Ma non solo in Piemonte, già il Veneto si era reso protagonista di una scelta poco felice, arrivando a pagare gli straordinari dei medici dei pronto soccorsi fino a 100 euro l’ora, e lasciando agli infermieri le briciole di una indennità annuale di 1300 euro. Non vorremmo che altre regioni, che vivono le medesime delicate situazioni, adottassero provvedimenti simili, profondamente sperequativi per gli infermieri».
ROMA 19 GENN 2023 – «E’ doveroso accogliere e dare voce alla rabbia e al disappunto degli infermieri piemontesi, alle prese con la notizia, ennesimo paradosso messo in atto dalle nostre Regioni, di aumentare gli stipendi dei medici che lavorano nei pronto soccorsi, con incentivi economici che vanno dai 40 ai 100 euro l’ora, lasciando, almeno per il momento, con un pugno di mosche nelle mani, tutti gli altri operatori sanitari e i professionisti del comparto non medico.
Ma non solo in Piemonte, già il Veneto si è reso protagonista di una scelta poco felice, arrivando a pagare gli straordinari dei medici dei pronto soccorsi fino a 100 euro l’ora, e lasciando agli infermieri le briciole di una indennità annuale di 1300 euro. Non vorremmo che altre regioni, che vivono le medesime delicate situazioni, adottassero provvedimenti simili, profondamente lesivi per gli infermieri».
Quegli stessi infermieri che, con la loro autonomia, con le loro competenze, non possono essere esclusi da un provvedimento chiave e continuare ad essere vittime di una disparità di trattamento retributivo che, con la professione medica, ha raggiunto margini che non sono più tollerabili».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Solo pochi giorni fa, abbiamo portato all’attenzione della collettività, l’emergenza di una regione Piemonte che non è più in grado, in particolare negli ospedali di Torino e provincia, di affrontare il fabbisogno una mole di pazienti che diventa insostenibile proprio nei fine settimana, quando tra il Molinette, il Regina Margherita, e gli altri nosocomi della cintura torinese, le richieste di intervento aumentano a dismisura, dal momento che i medici di base vengono meno.
I numeri parlano chiaro: nei week end gli operatori sanitari dei pronto soccorsi piemontesi, vivono la realtà di un picco di pazienti che tocca, solo nei nosocomi cittadini, gli oltre mille accessi in meno di 24 ore.
In alcuni casi si tratta di situazioni di non particolare gravità, che potrebbero essere gestite dalla implementazione di una sanità di prossimità che consentirebbe il più che indispensabile decongestionamento dei pronto soccorsi, limitando i casi solo a quelli che richiedono un pronto intervento da parte del personale medico e di quello infermieristico. Ma siamo di fronte a un vicolo cieco senza uscita: dal momento che mancano all’appello oltre 4mila infermieri nella sanità pubblica piemontese, e il piano degli infermieri di famiglia, a supporto dei medici di base, di per se già pochi, non è mai decollato.
Per tutta risposta, cosa fa la Regione e le aziende sanitarie per tappare le falle?
Le prime, attraverso il provvedimento approvato dall’assessore alla Sanità, Luigi Icardi, decidono e approvano incentivi solo a vantaggio del personale medico dei pronti soccorsi.
L’assessore Icardi ha osservato che “i medici urgentisti svolgono un lavoro particolarmente stressante e non di rado si trovano a ricoprire anche un ruolo di servizio sociale, visto l’alto numero di codici verdi e di accessi impropri al Pronto soccorso”.
Vorremmo ricordare all’assessore Icardi che ci sono infermieri che, allo stesso modo, nei pronto soccorsi italiani, si ritrovano, in aree triage, spesso anche da soli, a sostenere il peso di decine di pazienti, alle prese anche con carenze strutturali e assenze di posti letto (ne servirebbero 180 in più in tutti gli ospedali cittadini) che finiscono con il causare disservizi, come quello delle barelle del Molinette, su cui, ci dicono i nostri referenti, i pazienti in attesa di ricovero sono costretti a stazionare anche per due o tre giorni. E sappiamo bene che queste lacune sfociano in rabbia che trasforma gli infermieri in pericolosi capri espiatori.
Le aziende sanitarie, come quella del San Luigi di Orbassano, come se non bastasse, sferrano deleteri colpi di mannaia, approvano addirittura un piano di spesa di 67mila euro per pagare infermieri di sala operatoria provenienti da cooperative fuori territorio, senza minimamente provare a mettere in atto un piano di maggiore sostegno economico per chi c’è già, per chi è già assunto.
Parliamo degli infermieri, e non solo di quelli dei pronto soccorsi torinesi, letteralmente ignorati e lasciati da parte.
Per questa ragione, non possiamo che appoggiare in pieno la presa di posizione di Ivan Bufalo, Presidente Ordine Infermieri di Torino, che ritiene, in suo recente intervento, che “bisogna chiedersi a cosa serve valorizzare solo una parte delle professionalità coinvolte, dimenticandosi di quelli che mancano anche piu degli altri…ovvero i nostri infermieri. Bufalo, con lucida oggettività imarca, da parte della Regione, il grave atto della mancata approvazione di un dispositivo unico che mirasse a incentivare contestualmente sia i medici sia gli infermieri che lavorano nei pronto soccorsi. Queste misure saranno comunque tuttavia una goccia nel mare se non si interverrà sulla carenza di organici, sull’organizzazione e sui modelli operativi, sulla valorizzazione delle conoscenze e delle capacità ed infine sulla giusta attribuzione delle giuste competenze ai soggetti preposti”.
Mentre raccontiamo alla collettività quanto sta accadendo nella “tormentata” sanità piemontese, continua De Palma, prendiamo anche atto delle dichiarazioni del presidente della giunta Alberto Cirio, che promette che presto i riconoscimenti economici toccheranno anche la sfera degli infermieri con un provvedimento ad hoc. Non possiamo che augurarci che questo accada davvero e che non si tratti di ennesime promesse vane. Dal Nursing Up vigileremo in tal senso, e su ciò che accade negli ospedali piemontesi», chiosa De Palma.