Il motto delle olimpiadi “Citius, altius, fortius” rivela il triste segreto degli atleti: finché la forza e la potenza albergano nel loro corpo sono ammirati, amati, a volte idolatrati.
Poi però il tramonto arriva per tutti, ed è un tramonto triste, un tramonto di quelli invernali, in cui il sole alle tre e mezza sta già svanendo e alle quattro e mezza è notte.
Non è il tramonto della vita, con le serate infinite illuminate da nuvole rosse; è una fine talvolta rapida e dolorosa, che lascia spazio e tempo ad anni e anni di oblio.
La tentazione, per l’eroe sportivo, è di prolungare oltre i limiti naturali e fisiologici questo tramonto, per non doversi trovare – ancora giovani – senza un futuro certo.
Sono pochi gli sportivi che hanno saputo smettere al momento giusto: Platini disse basta a 32 anni, Pelè a 30 anni abbandonò il calcio vero per andare a fare qualche soldo in America.
Zoff resistette agli anni e alle critiche, per fortuna nostra.
Mohammad Alì non capì che era il momento di finirla con i cazzotti, e come molti pugili pagò duramente una scelta sbagliata.
Tiger Woods si trascina da anni tra operazioni, divorzi, e arresti in stato di ubriachezza.
C’è da capirli, questi eroi.
In fondo sono solo ragazzini, spesso pieni di soldi, che godono di una popolarità sproporzionata rispetto al loro valore per la società, che non possono fare un passo senza che qualcuno voglia abbracciarli, farsi fotografare con loro, essergli amico, anche solo per un secondo.
Passare da questa venerazione al nulla è dura.
Chi si ricorda più dei vecchi campioni? Per un Gimondi che ancora fa audience ci sono tonnellate di Bitossi, Basso, Dancelli che nessuno quasi ricorda.
Per un Panatta che ispirò l’inno “A-dri-a-no!”, abbiamo dei Zugarelli e dei Canè, che chissà che fine hanno fatto.
E poi i Lucchinelli nella moto, Fisichella nella F1, lo stesso Tomba nello sci che ha speso male la sua popolarità.
Non ci deve stupire allora se Totti ha trascinato il suo tramonto fino a notte inoltrata, se ancora a quasi 41 anni ha partecipato ad una partita ufficiale, per poi congedarsi tra lacrime e malinconia.
E’ dura per tutti lasciare il palcoscenico, anche per un campione come a Roma non se ne sono visti mai, che ha guadagnato quello che ha voluto, ben visto e benvoluto perfino dalle tifoserie avversarie.
Mi è dispiaciuto vederlo trascinarsi in campo come un pugile sull’orlo del ko, qualche tocco della vecchia classe che non muore mai, le rughe ormai diventate dei solchi.
E mi è dispiaciuto vedere come l’affetto dei suoi tifosi e dei suoi compagni di squadra sia stato in qualche modo inquinato da un allenatore insensibile e già accasato e da una società assente e burocratica.
Per parafrasare un bellissimo libro di Manuel Vazquez Montalban, il centravanti è stato abbandonato verso sera, proprio quando aveva bisogno di qualcuno che gli desse la mano per tornare a casa.
Rodocarda