi (del quale apprezzai diverse sue iniziative verso il mondo arabo e mediterraneo) e l’on. Giuliano Amato a proposito dell’avviso di Craxi al colonnello Gheddafi dell’imminente attacco Usa nel 1986. Affrontai questo tema in un mio libro del 2014 (“Nella Libia di Gheddafi“) di cui riporto alcune pagine nelle quali si mette in dubbio l’iniziativa di Craxi. O forse l’ambasciatore libico a Roma (Shalgam), che avrebbe ricevuto la “soffiata”, dimenticò d’informarne il destinatario ossia il colonnello Gheddafi. Ma, se volete, date un’occhiata. on. Agostino Spataro- deputato PCI, membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera.
“IL COLONNELLO SALVATO DA CRAXI?
Com’è noto, la notte del 15 aprile 1986 l’aviazione Usa scatenò un micidiale attacco sulle principali città della Libia. Da quella tragica notte, il feuilleton delle rivelazioni “a tempo” relative al presunto salvataggio di Gheddafi, grazie a una provvidenziale informativa di Craxi, ha continuato a dipanarsi con una cadenza sospetta o quantomeno di circostanza.
L’ultima fu nel 2010 (a distanza di 24 anni!) nel corso di un convegno svoltosi alla Farnesina, dove il ministro degli esteri libico, Shalgam, svelò il mistero dell’avviso confidenziale che Craxi gli avrebbe inviato per avvertire Gheddafi dell’imminente attacco aereo statunitense.
Tutto è possibile. Non vogliamo mettere in dubbio le parole dell’ex ambasciatore in Italia, uno dei primi a passare con gli “insorti”. Tuttavia, prima di accreditare la “rivelazione”, a scoppio molto ritardato, è necessario chiarire all’opinione pubblica taluni punti che chiari non sono.
- Stranamente, Gheddafi, nonostante l’avviso, non riuscì a sfuggire all’attacco aereo Usa, poiché continuò a dormire nel suo letto, all’interno della caserma Bab al Azizia che era il principale obiettivo dei bombardieri.
Osservo che per un tipo come Gheddafi, molto accorto e prudente in fatto di sicurezza personale, questa sarebbe da considerare una grave imprudenza, a dir poco strana.
Si salvò per miracolo scrissero i giornali ma non, purtroppo, Hanna, la sua figlioletta adottiva di 16 mesi, che morì sotto le macerie della loro abitazione distrutta dalle bombe.
Una parentesi sentimentale.
(Pensai spesso, a questa bimbetta adottata dalla famiglia di Gheddafi la cui tenera vita fu brutalmente troncata da una bomba Usa. Ci penso ancora: Hanna aveva 16 mesi quanti ne aveva Monica, la mia figlia adottiva.)
Difficile credere che il Colonnello, avvertito del mortale pericolo, si sarebbe fatto sorprendere nel sonno, con la sua famiglia, nella sua residenza abituale all’interno della caserma .
La controprova di tale deduzione si ebbe qualche settimana dopo l’attacco, esattamente l’11 giugno 1986, quando, Gheddafi, parlando alla folla adunatasi nella Piazza Verde per celebrare il 16° anniversario della cacciata degli americani dalla base di Wheelus Field, attaccò duramente Reagan “vecchio e malato di cancro che prima di morire vuole distruggere tutto”. In quella’occasione, Gheddafi se la prese con la Francia e con l’Italia “che avrebbero dovuto avvertirmi, dirmi almeno di abbandonare il mio domicilio”.1
Più chiaro di cosi!
Da questa pubblica lamentela si deve dedurre che i governanti di Francia e Italia, pur essendo a conoscenza dell’imminente attacco Usa, non avvertirono Gheddafi, né gli consigliarono di cambiare letto. E com’è noto il capo del governo italiano era proprio Bettino Craxi. Che dire? Due sono le verità possibili: o Craxi non avvisò oppure l’ambasciatore Shalgam non trasmise l’avviso.
In realtà, credo che quella notte accadde quello che, da qualche tempo, si temeva, e si sapeva: si mise in atto la “lezione” che Reagan aveva ordinato contro “il pazzo di Tripoli”.
Con la morte di Gheddafi, avrebbe dovuto concludersi il ciclo del suo regime per insediarne un altro “amico” già bello e pronto.
E nessuno fra i “decisori” può dire di non averne avuto sentore. In quei mesi, circolarono voci, anche autorevoli, accompagnati da segnali attendibili che accreditavano questa minaccia come possibile e imminente.
