(VARACALLI PROPRIO COME COSTANZA DIOTALLEVI)
Ci sono novità per “il caso Varacalli”.
Ricordate? Ne abbiamo parlato in diversi articoli rilevandone tutta la gravità. Un “pentito” del vivaio di Torino, “collocato” per ragioni di sicurezza in Sardegna, che ammazzò un giovane pastore sardo.
I Carabinieri, consenziente la Procura, gli “affidarono”, in pratica le indagini sul delitto in realtà da lui stesso commesso. Lui “trovò” un altro pastore da esibire come colpevole e fabbricò le prove contro di lui. Al processo contro quest’ultimo, grazie ad una straordinaria abilità e perseveranza della sua Avvocatessa, Maria Grazia Rovelli Monni, la verità venne a galla.
Si precipita a Cagliari nientemeno che Caselli, preoccupato per la “delegittimazione” del “suo” collaboratore. Tuttavia l’accusato da questi calunniato, viene assolto e Varacalli, contestato a lui l’assassinio, viene condannato per omicidio a 23 anni. Ma, stranamente, non per calunnia. Poi la “coda” della contrastata richiesta del risarcimento della vittima della calunnia, che si era fatto due anni di galera. Gli opponevano, nientemeno, di aver mentito all’autore vero del criminoso, il collaboratore d’ingiustizia-detective.
Ora pare che Varacalli abbia confessato di aver “concorso” nel delitto, per poter “ripentirsi” e, accusare altri suoi amici di averlo commesso, così “ricollaborando” “in re propria”. Pare abbia anche fornito interessanti particolari sul modo di tessere, in “collaborazione” con un altro “collaboratore” compagno di cella, la trama delle sue fantasiose “rivelazioni”.
Queste “novità” mi sono state fornite mentre ci apprestiamo alla presentazione del libro “La Pornofotografa e il Cardinale – Storia di una pentita celebre e di un processo infame nella Roma di Pio IX”.
Costanza Vaccari Diotallevi, la protagonista di quella storia è un’antesignana del mestiere e delle “specializzazioni” di Varacalli. Da “impunita”, cioè come diciamo oggi, “pentita”, essa divenne investigatrice e fabbricante di prove false a carico di un innocente. Questo per evidente incarico del “processante” Eucherio Collemassi.
A farsi carico dell’attendibilità della sciagurata calunniatrice ed “impedire” la sua “delegittimazione” non si mosse un altro “processante”, un monsignore qualsiasi, ma lo stesso Pontefice Pio IX. Un bel precedente per Caselli.
Non c’è che dire. Avevo colto nel segno 35 anni fa quando scrissi quel libro: scandagliare il passato per scrutare il futuro. Purtroppo.
Mauro Mellini