Coronavirus. Nel magma caotico delle informazioni, quanto mai si avrebbe bisogno di tentare un riordino dei dati che dia una rappresentazione “verosimile” , consentendo un orientamento il più razionale possibile. Da uno studio indipendente sul temibile virus arrivano delle sorprendenti novità.
Stando ai dati dello studio emerge:
1) La mortalità non è quella che raccontano
2) Il lockdown al momento non ha più senso
3) I vaccini non aiutano a sconfiggere il virus
Del resto, come ha ammesso Massimo Galli, direttore responsabile del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, sul Coronavirus «ne sappiamo veramente molto ma molto poco e forse molti di noi, cosiddetti esperti quasi reali e magari non tanto reali, ne abbiamo anche parlato qualche volta a sproposito. Qualcuno sicuramente lo ha fatto».
Le novità dello studio indipendente
Sulla questione Coronavirus si sono ampiamente espressi i vari Tarro, Burioni, Capua e una schiera nutrita di altri virologi ed infettivologi, assurti a “star” dei media.
Sull’argomento abbiamo interpellato il Dottor Pasquale Mario Bacco, docente di Igiene del lavoro, che insieme ad una equipe di 13 medici legali e ricercatori ha svolto uno studio commissionato da una società per azioni (proprietà mista, italiana e americana) che ha finanziato questa ricerca, senza fini di lucro.
«Abbiamo effettuato 7.038 visite mediche, con rappresentanza di tutte le regioni italiane, compresa la Repubblica di San Marino» (vedi la versione definitiva dello studio). «Abbiamo avuto risalto in Europa ed oltre (hanno riportato il nostro studio anche a Cuba). In Italia ci hanno richiesto lo studio molte Strutture Ospedaliere ed Università, tra le quali l’Università degli studi di Milano e l’Università degli Studi di Bari» prosegue il medico.
L’intervista al dottor Pasquale Mario Bacco
Prima domanda a bruciapelo: avete avuto un’autorizzazione per svolgere questo studio o si tratta di una iniziativa indipendente?
«Ci siamo confrontati sia con I.S.S. che con il Ministero della Salute, cosi come con le Unità di Crisi della Presidenza del Consiglio; tutti ci hanno invogliato e ringraziato ma niente di più».
A quando risale lo studio?
«Gli esami sono stati realizzati dal 25 febbraio e terminati a metà aprile».
Quali pazienti sono stati sottoposti ai vostri test e con quali criteri sono stati scelti?
«Sono stati sottoposti a test sierologico solo soggetti che, in base ai nostri dati ed alle loro dichiarazioni, erano in buona salute generale, quindi al massimo con presenza di patologie che non interferivano con la normale attività quotidiana o con i meccanismi di infezione del Covid19 (vedi punto 2.II). Si è effettuata un’anamnesi generale circa eventuali patologie familiari».
Qual è stata la reazione da parte degli organi competenti?
«I nostri dati inizialmente hanno spiazzato tutti; a noi risultavano punte del 49% di soggetti con anticorpi nel sangue (Brescia per esempio), mentre la Protezione Civile continuava a parlare del 2%. Oggi si sono rimangiati tutto».
Da cosa è dipesa la mancanza di tempestività nella gestione della pandemia (con le conseguenze tristemente note in termini di contagio e decessi)?
«In realtà inizialmente non si conoscevano i meccanismi di azione di questo virus. In ogni caso tutto è stato ingigantito da un’informazione sbagliata; il numero dei morti è una menzogna assoluta».
Lei parla di “menzogna assoluta”. Su quali basa fonda le sue certezze, in netto constatato con i dati diffusi a livello istituzionale?
«Ho fatto varie esami autoptici su deceduti per covid19 e vediamo il virus in laboratorio ogni giorno.
Questo virus non ha nessuna possibilità di uccidere un soggetto in buona salute e di età inferiore ai 55 anni.
Questa è certezza assoluta».
Quali sarebbero i rischi futuri di una nuova ondata?
«Che il virus torni più aggressivo avendo dovuto mutarsi per sopravvivere al caldo estivo».
Ha senso continuare con il lockdown?
