Svetonio-Alessio, chi ha infangato quell’operazione di Mario Mori?

“Non c’era alcuna “indicibile entità” a scrivere i “pizzini” ricevuti dall’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino – scrive Damiano Aliprandi su “Il Dubbio” –  che, nei primi anni del 2000, d’accordo col Sisde diretto dal generale Mario Mori, aveva agganciato – tramite contatti epistolari Matteo Messina Denaro per permetterne la cattura”.

Una vicenda che nel tempo ha dato adito a diverse congetture fantasiose – quando non artatamente false – ipotizzando strani giochi da parte dei servizi segreti che, non si capisce per quale motivo, avevano preso parte, o si erano inventati di sana pianta, la corrispondenza tra Vaccarino, con lo pseudonimo di Svetonio, e Matteo Messina Denaro, il quale si firmava Alessio.

Ad avvalorare la fantasiosa narrazione mediatica, una perizia calligrafica richiesta dalla procura di Palermo di allora, la quale aveva escluso che fosse Matteo Messina Denaro a scrivere le missive firmate Alessio.

Un possibile errore del perito che all’epoca analizzò gli scritti del latitante, trasformato dai media in una verità assoluta sulla quale costruire un thriller degno della sceneggiatura  di un film.

Se la crescente tensione e il coinvolgimento emotivo dello spettatore vanno bene per il cinema, la stessa cosa non può dirsi per chi fa giornalismo.

A rimettere il tutto in discussione la perizia di 237 pagine redatta dalla criminalista Katia Sartori, esperta in scienze forensi  – che ribalta l’esito della perizia all’epoca  richiesta dalla procura di Palermo – a seguito delle cui conclusioni la moglie dell’ex sindaco di Castelvetrano ha presentato un esposto per fugare ogni dubbio in merito a chi scrivesse al marito, ponendo fine all’azione di discredito in suo danno, ma anche in danno del Sisde diretto allora dal generale Mario Mori.

“E grazie a quella perizia di allora – scrive Aliprandi, uno dei pochi giornalisti che si è interessato della vicenda Vaccarino, e ancor più delle storie fantasiose che hanno visto protagonisti, loro malgrado, il generale Mori e il colonnello De Donno – c’è stato chi ha costruito una narrazione mediatica (anche ben costruita attraverso interviste di anonimi) che hanno infangato – ancora una volta – le attività coordinate da Mario Mori e Giuseppe De Donno rivolte alla cattura del super latitante. Operazione che, però, di fatto, venne bruciata e ancora non è chiaro cosa sia accaduto. Anche se gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, nel loro comunicato nel quale annunciano l’esposto, denunciano che l’operazione fu bruciata a causa di una fuga di notizie. Una circostanza che mise a repentaglio la vita stessa di Vaccarino, visto che Matteo Messina Denaro avendo appreso dai mass media che l’ex sindaco collaborava con i servizi per catturarlo, gli inviò una ultima lettera piena zeppa di odio e di minacce.

Antonio Vaccarino

L’operazione purtroppo è stata bruciata, ma nonostante ciò – come si può leggere nella sentenza del 2011 a firma del Gip Lorenzo Matassa – “il contatto tra il Vaccarino e il Messina Denaro era stato reale e importante e il tradimento non solo aveva posto in pericolo la latitanza del Numero Uno di Cosa nostra, ma gli stessi vitali interessi dell’organizzazione.

Tante le cose che non tornano. A partire da una singolare apparizione di un anonimo nella trasmissione di Rai3 Report – prosegue il giornalista Aliprandi -, il quale indicava l’entità che avrebbe scritto i pizzini al posto di Matteo Messina Denaro: un carabiniere impiegato in banca con copertura dei servizi.

Ovviamente è una gigantesca bufala, visto che la perizia disposta dai famigliari di Vaccarino (ricordiamo che lui non c’è più, morto due anni fa tragicamente in carcerazione preventiva – l’ennesima azione giudiziaria nei suoi confronti – per aver contratto il Covid, mentre era in vana attesa di una misura alternativa perché malato), dimostra chiaramente che la scrittura è del super latinante.

Perché un uomo, mantenendo l’anonimato, si è prestato a dichiarare una falsità usando una trasmissione del servizio pubblico in prima serata? Il pensiero non può non andare a qualcosa che ha a che fare con una forma di depistaggio vero e proprio. Chi è questo anonimo e perché ha testimoniato un evento falso, creando l’ennesima versione complottista che – di fatto – infanga indirettamente Mario Mori e anche Antonio Vaccarino perché partecipe di questa inesistente macchinazione?”

Una macchinazione che sembra partire da molto lontano, da quando Vaccarino, collaborando con il Sisde, scrive a Pietro Grasso – allora a capo della Direzione Nazionale Antimafia – informandolo – a dire dell’ex sindaco – dell’operazione Alessio-Svetonio nella quale stava svolgendo il ruolo di infiltrato.

Una lettera inviata il 7 aprile 2006, la cui ricevuta di ritorno porta il timbro della Direzione Nazionale Antimafia con la data del 13 aprile 2006.

Grasso ha sempre negato di avere ricevuto quella lettera.

Che ne fu di quella lettera? Chi l’ha ricevuta? Grasso realmente non l’ha mai letta?

