La responsabilità della vittoria la sento tutta. Non mi è del tutto nuova: mi è capitato già due volte da sindaco. E come sempre la vittoria si condivide. Non è mai frutto di un uomo solo al comando.
La pluralità dei soggetti che hanno portato al successo del NO al referendum costituzionale, checché ne avesse detto prima Matteo Renzi, non è un’accozzaglia, ma una ricchezza. Lui ha avuto la tentazione del plebiscito personale. Io, pur credendo alla forza degli individui, per cultura politica e per sentimento umano non penso siano mai possibili le affermazioni singole.
Però è giusto riflettere su quel “qualcosa di diverso” che comunque c’è stato in questo vigoroso No che si è levato dal Paese. Ed è la consapevolezza di un contributo “tipico” che viene dall’esperienza di essere sindaco. Insieme agli amici e colleghi sindaci che hanno dato vita al sito #sindaciperilno, abbiamo scommesso che “essere sindaco” sia una risorsa di servizio speciale, non solo per i cittadini che ci hanno scelto nelle città che governiamo, ma per tutto il Paese.
Il sindaco è il rappresentante di una istituzione – il Comune – che è l’ultimo baluardo delle istituzioni nel Paese. Il Comune è il territorio, è il tessuto economico e sociale che costruisce la vita quotidiana di tutti. Prima di ogni sovrastruttura. Prima di ogni cessione di sovranità. La sovranità del popolo si misura e si costruisce nelle città che abitiamo.
Il senso di cittadinanza che rivendichiamo non è l’astrazione di una “second life” vissuta in rete, né la virtualità relazionale che si consuma nei social network – preziosissimi, a condizione che si accettino per quello che sono: strumenti – bensì la forza di chi vive rapporti familiari e lavorativi, di gratuità e volontariato, di creatività artistica e culturale, di attività sportiva così come economica e finanziaria.
Vita civile che l’amministrazione pubblica deve servire. Al meglio. Con responsabilità e trasparenza. Quello che è possibile nelle città deve essere possibile a livello nazionale, anche nella stagione che decreta le crisi di rappresentanza e impone nuovi sistemi di networking.
I partiti sono in agonia? Di certo anche il “partito della Nazione“, sogno e incubo di Matteo Renzi, ha dimostrato di avere piedi d’argilla.
Perché il rottamatore è stato rottamato? Perché il più giovane premier della storia italiana è stato sconfitto proprio dai giovani? La risposta a queste e altre contraddizioni le lasciamo ai politologi. Io vorrei rifuggire dal rischio di pensare al dopo Renzi, concentrandomi invece sul presente dell’Italia.
Con uno schema inadeguato, c’è chi cerca il nuovo uomo forte: ha perso Renzi. Ha vinto Grillo. No, ha perso un progetto centralistico e autoritario; e ha vinto la domanda di governo responsabile, riconoscibile, frequentabile. Come per la Brexit e per Trump molti hanno detto che anche in Italia ha vinto la protesta. Non sono d’accordo: ha vinto l’insofferenza verso i poteri precostituiti, verso i poteri non verificabili, verso i poteri senza mandato, senza voto, senza responsabilità.
Ha vinto l’Italia dei Comuni; pragmatica e sussidiaria, partecipante e operativa. Il segnale è chiaro. E sarebbe facile e chiaro anche trasferire il modello elettorale che vige nei Comuni per scegliere i parlamentari e il premier.
Una nuova stagione è possibile. Ripartiamo dai Comuni.
Guido Castelli, Sindaco di Ascoli Piceno e Presidente dell’Ifel