Ci sono voluti dieci anni prima che un tribunale confermasse con un’ordinanza i sospetti di una madre che non si è mai rassegnata dinanzi le motivazioni addotte in merito alla morte del figlio, il caporal maggiore scelto David Tobini, caduto a Bala Murghab in Afghanistan il 25 luglio del 2011, nel corso di un conflitto a fuoco con i talebani.
David Tobini fu ucciso da un suo commilitone!
L’ordinanza emessa dal Gip del Tribunale di Roma, Roberta Conforti, conferma tutti i dubbi di Annarita Lo Mastro, mamma del parà ucciso, che da dieci anni si è battuta affinchè si facesse chiarezza sulle drammatiche circostanze della morte del figlio, inizialmente attribuita a un colpo sparato frontalmente da una distanza di 500 o 600 metri da un talebano.
Un caso immediatamente archiviato, fin quando “Mamma Folgore” (così è stata soprannominata Annarita Lo Mastro) tramite i suoi legali non è riuscita a ottenere la riapertura dell’inchiesta.
A ricostruire oggi tutti i passaggi della vicenda, l’articolo del Messaggero a firma di Mirko Polisano, che ripercorre questi dieci anni di assordanti silenzi, e delle false testimonianze rese da Luigi Russo – anche lui caporal maggiore scelto, nonché “coppio” di Tobini – che secondo quanto riportato nell’ordinanza, si sarebbe trovato in trincea in una posizione diversa da quella dichiarata più volte.
Un particolare di non poco conto, visto che proprio dalla posizione assunta nel corso del conflitto a fuoco si potrebbe desumere chi sparò il colpo mortale che attinse Tobini.
Infatti, dopo una prima archiviazione del caso, senza attendere gli accertamenti balistici condotti dal RIS, dai quali si evinceva che Tobini non era stato colpito frontalmente – dunque da probabile fuoco amico – si arrivò a una seconda perizia, sempre a firma di chi nella prima aveva dichiarato che il parà era stato colpito da dietro, che ribaltava le conclusioni: lo sparo era avvenuto frontalmente!
Una versione che non ha mai convinto “Mamma Folgore”, che a seguito della riapertura dell’inchiesta, tramite il suo legale, l’avv. Paolo Pirani, ha depositato una relazione tecnica a firma del CT Paride Minervini dalla quale si evinceva che David era stato colpito da un proiettile calibro 5,56 NATO modello SS109 (compatibile con il munizionamento Fiocchi in dotazione ai nostri militari); che la traiettoria esterna non era “dall’avanti all’indietro”, bensì dall’indietro all’avanti, dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra, e che il figlio era stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco da una distanza superiore ai cm 40 (compreso).
Il caporal maggiore scelto Luigi Russo (“coppio” di David), ha sempre riferito di essersi trovato alla destra di David, una posizione che lo avrebbe scagionato dall’essere responsabile di quel “fuoco amico” che aveva ucciso il parà.
Una versione dei fatti che il Gip esclude.
Chi ha ucciso dunque Tobini?
Quello di Russo è uno dei pochi nomi presenti nell’ordinanza, scrive Mirko Polisano nel suo articolo di oggi.
Appare evidente come la posizione da lui assunta in combattimento sia determinante per comprendere chi uccise il giovane commilitone.
Un caso che per il Gip che ha archiviato per prescrizione, si configura come omicidio colposo.
Se finalmente sembra essere chiara la dinamica dei fatti, rimangono comunque molte incognite su tanti perché.
“Ci sono ancora troppe cose che non tornano – è il commento di Annarita Lo Mastro riportato nell’articolo di Mirko Polisano – ricordo che c’è una lettera che non mi è stata mai recapitata con le ultime parole di mio figlio. A me chi lo dice che l’omicidio di mio figlio David è soltanto ‘colposo’? E se è stato un ‘incidente’, perché non ammetterlo invece di continuare a dire bugie e depistare?”
Già, perché?
Perché le contrastanti perizie del RIS? Perchè la “disattenzione” di quanti in questi anni hanno valutato gli eventi? Perchè gli assordanti silenzi istituzionali? Perché emarginare una madre che voleva solamente conoscere la verità sulla morte del figlio?
Il “fuoco amico” è purtroppo uno dei casi messi in conto nel corso di conflitti armati, ma se può esserci una logica (ovviamente da condannare in toto e sotto ogni profilo) in chi ha voluto sottrarsi alle proprie responsabilità non dichiarando quanto realmente accaduto, quale giustificazione possono trovare coloro i quali mentendo o tacendo, oltre a non fare giustizia, hanno infangato con i loro comportamenti quelle stesse Forze Armate nelle quali David credeva e per le quali ha dato la sua giovane vita?
Un capitolo a parte meriterebbe il fatto che nel corso dello scontro armato con i talebani, due vittime di quel giorno (Tobini e uno dei nostri militari feriti) sarebbero state colpite da proiettili calibro 5,56 NATO (compatibile con il munizionamento Fiocchi in dotazione ai nostri militari), mentre non si ha certezza del fatto che un secondo ferito possa essere stato a sua volta attinto anche lui da un proiettile sparato da un commilitone.
Un morto, un ferito certo e uno probabile, vittime di “fuoco amico”.
Se è stato questo l’esito di quella battaglia contro i talebani, ci sarebbe molto da ridire e da interrogarsi.
E forse proprio questi aspetti hanno avuto un ruolo determinante nel voler ostinatamente coprire un ‘incidente’ che andrebbe ben indagato nel contesto generale dell’azione.
La copertura di un ‘incidente’, che oltre a impedire che fosse resa giustizia, si è spinta a tal punto da voler addossare allo stesso Tobini una responsabilità che non aveva, ovvero quella di aver assunto una posizione errata nelle fasi del combattimento.
Quella che poteva essere una macchia, si è trasformata in un’onta di disonore che dovrebbe fare arrossire tutti coloro che sono stati coinvolti in questa vergognosa vicenda, ma che, invece, offuscherà l’immagine dell’intero corpo e dei tanti che hanno creduto e credono nei valori per i quali hanno deciso di arruolarsi.
“In guerra ci sono sempre dieci eroi per ogni soldato”, sosteneva Henry Louis Mencken, dimenticando però di far la conta di quanti vigliacchi per ogni caduto…
Gian J. Morici