«All’inizio si. Oggi no, anzi è dannoso perché impedisce il crearsi di una forma di immunità di gregge».
Qualora il Coronavirus dovesse riapparire, saremmo per così dire “immuni” o quanto meno preparati?
›Possiamo farci trovare pronti solo se iniziamo a dire la verità ed a comportarci di conseguenza; questo virus, come tutti i coronavirus, determina immunità, quindi oggi che è più debole per il clima dobbiamo approfittarne«.
Vaccini: Si o no?
«Il vaccino per il COVID19 non serve perché il virus muta; per sconfiggerlo, come nel caso dell’HIV, serve una terapia. I nostri dati negano una maggiore esposizione al virus dei soggetti vaccinati per l’influenza».
Asintomatici: in che modo possono ancora veicolare il virus e sopratutto in loro c’è la possibilità che si scateni in maniera violenta?
«Possono veicolarlo in quanto hanno l’anticorpo nel loro organismo, quindi possono trasmetterlo.
Loro se sono asintomatici dopo 20 giorni dall’infezione, si sono immunizzati quindi non avranno alcun sintomo; quindi nessuna forma grave».
Recidività: ci si può riammalare?
«Assolutamente no. Il virus da immunità per almeno 6 mesi».
Lei ed il suo staff vi definite “dimenticati”. Ce ne può spiegare le ragioni?
«Perché hanno parlato di noi in tutta Europa ed oltre, io sono intervenuto due volte sui telegiornali inglesi, siamo usciti sul Telegraph e su Shore Capital.
In Italia l’ostracismo di Burioni e baroni ci ha creato difficoltà evidenti, impedendoci di dare un contributo».
Quanti positivi avete riscontrato a seguito delle vostre analisi?
I) Totale Positivi
Su 7.038 sono risultati positivi 2.365 soggetti, circa il 34% (33,6%) della popolazione.
II) Totale Incidenza IgG (Indice di infezione verificatasi nei mesi precedenti)
Su 2.365 positivi sono risultate presenti le IgG in 1.779 soggetti, circa il 75% (75,2%).
Lo studio analizza l’incidenza del COVID-19 tra la popolazione “clinicamente sana”, attraverso la ricerca degli anticorpi contro il suddetto virus.
Totale soggetti dichiaratisi beta talassemici
Su 7.038 si sono dichiarati beta-talassemici 106 persone, circa l’1,15%. Cinque sono risultati positivi al test sierologico, circa il 4,8 %.
Totale fumatori
Su 7.038 si sono dichiarati fumatori 1.464, il 20,8%.
Totale soggetti che si dichiarano sottoposti a vaccinazione influenzale
Su 7.038 hanno dichiarato di essersi sottoposto a vaccinazione influenzale 865, il 12,3%.
Totale soggetti vegetariani
Su 7.038 si sono dichiarati vegetariani 415, circa il 5,9%.
Totale soggetti vegani
Su 7.038 si sono dichiarati vegani 69, circa l’1%.
Cosa ha rivelato lo studio, circa la reale presenza del COVID-19 sul territorio nazionale?
I – la reale presenza del COVID-19 sul territorio nazionale.
Il 30% della popolazione è entrata in contatto con il COVID19;
II – l’incidenza del clima nello sviluppo e nella selezione del COVID19.
Il COVID19 come tutti i coronavirus è condizionato in maniera determinante dal clima. Quindi scomparirà in estate per poi riapparire con lo scendere delle temperature;
III – quali sono le zone d’Italia più esposte.
Essendo sensibile al clima, il COVID19 si manifesterà sempre in maniera più incisiva nelle zone più fredde d’Italia. Quindi anche ad uguale “concentrazione”, la patogenicità del virus sarà sempre maggiore al nord, rispetto al sud Italia/Europa;
IV – indicazioni concrete dello spostamento del virus sul territorio nazionale.
Il COVID19 si è spostato verso il sud già da fine 2019 ed ad inizio 2020 era già presente (risultato evidenziato dall’incidenza delle IGG tra i positivi). Concentrazioni inferiori e minore capacità aggressiva per via del clima, hanno reso la maggior parte delle infezioni, soprattutto le prime, quasi asintomatiche;
V – l’incidenza degli asintomatici;
quasi il 90% degli infetti non ha manifestato nessuno dei sintomi riconducibili al COVID19, primo tra tutti l’aumento della temperatura corporea.
