Chissà com’era realmente la città di Agrigento nei secoli passati. Non mi riferisco all’architettura, all’urbanistica o agli impianti idrici che rifornivano di acqua gli abitanti dell’antica Akragas, poi Agrigentum. Penso invece alla vita quotidiana dell’araba Kerkent.
Kerkent era Kerkent, con la sua medina, lo hisn, il castello e poi ancora shari, zuqāq, ribah e aziqqa, dove scorreva la vita tra affollati souk, dove colori, suoni, sapori e odori si mescolavano attivando ogni senso.
Fuori dalle mura c’era poi il Rabato, con le botteghe, con le attività artigianali lungo la via principale (oggi via Garibaldi) con le sue stradine secondarie, cortiletti e vicoli ma anche con la strada che portava giù al mare, al porto commerciale della città (Porto Empedocle).
Il Rabato era il Rabato, con i suoi odori speziati, con le sue case scavate nel tufo arenario, senza copertoni buttati lì tra macerie lungo una scala transennata dove è vietato il transito pedonale per il rischio di crolli di edifici pericolanti. Senza materassi lasciati appoggiati a una parete, senza rifiuti di vario genere in quel tratto di scala trasformato in discarica a cielo aperto di rifiuti speciali.
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A far bella mostra di sé, in una stradina (zuqāq o forse aziqqa) la via Alletto, il paraurti grigio di un’auto che sembra abbracciare un grigio cilindro di cemento il cui uso mi è sconosciuto.
Quasi fosse l’insegna di un qualche commercio che ancora prospera tra queste viuzze. Non ci sono più le botteghe con le loro spezie profumate e nessuno fuma la šīša, il tabacco e la melassa (usi che non appartenevano comunque all’antica Kerkent) ma dalle più pratiche cartine si diffonde l’aroma dell’erba e di altre sostanze. Raramente, per fortuna, si vede qualche siringa abbandonata.
Talvolta, dinanzi – o all’interno – di qualche cortile (ribah) fanno la loro comparsa elettrodomestici, infissi, recipienti. Non si tratta di oggetti raccolti durante la notte dai venditori di ferro vecchio. A giudicare dalle loro condizioni sono frigoriferi, scaldabagni cucine, sanitari, infissi, seminuovi, probabilmente asportati da appartamenti disabitati o provenienti da altri quartieri, da edifici in costruzione o case di villeggiatura disabitate durante alcuni periodi dell’anno.
Il Rabato è Far West, intossicato dal degrado, ricettacolo di spazzatura e monumento alle macerie, con i suoi edifici pericolanti, con un’amministrazione comunale che evidentemente ha poco interesse a far sì che scalinate e vicoli chiusi e transennati non diventino discariche di inerti e rifiuti speciali. Basta una transenna, un divieto di transito pedonale e ogni problema è risolto, in un quartiere senza regole dove a farla da padrona è l’illegalità in ogni sua forma.
Il turista (sì, arrivano anche qui) passa, guarda schifato, fotografa e va via, con le sue belle immagini, da mostrare ad amici e parenti, di un viaggio in quella che Pindaro definiva “la più bella città dei mortali”.
Gian J. Morici