A rivelare che la sera dell’incontro tra Palamara e Pignatone il trojan era in funzione, era stato il Riformista, dopo la consulenza tecnica effettuata dalla difesa del giudice Cosimo Ferri.
La stessa società di intercettazioni aveva poi confermato che il captatore la sera del 9 maggio del 2019, quando Palamara incontrò a cena Pignatone e altri importanti magistrati romani, il trojan rimase acceso fino alle ore 22.53.
Perché, dunque, di quell’incontro misteriosamente non emersero le intercettazioni, così come era avvenuto la sera precedente quando Ferri aveva partecipato, insieme all’onorevole Luca Lotti, all’incontro presso l’hotel Champagne con cinque consiglieri del Csm e Palamara (un incontro che non doveva essere intercettato)?
Dell’incontro tra Pignatone e Palamara, invece, sembrava non fosse stato registrato nulla, poiché a causa di una modifica della programmazione dell’accensione del trojan, operata dal maresciallo Gianluca Orrea del Gico della Guardia di Finanza, il captatore non sarebbe entrato in funzione.
Una versione che non risponde a quanto accertato dai due consulenti tecnici di Ferri, secondo i quali il trojan quella sera funzionò.
A confermarlo anche i tabulati della società di intercettazioni Rcs.
“A questo punto – scrive Comi sul Riformista – gli scenari sono due. Nella prima ipotesi la conversazione, dopo essere stata registrata, è stata fatta sparire, al momento non si sa da chi, visto che non risulta depositata dai pm di Perugia agli atti del procedimento. Nella seconda, invece, la conversazione non è stata registrata e la Rcs ha fornito un tabulato tarocco che trae il lettore in inganno fornendo informazioni non veritiere”.
Due ipotesi e un’unica certezza: dell’incontro nel corso del quale il trojan poteva e doveva essere in funzione (quello tra Pignatone e Palamara), non c’è traccia, mentre di quello all’hotel Champagne (quando il captatore non doveva essere messo in funzione, e che a causa di una fuga di notizie portò alla mancata nomina di Marcello Viola – definito l’unico non ricattabile – a procuratore di Roma) la Guardia di Finanza non si perse un solo minuto delle conversazioni.
La maledizione
Quella dei file che misteriosamente scompaiono sembra quasi una maledizione che colpisce il binomio Guardia di Finanza e Marcello Viola.
Non mancano i precedenti, come nel caso della scomparsa del computer e delle pendrive del finanziere Calogero Pulici, contenenti anni di indagini su Matteo Messina Denaro, portati via da mani ignote dall’ufficio dell’allora pm della Dda di Palermo, Teresa Principato.
Anche in quella vicenda, sempre sul fronte di chi venne in qualche modo danneggiato da attività investigative condotte dalla Finanza, oltre Pulici (coinvolto in sette processi terminati con assoluzione) e la Principato, anche l’attuale procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, allora capo della procura di Trapani.
Sia Viola che la Principato erano stati indagati per rivelazione del segreto d’ufficio, inizialmente con l’aggravante dell’articolo 7, per aver agevolato la mafia.
Motivo? Un lecito scambio di informazioni tra due magistrati che indagavano sul boss latitante Matteo Messina Denaro, trasformato in un’accusa che portò, ovviamente, ad archiviazioni e assoluzioni.
Sembrerebbe quasi che le maledizioni che una volta venivano attribuite ad antiche civiltà, e che colpivano archeologi, profanatori di tombe e studiosi coinvolti nelle ricerche, si siano riversate su “cercatori” di latitanti e chi non corruttibile, come nel caso di Viola, indicato dall’allora consigliere del Csm Spina, come “l’unico non ricattabile”.
Interrogazione parlamentare
Tra una scomparsa di file e l’altra, tra la scomparsa di computer e pendrive e trojan che funzionano quando non dovrebbero e non funzionano quando dovrebbero, pare che almeno questa volta ci si sia attivati in parlamento perché si proceda con una ispezione urgente agli uffici giudiziari di Perugia.
