Pare che il Presidente della Repubblica si sia fortemente risentito per il fatto che nelle trattative, altrimenti e con maggior puntualità, dette “inciuci”, per la legge elettorale sia stata messa sul tavolo del do ut des tra i partiti e sedicenti tali anche la data delle elezioni. Se va in porto l’accordo a tre, si vota a settembre o, al più, ad ottobre.
Mastella ha ragione. A sciogliere le Camere è lui, e poiché non partecipa alla trattativa (alias all’inciucio) quelli lì la data del voto non possono giocarsela.
Detta così ha ragione. E non c’è neppure dubbio che questa storia di mettere “nel pacchetto” della proposta anche la data è una scorrettezza grossa assai. Anzi ben più che una scorrettezza.
Ma Mattarella deve pure considerare che a mettere avanti (o dietro) la data delle elezioni anticipate (che, poi, sono posticipate rispetto alla dichiarazione di incostituzionalità di quelle con la quale è stato eletto il Parlamento oggi in carica) è stato proprio lui. Ma c’è dell’altro, se non a giustificazione, a spiegazione di questo “inserimento” della data del voto.
In fondo esso conferma puramente la mia teoria, espressa in uno scritto dell’altro giorno, sulla realtà di elezioni attraverso il “doppio turno” all’Italiana. Col primo si stabilisce chi deve vincere e chi deve perdere, chi è dentro e chi è fuori in base alle previsioni di voto dei sondaggi ed ai marchingegni della legge su di essi ritagliati. Col secondo turno, invece, si procura di far coincidere il voto effettivo a quello previsto ed agli “scatti” e risultati secondo la legge approntati.
Ma, dopo tante fatiche per arrivare ai risultati del primo turno, occorre votare subito. Più tempo passa, più aumenta la probabilità di un voto “sbagliato”, diverso dai sondaggi e tale da provocare risultati diversi in base alla legge “non più adeguata”.
Viene da ridere, ma è così.
Mauro Mellini