VI – il vero tasso di mortalità.
la mortalità diretta da COVID19 non è superiore all’2%. Se non si considera la fascia d’età superiore a 55 anni, l’incidenza scende al di sotto dell’1%;
VII – il ruolo, nella diffusione, delle varie fasce d’età;
i veri untori sono stati i soggetti fino ai 30 anni. Quasi sempre completamente asintomatici, hanno infettato ed amplificato il resto della diffusione.
VIII – conferma del ruolo degli estrogeni sull’espressione dei recettori cellulari, nella minore incidenza nel sesso femminile;
Le donne presentano ovunque, tranne rarissimi casi, un incidenza inferiore della capacità del COVID19 di infettare. E’ quindi evidente che presentano un ostacolo più arduo per il virus proprio nella fase iniziale dell’infezione (dove sono fondamentali i recettori cellulari), più che nella manifestazione clinica;
IX – i soggetti realmente più esposti;
Le fasce di età più giovani, almeno fino ai 30 anni, presentano un’incidenza di positività agli anticorpi più che doppia rispetto alle fasce più anziane, che invece sono quelle che quasi unicamente manifestano i sintomi.
X – correlazione tra abitudine voluttuaria al fumo e infezione;
La percentuale di positivi tra i soggetti fumatori è leggermente più alta (+3%), ma non tale da poter determinare una conclusione valida; con un eccesso di zelo potremmo collegarla alla risposta immunitaria che nei fumatori generalmente è più lenta e meno efficace. Sicuramente sappiamo che il percorso clinico è fortemente influenzato dall’essere o meno fumatori per svariati motivi tra cui il più importante è una condizione infiammatoria basale che accentua i danni da malattia.
XI – correlazione tra vaccinazione influenzale e infezione;
I dati negano la possibilità di una maggiore esposizione al virus dei soggetti vaccinati.
XII – correlazione tra abitudini alimentari (alimentazione vegana, vegetariana ed onnivora) ed incidenza dell’infezione;
nessuna differenza di rilievo si è riscontrata tra i soggetti con diverse abitudini alimentari, tranne una leggera maggiore incidenza negli onnivori. Anche in questo caso si può ipotizzare che potrebbe aver eun ruolo, con meccanismi simili al fumo, una risposta immunitaria notoriamente più lenta e meno efficace nei consumatori abituali di proteine animali.
XIII – incidenza sui soggetti affetti da beta talassemia
I beta talassemici sottoposti a test sono risultati, tranne 5, tutti negativi. Questo confermerebbe che l’alterazione delle catene beta è una validissima profilassi per il covid19; molto più efficace che come terapia.
Quali strumenti avete utilizzato per confrontare i risultati?
«Sono stati utilizzati tre kit diversi come derivazione, in modo da poter confrontare i risultati.
La ricerca degli anticorpi anti COVID-19 è stata effettuata ed avviene attraverso i test sierologico (ad “immunocromatografia”).
I test si utilizzano mettendo in contatto il sangue venoso o capillare (il secondo si può prelevare “pungendo” il polpastrello) con un reagente (buffer) che si lega agli anticorpi stessi determinando 4 tipi di risultato, attraverso la colorazione o meno delle bande presenti sul Kit:
1 – negativo cioè assenza di anticorpi;
2 – presenza di anticorpi precoci . Il contatto con il virus COVID-19, nella fase iniziale (entro 5 giorni circa) prevede la produzione di un tipo particolare di anticorpi, le IgM (immunoglobuline M);
3 – presenza sia di IgM che di IgG (immunoglobuline G). Entro 14 giorni, l’organismo reagisce alla presenza del COVID-19, producendo un secondo tipo di anticorpo, le IgG.
4 – presenza in prevalenza o quasi del tutto di soli anticorpi IgG (cosiddetta “memoria immunitaria”)».
Ci spiega la differenza tra test sierologico e tampone?
