L’avvocato Franco Coppi è intervenuto nel corso della seconda giornata dell’evento “Rinascita Italia. The young hope”, promossa dall’associazione ‘Fino a prova contraria’:
«Tutto immaginavo meno di dovermi spendere in favore della magistratura. Perché nonostante questa situazione drammatica e il quadro generale sconfortante, nella mia vita ho conosciuto anche grandi magistrati eccellenti, ho letto sentenze dalle quali c’era veramente molto da imparare e ho avuto rapporti professionali che mi hanno arricchito. I magistrati bravi esistono; quelli che si macerano durante la notte nel dubbio di dover decidere in aula. Lunedì mattina dovrò discutere un ricorso: i fatti sono del 2003. Pensare che dopo 17 anni ancora si sta a discutere per stabilire se una persona ha o non ha commesso un reato è emblematico dello stato della giustizia. Forse, visto che si continua a parlare di riforme della giustizia, sarebbe il momento di raccogliersi in pochi esperti attorno ad un tavolo e iniziare a chiedersi il perché. Forse bisognerebbe allontanare dal tavolo i professorini e metterci persone che hanno sudato sangue nelle aule di giustizia, e capire perché il ‘nuovo’ codice, che si presentava come un miracolo, ha invece peggiorato la situazione. Un dibattimento che un tempo si poteva fare in tre udienze, ora ne richiede trenta. Si parla di verginità del giudice? Va bene, ma tutto questo lo paghiamo in termini di lunghezza; e non è detto che implichi una sentenza migliore.
«Per quanto riguarda la riforma del CSM, inizierei a sottrarre il potere di affidare nomine e cariche. Sono sicuro che togliendo questo potere, pochi magistrati ambirebbero ad andare al CSM solo per amministrare. Non faccio il giudice e non ho mai pensato di poter fare il giudice perché non mi ritenevo all’altezza; non sarei in grado di partecipare al CSM. Quando mi è stato chiesto se ero disponibile, ho detto di no»
Ad intervenire, sul tema della giustizia durante il dibattito “Rinascita Italia. The young hope” è stato anche l’ex Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, che ha detto: «I problemi della giustizia sono tanti, ma non riguardano i comportamenti dei magistrati. Io, ormai, da pensionato, guardo la rassegna stampa che rappresenta l’opinione pubblica, e ogni corpo della magistratura – come in ogni categoria – possiede una fascia di eccellenza, una grande maggioranza di persone che fa del proprio meglio, e poi ci sono quelli che sono delinquenti, quelli che lavorano poco, ma la magistratura può fare pulizia al proprio interno».
«Riguardo i tempi della giustizia italiana: sono lunghi e insopportabili ma sono una cosa vera. Non è questione di pigrizia da parte dei magistrati; i tempi della giustizia sono una precisa scelta politica. I rami sono troppi, bisognerebbe ridurli. Bisogna incidere su un pezzo duro del carico penale. Il sistema processuale: abbiamo scelto i tre gradi di giudizio. La Cassazione italiana lavora 58 mila sentenze l’anno, sono troppe e non possiamo quindi pretendere gli stessi tempi o la stessa qualità rispetto agli altri paesi. E’ una scelta che si paga in termini di tempo. Un altro problema riguarda le risorse: fino al 2018 il Ministero della Giustizia non ha avuto niente in termini di personale amministrativo; si tappano i buchi di personale. Per 25 anni non è stata assunta una persona. Poi abbiamo i tempi delle indagini; sono l’effetto di troppi reati. Arrivano più reati in Procura di quanto sia possibile smaltirne».
Sul Nuovo Codice: «Il Nuovo Codice è svantaggiato da molti fattori: creare nuovi reati aumenta il lavoro, la società è più complessa, certo, ma questo ricade sui tempi della magistratura. Prima c’era un meccanismo che consentiva ai pm di smaltire in tempi brevi le cose più semplici. Non era tutto perfetto è chiaro. Non c’era il riesame. Il dibattimento com’è costruito oggi non va bene, ci vuole troppo tempo», ha concluso Pignatone.