Due giorni fa stavo tornando a casa dall’ufficio dopo una giornata di ordinaria follia giudiziaria. Ero soprapensiero. Distratto dentro i miei problemi ancorati ai casi che avevo lasciato sul tavolo del mio ufficio, ma che mi portavo dentro.
Attraversavo il percorso che dalle antiche mura puniche si apre alla piazza Verdi e che mostra il teatro Massimo (nomen omen…) in tutta la sua grandezza. Quella visione mi scaldava l’anima.
Non so come spiegarvi, ma era come ritrovare in me stesso un luogo di ricongiunzione con un destino nel difficile e labirintico percorso delle idee irrisolte. Per questo nasce e si afferma in noi l’Arte, per aiutarci a vivere meglio.
Per un attimo avevo dimenticato ogni possibile tribolazione e godevo di quella Grande Bellezza della storia della mia città. Proprio nell’istante di infatuazione, notavo un particolare all’apparenza secondario ma dal quale non riuscivo ad allontanare lo sguardo. Un cespuglio di erba spontanea era cresciuto alla base marmorea dell’elegante lampione che la famosa fonderia Oreteia aveva forgiato sul disegno del Basile.
Doveva essersi propagato per mesi senza che mai nessuno avesse pensato di rimuoverlo. Focalizzavo il mio sguardo sul dettaglio e scoprivo che il campo lungo della visione mostrava il pavimento in pietra di Billiemi della piazza sfregiato da sarciture (penso si chiamino così…) in catrame nero.
Fotografavo quel dettaglio perché vi ritrovavo la sintesi sublime del tragico presente di Palermo.
In quella foto non era (solo) raffigurata l’incuria e l’abbandono della città, ma anche l’ignoranza con la quale veniva gestito ciò che si era miracolosamente salvato dalla furia auto-distruttiva dell’amministrazione.
Una città precipitata nell’ignoranza e nell’abbandono. Un consesso incivile di tasci e bardasci senza alcuna cognizione di se stessi e della dimensione del vivere nel rispetto della Bellezza…
Lorenzo Matassa