Voci che giunsero fino a me, semplice deputato, e che- come dirò più avanti- prospettai, circa un mese prima del raid (esattamente il 4 marzo 1986), a Washington, durante gli incontri al Pentagono fra una delegazione parlamentare italiana e le massime autorità militari Usa: da Caspar Weimberger, segretario alla difesa, all’ammiraglio William Crowe, presidente del Comitato congiunto dei capi di stato maggiore delle forze armate.
La nostra preoccupazione nasceva anche dal rischio di vedere coinvolte l’Italia e la Sicilia in un’avventura militarista contro un paese vicino.
Ricordo che chiesi espressamente all’ammiraglio Crowe se gli Usa avessero l’intenzione di attaccare militarmente la Libia.
Ovviamente, l’intenzione non fu confermata (e non poteva esserlo); salvo attuarla, 40 giorni dopo, con micidiale determinazione.
Da notare che fu quella la prima volta nella storia delle relazioni internazionali del secondo dopoguerra, in cui un capo di Stato, Ronald Reagan, in violazione del diritto e della prassi internazionali, dichiarò pubblicamente, progettò ed eseguì un intervento militare per uccidere un altro capo di Stato, senza, per altro, ricorrere all’ipocrisia della “dichiarazione di guerra”.
La conferma, dettagliata, di tale, opzione venne anche da un articolo di Seymur M. Hersch (pubblicato dal settimanale “l’Espresso” l’ otto marzo 1987) nel quale il famoso giornalista americano (Premio Pulitzer 1970) ricostruì le trame e le responsabilità personali del complotto Usa per assassinare Gheddafi.
Oltre a Reagan, furono chiamati in causa i suoi collaboratori più influenti e titolati: dal direttore della Cia, Casey, al segretario di Stato Shultz, all’ammiraglio Crowe; dai consiglieri per la sicurezza Clark, Mc Farlane, Pointdexter, al col. North (l’eroe mancato della repressione Usa in Nicaragua), ecc. ecc.
Si creò, così, un precedente, moralmente inaccettabile e politicamente molto pericoloso (l’assassinio premeditato di un capo di Stato) che- come si è visto in questa prima decade del XXI secolo- i presidenti Usa hanno continuato ad applicare in altri casi.
- Gheddafi, infuriato per l’aggressione che provocò molte vittime civili, non indirizzò la rappresaglia verso uno dei tanti possibili obiettivi Usa, ma scagliò i suoi missili contro l’Italia ovvero contro il paese-amico il cui capo del governo l’avrebbe avvisato dell’imminente pericolo.
C’è una logica in questo comportamento?
Shalgam disse che quei due missili non erano rivolti contro l’Italia, ma contro gli Usa i quali si erano avvalsi dell’assistenza fornita dalla piccola stazione radar “Loran” installata a Lampedusa, a quel tempo, per altro, in fase di ridimensionamento.
Un errore nell’errore, giacché se i due missili fossero caduti sopra Lampedusa l’effetto sarebbe stato molto disastroso e avrebbe colpito centinaia d’innocenti cittadini italiani.
Anche questa opzione (se effettivamente assunta) non era da considerare un gesto di gratitudine verso un governo amico che, poche ore prima, avrebbe salvato la vita a Gheddafi.
Strano, davvero. Di questo passo, passando dalla realtà all’ironia, non è improbabile immaginare che qualcuno, domani, potrà sostenere che i libici decisero di colpire Lampedusa a causa della “assonanza fonetica” del nome dell’isola con l’acronimo (usa) del paese aggressore.
- Quei due missili partirono dal suolo libico e soprattutto lambirono effettivamente Lampedusa?
Già allora affiorarono seri dubbi, sia per la scarsa potenzialità ed efficienza della tecnologia militare libica, sia per il fatto, non secondario, che i lampedusani non videro arrivare i due potenti ordigni. Ancora oggi si sconosce il punto esatto dell’impatto.
Le autorità italiane non vollero svolgere indagini appropriate e la cosa restò lì, avvolta nel dubbio, a consolazione della propaganda libica.
Come hanno confermato alcune autorevoli dichiarazioni, anche di alti gradi militari italiani, nessuno è in grado di dimostrare che i due missili siano arrivati a Lampedusa e o nelle sue immediate vicinanze…”
1 A. Del Boca, op. cit.