Le dichiarazioni di Bonafede (non, si noti, “in” buonafede) che sarebbe poi, nientemeno, il Ministro della Giustizia (del partito di Di Maio e di Grillo) sull’esito della elezione del Vicepresidente (cioè del Presidente, essendo quella del Capo dello Stato una presidenza alquanto, simbolica) del C.S.M., dichiarazioni che non hanno precedenti in tutta la storia delle Istituzioni del nostro, e non solo del nostro, Paese, oltre che un saggio ulteriore della totale inadeguatezza culturale, prima che politica di quelli del Bar dello Sport di svolgere qualsiasi ruolo istituzionale con un minimo di dignità e di compostezza, sono il segnale della fine ingloriosa di un’alleanza che si andava consolidando: quella tra il Partito dei Magistrati e il Movimento Cinque Stelle.
I magistrati più sfacciatamente dediti ad una azione politica eversiva di sopraffazione degli altri poteri dello Stato, in nome della “moralizzazione”, col mezzo dell’abuso delle iniziative e delle decisioni giudiziarie (tra cui l’abuso dell’abuso d’ufficio primeggia e fa da simbolo) hanno apertamente invocato i “buoni servizi” dei Pentastelluti e confidato in una loro vittoria che avrebbe messo al loro servizio una vigorosa ed incosciente ignoranza assieme ad una connaturata mania, una autentica libidine delatoria.
Certamente una buona parte dei Magistrati, benché sostanzialmente allineati con la Corporazione e con il loro partito, data anche la permalosità della loro casta, difficilmente ingoierà le dichiarazioni di Bonafede.
Il quale cosiddetto Ministro non è che abbia detto una bugia affermando (ora) che i Magistrati, quelli del C.S.M. e, soprattutto, aggiungiamo noi, quelli delle Procure e degli Organi giudicanti, hanno fatto e fanno scelte politiche. Questa è la “scoperta dell’acqua calda”. E Bona(?)fede lo sa bene per aver sicuramente conosciuto la sostanziale alleanza politica che le toghe hanno avuto ed hanno tramato con il suo partito.
Certo non basta lo scontro verbale di una sia pur incredibile dichiarazione di un cosiddetto Ministro a cambiar la natura degli uni e degli altri. Ed a far venir meno la base comune della stessa incultura.
Certe vocazioni delatorie non si cancellano, né se ne sostituiscono i corrispondenti, da un giorno all’altro.
In una importante Città del Sud, che vanta tradizioni di cultura ed ha visto suoi cittadini onorare importanti ruoli politici, c’è, ad esempio un Senatore del partito grillino che quando non è impegnato a Roma a scaldare il suo seggio a Palazzo Madama, “è di casa” al locale Palazzo di Giustizia, a mendicare attenzione per le sue delazioni contro ogni altro “politico” della Città ed a suggerire inconcepibili (ma talvolta concepibilissime) baggianate pseudo giudiziarie.
Questo signore, apprendo ora, sta facendo carriera. Ed è il classico Cinquestelluto così come lo vuole il peggio del Partito dei Magistrati, secondo lo schema di un partito “antipolitico” in funzione di tirapiedi di una magistratura prevaricatrice e neoforcaiola.
Ma ciò non basterà a ricucire un’alleanza fondata su un’ipotesi di un inarrestabile successo dell’antipolitica dei Grillo e dei grotteschi ministri di questo incredibile Governo.
Altra, del resto, è la strada che la deformazione della funzione giudiziaria sta percorrendo più pericolosamente (per noi).
Essa è quella che si consuma giorno per giorno con l’abbattimento dei limiti di potere giudiziario e con l’istituzione, di fatto, di un potere di intervento nel merito dell’attività politica e di Governo (tipico esempio la storia del preteso “sequestro di persona” inventata dall’ineffabile Procuratore di Agrigento) e, cosa ancor più grave e pericolosa, con la solidarietà di tutta la Magistratura nei confronti dei “Colleghi” autori delle più grottesche baggianate.
E’ rotta l’alleanza fra parti. Ma ne emerge comunque la pretesa di una supremazia che corrode le libere Istituzioni.
Mauro Mellini