La levata di scudi degli imprenditori contro le “riforme” grilline in tema di lavoro, sono giustificate a metà.
Non sono un economista né uno specialista di problemi della regolamentazione legislativa dei rapporti di lavoro e delle sue ripercussioni sull’economia e lo sviluppo.
Ma credo di capirne abbastanza per poter concludere che siamo oggi di fronte ad una tipica “pataccca” populista consistente nel “regalare al popolo” quello che non c’è.
Non sono io a dirlo, ma qualcuno che, invece, ha competenza specifica, che il grottesco “contratto di Governo” su cui si dovrebbe fondare l’accordo Cinquestelle-Lega è una esercitazione dilettantesca di economia di tipo “argentino”, che in parole povere, (è proprio il caso di dirlo) consiste nel distribuire generosamente quello che non c’è.
La stabilità del rapporto di lavoro, la difesa dagli spettri dell’essere messi sul lastrico non si ottengono, o, almeno, non si ottengono solo con leggi che “bugiardamente” “assicurino” la stabilità e vietino il “precariato a vita”. Solo un incremento della domanda di lavoro può seriamente garantire che il relativo rapporto sia stabile.
Dico che però gli imprenditori hanno ragione di insorgere solo a metà perché le illusioni populiste non hanno risparmiato i certi imprenditoriali.
E’ un vizietto antico degli imprenditori italiani è quello di essere liberisti quando le cose, bene o male, vanno e di diventare statalisti e fautori dei meno probabili interventi pubblici quando le cose vanno male. Allora anche loro invocano interventi pubblici per “salvaguardare i posti di lavoro”. E ci sono imprese che producono solo questo: necessità di interventi pubblici per “salvaguardare” il lavoro dei loro dipendenti.
La grossolanità del Grillo pensiero in fatto di economia ha fatto concepire a troppi imprenditori specialisti nello sfruttamento degli interventi pubblici, propositi di più facili approfondimenti del soccorso di Pantalone alle loro imprese.
Il successo dei Cinquestelle non è dovuto solo alla tendenza popolare ad approvare e condividere una politica di chi promette di empire le tasche dei cittadini di carta straccia. Non è stata e non è solo la povera gente a farsi ingannare dalle promesse, più o meno “contrattuali”, del Grillo pensiero. Furbi e furbetti, professionisti, imprenditori, affaristi, hanno visto nei vari “bravi ragazzi” come Di Maio e compagnia bella una “nuova” classe politica da sfruttare, e, mettere nel sacco e prima o poi, da corrompere più facilmente per la sua mancanza di radici culturali e morali, di solidi indirizzi che solo una storia coerente può dare.
Se oggi Di Maio deve cominciare a fare i conti con la realtà di ferree leggi dell’economia e se i beneficiari delle sue fantasiose elargizioni elettoralistiche devono incominciare ad accorgersene, anche quei “furbastri” parassiti abituali delle baggianate e delle debolezze dei governanti può darsi che si accorgano che con certa gente al Governo non è detto che più facile e meno rischioso “spennare il pollo”.
Mauro Mellini