Trentacinque arresti per associazione di stampo mafioso di donne ed uomini di un Clan Rom in Roma.
Niente più discussioni sul carattere razzista dell’allarmismo sui campi Rom.
Ma anche nessuna chiarezza su questa imputazione “aggravata” dell’associazione e sull’essenza del suo carattere mafioso.
Sono cominciati subito dibattiti televisivi sul caso e sulla “mafiosità” degli arrestati. A sentire sociologhi e presunti tali, e politici tali, malgrado legittime presunzioni del contrario, non è che ci si capisca molto sul perché ora i Rom siano diventati “mafiosi”, per continuare a fare quel che hanno fatto da anni ed anni.
Sono venute fuori tesi stucchevoli, come il fatto che non educano i bambini se non al delitto. Cosa che, se non ha a che fare col razzismo, come sembrava solo qualche settimana fa, non mi pare proprio che abbia a che vedere con l’art. 416 bis c.p.
Credo che questo caso avvalori la tesi, da me sempre sostenuta, che questa “associazione di stampo mafioso” è tutt’altro che una “tipica” figura di reato. Diventa tale per provvedimento della Pubblica Autorità. Quando questa si sveglia, apre gli occhi e si allarma per una certa situazione della criminalità, ecco che le associazioni a delinquere diventano “di stampo mafioso”. Dedurre che la mafiosità attiene ai pubblici poteri è certo una proposizione maligna e perfida, ma non è poi troppo lontana dal vero.
Il principio di legalità, così come puntualizzato dall’ammirevole sentenza della Consulta del 1981, estensore Volterra, è dimenticata nel cassetto. Sempre più il diritto penale diventa “arbitrario”. E funzionale alle “lotte”. Si è deciso di “lottare contro i Rom”. Non è più “razzismo” ipotizzare la loro “pericolosità?”.
E, soprattutto: non è che, modi pacchiani a parte, quel Salvini avesse un po’ di ragione?
Comunque andranno le cose, credo che il diritto, quello vero, farà un salto indietro. Un altro.
E avremo, prima o poi, il concorso esterno in associazione zingaresca.
Mauro Mellini