Mi è stata rimessa dall’ottimo amico e collega Andrea Granata la fotocopia dell’invito ad una singolare (ma non troppo) manifestazione di ardore suicida della nostro professione di avvocato.
Si tratta di un convegno organizzato dall’A.I.G.A. (Associazione Giovani Avvocati) e da una certa Themis e Metis Association, che non è una associazione britannica o americana ma di italiani che, come diceva la canzone “vonno fa’ l’americani” (così mi sembra, non ne avevo mai sentito parlare) con la partecipazione di “Antimafia Duemila”, il noto giornale on line di Palermo, diretto da Giorgio Bongiovanni, il famoso guru con la croce dipinta sulla fronte, noto per i suoi contatti con gli extraterrestri, attraverso i quali ha rapporti confidenziali con Gesù Cristo.
Ingroia ha definito “Antimafia Duemila” organo ufficioso della Procura di Palermo. Che si fida, naturalmente, più dei guru in contatto con Divinità ed extraterrestri che, magari, dei Carabinieri, del Governo, dei Ministri etc. etc.
Il convegno ha un titolo vagamente pirandelliano, ma che tale non è certamente perché in simili ambienti, magari, Pirandello è sconosciuto, mentre il ricorso a neologismi ad effetto ed ossimori è usuale e petulante. “Condannati all’impunità – Corruzione: il punto sull’efficacia della legge”.
Vedremo poi chi e perché sarebbero “condannati all’impunità”. Ma vediamo i partecipanti al dibattito. Anzitutto i “saluti”. A salutare i Giovani, ed i loro ospiti e compartecipi, tutto il vertice dell’Ordine degli Avvocati di Roma: il Presidente (Vaglio), il Tesoriere e il Vice Presidente. Tra i salutati in primo luogo, Nino Di Matteo (Magistrato della Procura di Palermo, pare in partenza, magari solo virtuale, per la Procura Nazionale Antimafia), Henry John Woodcock (magistrato – italiano – della Procura di Napoli, un tempo noto come accusatore dei vip). E, poi Luigi Di Maio (Deputato cinquestelluto, Vice Presidente della Camera) e Claudio Fava, Deputato P.D., Vice Presidente dell’Antimafia, Aaron Pettinari, della redazione di Antimafia Duemila (quella del guru). E, poi “eventuale partecipazione” del Ministro della Giustizia Orlando, che, essendo andato al congresso del cosiddetto Partito Radicale (transnazionale e transpartitico) a Rebibbia, potrebbe anche capitare al Palazzaccio, sede del convegno.
Dimenticavo Alessandro Massari, nientemeno che della direzione dei Radicali Italiani, cioè quelli non transnazionali e solo saltuariamente transpartitici. E poi il moderatore (si fa per dire). E ancora saluti e convenevoli varii.
Chi sarebbero i condannati all’impunità?
Per poco che si conoscano le cose italiane, si direbbe che si tratti proprio del contrario: gli assolti puniti con processi e carcerazioni assurde e spropositate. Ma le persone dei partecipanti dicono il contrario del contrario. Vi sarebbero, secondo loro dei colpevoli da condannare senza tante inutili formalità, che hanno assicurata, invece della “giusta” condanna, l’impunità, grazie alla prescrizione che strozzerebbe i processi, Insomma, questa maledetta prescrizione che mette una fretta impossibile al lavoro dei magistrati, impedirebbe di fare giustizia che, secondo il pensiero di questi signori, esigerebbe la condanna di tutti quelli che condannati non sono in via definitiva per le “formalità” e per il tempo che la giustizia non può prendersi per condannare senza scampo e senza tante sottigliezze.
Probabilmente, data la presenza di un autorevole giurista “Cinquestelle”, al dibattito farà seguito il conferimento, nei giorni successivi a Nino Di Matteo, della cittadinanza onoraria di Roma (culla del diritto) da parte del Consiglio Comunale. Che potrebbe per tale via ritrovare unità di intendimenti. Cosa che i Cinquestelle vanno facendo in giro per l’Italia, che Di Matteo, a sua volta percorre per “riscuotere” il giusto plauso, cittadinanze onorarie, ed onori vari per il fatto di essere stato “condannato a morte”, non si capisce bene se da Totò Riina o da Messina Denaro “perché è andato troppo oltre” incriminando lo stesso Stato, reo di tentativo di subire le minacce ed i ricatti stragisti della mafia.
Si direbbe, dunque, che questi delinquenti mafiosi hanno però un certo senso dello Stato.
Direte che questo è un po’ un modo di ragionare “populista” (ma non però da Cinque Stelle): se, invece di tante peregrinazioni (con scorte etc.) per tutta Italia per collezionare riconoscimenti, plausi e cittadinanze onorarie, certi magistrati stessero un po’ più al loro tavolo di lavoro, non ci sarebbe qualche processo di meno che va in prescrizione?
Che ne dice Presidente Vaglio?
Mauro Mellini