Il generale Mori, comunque, nel corso di un processo ha dichiarato – senza mai essere smentito da nessuno – che fin dall’inizio aveva informato la procura di Palermo, tacendo solo il nome della fonte, che poi verrà portato a conoscenza di Grasso, quindi della Direzione Nazionale Antimafia, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano (11 aprile 2006).

Nel covo di Provenzano nel frattempo, venivano scoperti i pizzini nei quali si indicava tale Vac e Vc, ovvero quel Antonio Vaccarino che per conto del Sisde aveva avviato la corrispondenza con il latitante Matteo Messina Denaro allo scopo di consegnarlo alla giustizia.

Nel corso di una più recente udienza, che vedeva imputato Vaccarino, il generale Mori, nella qualità di testimone, ha dichiarato che il Sisde sospese l’operazione e avvisò Grasso dell’attività svolta da Vaccarino, mettendo a disposizione della procura di Palermo tutti i documenti relativi all’attività svolta.

Generale Mario Mori

L’indomani Grasso informò Mori che la procura ne aveva preso atto ma riteneva che il tutto dovesse essere trasmesso alla polizia giudiziaria, che dopo aver condotto le indagini (come se la procura non sapesse di chi si trattava, sigh) “scopre” che Vac e Vc (le sigle usate nei pizzini) era Vaccarino, e ne riferisce il 16 giugno 2006.

Un miracolo, un’indagine durata solo due mesi per riferire ai magistrati quello che pare sapessero già da subito dopo a cattura di Provenzano.

Dopo l’arresto di Provenzano, e solo dopo che il generale Mori aveva informato Grasso su chi fosse l’infiltrato che collaborava alla cattura di Matteo Messina Denaro, e  Grasso a sua volta ne informava la procura di Palermo, la collaborazione di Vaccarino veniva resa nota a tutti.

Per la procura di Palermo, infatti, Vaccarino non poteva essere considerato un collaboratore o una fonte.

Vaccarino, né fonte ne collaboratore, in contatto con il latitante castelvetranese che di lui parlava con il pericolosissimo capo di “cosa nostra” Bernardo Provenzano, non veniva tutelato e doveva dunque essere indagato.

Una sorte quindi non diversa da coloro i quali a seguito del recente arresto di Matteo Messina Denaro e il rinvenimento dei pizzini, nell’arco di pochissimi giorni sono stati interrogati e – alcuni – arrestati.

La pericolosità sociale di Vaccarino era tale, e talmente palese, che i magistrati decisero di sentirlo un anno dopo…

Vaccarino fu infatti sentito da Scarpinato e Pignatone solo nel marzo del 2007

Roberto Scarpinato

L’indagine – dopo aver bruciato l’infiltrato e stoppato l’operazione del Sisde – venne poi archiviata…

Che senso ha avuto svelare l’identità dell’infiltrato, bruciando tutto quello che era stato fatto e che ancora si poteva fare?

Un capitolo a parte meriterebbero le dichiarazioni di Vaccarino non utilizzate (come il riferimento al dottor Tumbarello, solo di recente arrestato, del quale l’ex sindaco aveva riferito che fu il canale per arrivare a Salvatore Messina Denaro e  tramite questi al fratello Matteo.

Secondo gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, a seguito dell’esposto presentato dalla vedova di Antonio Vaccarino, è necessario che venga aperta una indagine che restituisca dignità e decoro all’ex sindaco di Castelvetrano e alla sua famiglia, «impedendo ulteriori attività tendenziose e depistatorie quali quelle che per anni hanno infangato l’allora nostro assistito Antonio Vaccarino e adombrato le attività svolte dal Sisde del generale Mori, “colpevole” forse di aver braccato i più pericolosi latitanti di “Cosa nostra” e di avere ostacolato le mire economiche dell’organizzazione, come nel caso delle indagini confluite nel dossier mafia- appalti. Spetterà alla magistratura – concludono gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo – disporre gli opportuni accertamenti in ordine ai fatti, e anche sulle ragioni che hanno portato presunti testimoni che con le loro dichiarazioni hanno screditato l’immagine di Vaccarino e le attività condotte all’epoca dal Sisde».

Infatti, uno degli aspetti interessanti da sondare, sarebbe quello “imprenditoriale” della corrispondenza tra Svetonio e Alessio, che poteva essere la trappola tesa al noto latitante a alla sua consorteria per portarlo in direzione di appalti che avrebbero permesso di mappare l’organigramma di “cosa nostra” a livello regionale e forse di arrivare ai “tavolini” dei grandi appalti nazionali.

Ma queste sono soltanto ipotesi, seppur  non più peregrine – e forse più fondate – di quelle di alcuni togati che hanno imbastito processi ventennali costruiti senza alcun fondamento giuridico, così come dimostrato recentemente dalla Corte di Cassazione con sentenza assolutoria per la cd Trattativa.

Come disse il direttore dell’ufficio dell’Fbi di New York, George Venezeros, Falcone fu per l’Fbi un maestro dal quale appresero la tecnica del denaro, follow money, che in seguito utilizzarono in tutte le loro indagini.

Purtroppo Falcone – non certo per colpa sua – non fu un buon maestro per tanti colleghi che anziché seguire i soldi per trovare la mafia – come lui aveva insegnato – hanno inseguito chimere… redditizie sotto il profilo carrieristico e certamente meno pericolose delle indagini condotte da Falcone e Borsellino…

Gian J. Morici

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