«Il test sierologico attraverso l’individuazione degli anticorpi anti COVID-19 nel siero o nel plasma, ci rivela se il soggetto è venuto o meno in contatto con il virus; il tipo di anticorpo, IgM o IgG, ci indica approssimativamente anche da quanto tempo si è verificato il contatto.
Il tampone invece, ricerca il virus o parte del virus a livello orofaringeo; quindi ci determina se il COVID-19 è presente o ancora presente nell’organismo del soggetto e quindi se il soggetto stesso può infettare.
L’azione combinata di test sierologico e tampone permette di individuare soggetti che si sono “immunizzati”, avendo lo stesso risultato di se avessero effettuato un vaccino.
Questo caso si verifica quando il soggetto è positivo alla ricerca degli anticorpi attraverso il test sierologico (quindi ha sviluppato una reazione immunitaria concreta ed in caso di secondo contatto con il COVID-19, proteggerebbe efficacemente l’organismo) ed è negativo al tampone (quindi nel suo organismo non c’è più il COVID-19 e di conseguenza non può trasmetterlo).
Queste persone non possono ne infettare ne essere infettate.
Si crea una situazione in cui tali soggetti possono essere riammessi nella società e riprendere una vita sociale e lavorativa normale.
Il test sierologico non è un alternativa né sostituisce il tampone; il test è un completamento, in quanto fornisce informazioni che il tampone non può dare e precisamente rivela a che stadio è l’infezione e che reazioni immunologiche si sono verificate nell’organismo ospite.
Attraverso l’azione combinata si ha un quadro clinico e sierologico completo. Ad oggi disponiamo di un kit sierologico prodotto interamente in Italia»
Quali soggetti sono stati inclusi nella vostra ricerca?
a) Il campione sottoposto a kit sierologico è composto interamente da soggetti lavoratorivamente attivi (in alcuni casi donatori di sangue, ma sempre tenendo conto delle mansioni lavorative).
b) Sono stati sottoposti a test sierologico solo soggetti che, in base ai nostri dati ed alle loro dichiarazioni, erano in buona salute generale, quindi al massimo con presenza di patologie che non interferivano con la normale attività quotidiana o con i meccanismi di infezione del Covid19 (vedi punto 2.II). Si è effettuata un’anamnesi generale circa eventuali patologie familiari;
c) i soggetti sottoposti a test sierologico sono stati individuati solo tra gli asintomatici o al massimo blandi sintomi in nessun modo correlabili a sindromi anche superficiali da covid19. Cosi facendo si è partiti da una situazione di equilibrio tra i positivi ed i negativi;
d) soggetti non sottoposti a protezione eccezionale se non quelle delle prescrizioni base: distanza di sicurezza, mascherina protettiva e guanti. Sono state quindi escluse le professioni che prevedono delle forme aggiuntive di tutela, quali possono essere le professioni sanitarie e forze dell’ordine, che avrebbero chiaramente dopato l’incidenza dei positivi;
e) sono stati analizzati soggetti che durante questa emergenza sanitaria, facendo parte di aziende non sottoposte a chiusura per codici ateco, hanno continuato a lavorare almeno 4 giorni a settimana, minimo 6 ore al giorno, per valutare la reale incidenza dei luoghi di lavoro e degli spostamenti;
f) soggetti rappresentativi di tutti i livelli lavorativi: ufficio, linea di produzione, rappresentante, back office, livello manageriale per determinare una eventuale incidenza del virus sui lavori più o meno usuranti fisicamente e psicologicamente, che incidono soprattutto sulla velocità ed intensità della risposta immunitaria;
g) soggetti rappresentativi di tutte le età lavorative, elemento fondamentale per definire i ruoli eventuali di attivi e passivi nella trasmissione del virus, tecnicamente untori ed unti;
h) presenza rappresentativa di tutte le regioni, individuando un campione minimo in ogni capoluogo di regione considerando lo stesso l’elemento più indicativo delle attività in essere. La suddivisione regionale e provinciale rappresenta la stima base per determinare direzioni e velocità di spostamento del virus ed affinità territoriale dello stesso;
i) si è partiti analizzando il campione residente nelle regioni più fredde ed umide, per valutare immediatamente, in una fase ancora iniziale della diffusione, il contrasto nell’incidenza del virus in rapporto alle condizioni ambientali;
l) i tempi massimi di intervallo per ognuno dei quattro step sono stati determinati in una settimana per evitare che la caratteristica velocità di diffusione del Covid19, alterasse eccessivamente le percentuali differenziali tra le regioni;
m) sono stati sottoposti a test soggetti dichiaratisi sieropositivi per H.I.V. per valutare i risultati di competizione sui recettori cellulari nei confronti del Covid19;
n) sono stati sottoposti a test soggetti dichiaratisi affetti da anemia mediterranea (beta talassemia) per valutare la possibile incidenza di una carenza parziale e non grave di catene beta dell’emoglobina (aggiornamento: per verifica della possibile profilassi con idrossiclorochina);
o) per verificare eventuali risultati di maggiore o minore incidenza si è introdotto nel campione le seguenti categorie alimentari: vegani, vegetariani ed onnivori;
p) si è inoltre introdotto un campione di soggetti che hanno dichiarato di essersi sottoposti a vaccinazione influenzale, per verificare eventuali risultati differenziali.
