Il sito ProVersi.it questa settimana ha affrontato il tema dell’abolizione dei compiti a casa. In alcuni paesi, come la Finlandia, i compiti per casa sono stati aboliti, mentre in altri, come l’Italia, l’assegnazione dei compiti per casa e per le vacanze è prevista dalle norme ed è a discrezione del corpo docente.
In anni recenti, alcuni esponenti parlamentari hanno proposto la progressiva diminuzione dei compiti, poiché da molti considerata pratica obsoleta e controproducente per l’apprendimento del ragazzo, che dovrebbe essere sostituita da altre attività sia scolastiche che extrascolastiche (quali sport, lettura o il semplice stare con la propria famiglia).
Si è giunti, nell’anno scolastico 2017/2018, a una sperimentazione che prevede l’abolizione dei compiti a casa in 166 classi di scuola primaria e media in cinque diverse province italiane (Biella, Verbania, Milano, Torino e Trapani).
I favorevoli all’abolizione sostengono che studiare di più non sia garanzia di migliori risultati. Al contrario, la dilazione nel tempo dell’esercizio è un fattore efficacissimo per l’apprendimento.
Uno studio pubblicato dall’OCSE nel 2014 dimostra che, pur passando molte ore sui libri, gli studenti italiani presentano alti tassi di analfabetismo funzionale.
L’Italia dovrebbe seguire esempi come la Finlandia, dove i compiti sono stati aboliti, ma dove gli studenti sono fra i più preparati d’Europa.
Con l’obbligo dei compiti si rischia che lo studente si abitui a ripetere le lezioni a memoria in funzione delle verifiche. Inoltre, spesso i genitori si sostituiscono ai figli nel fare materialmente i compiti, evitando loro un confronto veritiero col giudizio degli insegnanti e creando una sorta di dipendenza genitore-figlio. I compiti a casa, inoltre, favoriscono gli studenti appartenenti a famiglie più agiate e più istruite. Le prime, infatti, possono permettersi di pagare insegnanti di sostegno ai propri figli, mentre gli studenti che crescono in ambienti familiari di istruzione medio-alta, possono sfruttare l’aiuto dei familiari e sono dunque avvantaggiati rispetto agli studenti cresciuti in famiglie meno istruite.
Per i contrari all’abolizione, “liberare” gli studenti dall’impegno dei compiti a casa vorrebbe dire gettarli nelle distrazioni cui sono già soggetti (social media, chat ecc.). I compiti dovrebbero rappresentare l’incontro perfetto tra scuola e famiglia. L’idea da combattere sarebbe piuttosto quella del “successo formativo garantito”, secondo la quale tutti gli studenti devono avere la sufficienza. La scuola deve invece aiutare chi rimane indietro ma premiare chi apprende e s’impegna di più.
Anche le statistiche che vorrebbero gli studenti italiani sovraccarichi di compiti non sono veritiere ed è dimostrato che nei paesi in cui gli studenti passano molte ore sui libri si ottengono maggiori risultati (ad es. in Cina e Corea del Sud).
Il lavoro didattico a casa è necessario per consolidare le conoscenze acquisite a scuola e per stimolare l’autonomia degli studenti. Il metodo migliore sarebbe quello dei “compiti intelligenti”: non più di due ore sui libri e senza l’aiuto dei genitori.
Inoltre, non sono i compiti a domicilio a creare disuguaglianza tra studenti più o meno ricchi o tra famiglie più o meno istruite, ma le metodologie secondo cui vengono assegnati. È importante favorire tutti quegli strumenti che garantirebbero un supporto alle famiglie: connessione internet in tutte le aule delle scuole; creazione di “ambienti virtuali per l’apprendimento” efficienti, affinché i docenti possano “pilotare”, attraverso un cruscotto digitale, le attività degli studenti anche al di fuori della scuola.
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