A richiederla, come ancora una volta riporta il Riformista – uno dei pochi giornali che sta seguendo questa scandalosa vicenda – è stato ieri Roberto Giachetti, deputato di Italia viva, tramite una interrogazione parlamentare rivolta al neo Guardasigilli, Marta Cartabia.
“Il ministro della Giustizia – riporta il quotidiano, facendo riferimento all’interrogazione del parlamentare di Iv – è al corrente di quanto sta accadendo alla Procura di Perugia nell’indagine per corruzione a carico di Luca Palamara? Ha informazioni, ad esempio, su che fine abbia fatto l’intercettazione della cena fra Palamara e il procuratore Giuseppe Pignatone la sera del 9 maggio del 2019?”
Che fine hanno fatto i file di quell’intercettazione che secondo i consulenti di Ferri (nonostante il tentativo spasmodico del maresciallo del Gico Gianluca Orrea di cancellare la programmazione del trojan impartendo ben sei comandi distinti alla sua programmazione in un solo secondo) funzionò captando le confidenze fra Palamara e Pignatone?
L’ultima parola spetta ora al ministro, che dovrebbe inviare a Perugia gli ispettori di Via Arenula perché facciano chiarezza su questo gravissimo episodio.
Sempre che tutto non finisca come l’indagine sulla scomparsa dalla procura di Palermo del computer di Pulici che conteneva i file con le indagini su Matteo Messina Denaro, quando al finanziere è stato comunicato che era stata disposta la trasmissione in archivio non essendo emersa alcuna ipotesi di reato, neppure quello di semplice furto.
Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi
E Viola? Viola non ci sta.
In attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato, dopo aver vinto al Tar il ricorso contro la nomina di Prestipino a procuratore di Roma – con annullamento della nomina dell’attuale procuratore – Viola non è interessato al “gioco delle tre carte” prospettato da un articolo a firma di Giulia Merlo (Domani) che vorrebbe Prestipino confermato dal Csm a capo della procura di Roma, e Marcello Viola e Francesco Lo Voi (l’altro candidato il cui ricorso al Tar è stato accolto) assegnati ai vertici dirigenziali di altre sedi.
Alla procura di Palermo il primo, e alla direzione nazionale antimafia il secondo.
Nella logica gattopardesca del “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, potremmo dedurre che l’articolo celi – neppure in maniera troppo velata – una proposta che confermerebbe come con il dopo Palamara (il cambiamento) al Csm non cambierebbe nulla.
E che non possa cambiare nulla, lo dimostra l’esiguo numero di magistrati (67, tra i quali il gip di Palermo Giuliano Castiglia, Clementina Forleo del Tribunale di Roma, Lorenzo Matassa di Palermo, Gabriella Nuzzi di Napoli) che hanno sottoscritto una richiesta di “intervento immediato” al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perchè siano rimosse le cause che hanno condotto alla grave delegittimazione di articolazioni essenziali dell’Ordinamento Giudiziario e del Sistema di autogoverno della Magistratura e sia assicurato l’allontanamento da tali ruoli di coloro che non sono risultati all’altezza del compito.
E tutti gli altri, nonostante quanto emerso con il Palamaragate?
Il Sistema è il Sistema
Il Csm potrà dormire sonni tranquilli fino al prossimo scandalo che, domani come oggi, verrà comunque archiviato.
Lo sconcerto e la riprovazione per la degenerazione del sistema correntizio e l’inammissibile commistione fra politici e magistrati, riguarda una sparuta minoranza e non interessa neppure l’opinione pubblica tenuta all’oscuro di tutto da una stampa ben orchestrata e prona.
Se ne facciano una ragione quanti non sono ricattabili (come Viola) e quanti si indignano (come i sottoscrittori della lettera a Mattarella), il Sistema è il Sistema e nulla sembra poterlo cambiare…
Gian J. Morici
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