Quali invece sono stati esclusi?
a) Considerando le patologie maggiormente diffuse, compatibili con le mansioni lavorative esaminate, sono stati esclusi i soggetti che presentavano le seguenti patologie, esclusi soprattutto per i seguenti motivi:
– ipertenzione grave, miocardiopatia dilatativa, infarto del miocardio ventricolare sinistro negli ultimi 3 anni, pericardite nell’ultimo anno, qualsiasi intervento cardiovascolare compresa la sostituzione delle valvole cardiache, aritmie di qualsiasi ordine e grado, trombosi venosa e scompenso cardiaco dal II livello: i farmaci utilizzati potevano presentare problemi di cross reattività con i test sierologici.
– patologie autoimmunitarie, gravi patologie del sangue, qualsiasi lesione neoplastica di tipo maligno negli ultimi 5 anni: tali patologie possono produrre metaboliti capaci di entrare in competizione con il virus sui siti di ancoraggio; inoltre i carcinomi sono frequentemente causa di anemia (vedi punto successivo).
– patologie che determinano l’abbassamento del livello di emoglobina ematica (anemia) al di sotto di 10 g/dl, quali sindromi infiammatorie intestinali (tipo morbo di Chron o rettocoliti ulcerose), gastriti ed ulcere gastriche, carenze metaboliche congenite o acquisite (deficit ferro soprattutto), ipotiroidismo, insufficenza cardiaca, patologie della milza: alterando il livello di emoglobina, uno dei target del virus, possono ridurre i tempi di manifestazione ematica degli anticorpi attraverso una minore esposizione degli antigeni.
– patologie che determinano l’innalzamento del livello di emoglobina ematica (policitemia) al di sopra di 18 g/dl (nelle donne 16 g/dl), enfisema polmonare, B.P.C.O., insufficenza cardiaca, patologie della milza: alterando il livello di emoglobina, uno dei target del virus, possono alterare tempi e presenza degli anticorpi nel sague, creando inoltre alte probabilità di cross reattività.
b) esclusione dei soggetti superiori ad anni 60. in questo caso si è preferito non sottoporre a test per evitare possibile patologie strettamente correlate all’età non ancora clinicamente manifeste che avrebbero potuto dare falsi negativi o positivi: inoltre oltre i 60 anni la risposta immunitaria varia sensibilmente, altro elemento questo di incertezza nella lettura dei risultati.
c) adolescenti ed età inferiore ai 18 anni. Il rischio maggiore è la presenza di emoglobina non ancora adulta che poteva mascherare la positività al virus.
d) donne in gravidanza. Nelle donne in gravidanza si ha spesso presenza, per svariate ragioni, di emoglobina priva o con alterate di catene beta, sito di ancoraggio del virus.
Al fine di dare un’informazione quanto più possibile corretta rispetto il numero dei decessi avvenuti, riteniamo opportuno riportare i dati del rapporto Istat del 4 maggio che per il periodo 20 febbraio-31 marzo, registra a livello medio nazionale una crescita dei decessi per il complesso delle cause del 38,7%: da 65.592 a 90.946, rispetto allo stesso periodo della media del quinquennio 2015-2019.