Grande clamore per la pubblicazione, in allegato a “Il Giornale”, nientemeno che del libro “Mein Kampf” del fu Hitler Adolf.
La gazzarra, le proteste credo fossero ciò che Sallusti, il Direttore, si proponeva di ottenere. C’è in fondo, e molto più di quanto non si creda, un po’ del “Complesso di Erostrato” dal nome di quel tale greco che, per tornare alla storia, diede fuoco al tempio ad Efeso.
Io ho purtroppo il carico di anni che mi consente (e mi obbliga) a ricordare quel libro in circolazione anche in Italia durante la “Guerra dell’Asse”, che gerarchi, gerarchetti e giovani “intellettuali” fascisti aspiranti ai “littoriali”, compravano e, per lo più, nemmeno leggevano.
A dirmi di leggerlo fu un mio lontano parente un po’ stravagante, medico, fervente antifascista che diceva: “Bisogna leggerlo, bisogna leggerlo! Quello è un pazzo pericoloso (Hitler) quel libro vale più di una cartella clinica di un manicomio!! Dovrebbero leggerlo in tutto il mondo per rendersi conto con chi si ha che fare”.
Sacrosanta verità. Ma sta di fatto che a comprare quel libro per rendersi conto della follia apocalittica assassina di Hitler erano ben pochi, mentre a tenerlo bene in vista in casa ed in ufficio erano degli sciagurati leccapiedi del regime e del suo padrone d’Oltralpe. E l’edizione italiana di allora e di oggi non era e non è fatta per documentare le considerazioni psichiatriche, del resto oramai ben altrimenti comprovate, del mio lontano parente, medico Civitavecchiese.
Detto questo è superfluo che aggiunga che io sono comunque contrario alla proibizione di qualsiasi libro, cosa che offende i pochi che vogliono conoscere anche le peggiori nefandezze del pensiero umano, più di quanto non disturbi gli imbecilli che si compiacciono di sfidare la ragione, la morale, la storia facendo, magari, finta di averlo letto.
“Il Giornale”, ha avuto in passato il merito di pubblicare libri di storia di assai notevole interesse ed intere collane di libri essenziali per una cultura diffusa e sensibile.
Il risentimento, che non credo sia una tendenza prevalente o molto rilevante nel mio carattere, potrebbe portarmi, proprio in questa occasione, a rievocare, per metterlo di fronte con questa “trovata” editoriale di Sallusti, un episodio, un caso di “non edizione” e quasi (sarei portato a credere) di censura editoriale che mi riguarda personalmente.
Qualcuno suggerì a Sallusti di far pubblicare per la distribuzione con “Il Giornale”, il mio libro “Il Partito dei Magistrati – Storia di una deriva istituzionale”. Mandai il manoscritto, con la prefazione già redatta da Giuliano Ferrara. Appuntamento a Milano con Sallusti. Cosa fatta: pubblicazione a tamburo battente, fu chiamato un tale a discutere della copertina. Dodicimila copie, tanto per cominciare. Poi Sallusti mi portò a Como, dove in pubblico annunziò il prossimo felice evento editoriale. Si era parlato di tutto, salvo che di soldi, dei quali non mi sono mai minimamente curato per questa mia attività.
Quando telefonai da Roma per aver notizie dell’uscita del libro, mi rispose non so chi che “era all’esame dell’Ufficio Legale”. Poi un tizio, amministratore o non so cos’altro, dopo un paio di giorni mi disse che a parere “dei luminari del diritto” quella non era cosa di pubblicare per evitare querele e risarcimenti miliardari. Quali passi sarebbero così “pericolosi”? Ebbi l’ingenuità di chiedere.
“Ma…genericamente…!”. Genericamente quell’edizione “non s’aveva da fare”.
Non riuscii più a parlare con Sallusti.
Ora, sia ben chiaro, non voglio divertirmi a mettere a confronto la scelta de “Il Giornale”: Mellini Mauro, no – Hitler Adolf, sì.
L’importanza storica di uno scritto non ha nulla a che vedere con la sua condivisibilità e nemmeno la rilevanza come documento di una patologia psichiatrica è cosa da trascurare e pretermettere ad altro, rappresentato dall’espressione di notevole ordinaria ragionevolezza. Se, in questa occasione evoco quell’episodio, che molto mi ferì, è forse perché non riesco a liberarmi del risentimento, che tutti quelli che mi hanno voluto veramente bene mi hanno sempre incoraggiato a continuare a tener lontano da me.
Ma resta il dato obiettivo della scelta tra l’officina della ragione ed il palcoscenico della visibilità, con le assurdità che caratterizzano nella storia tale contrapposizione e con le quali mi son dovuto più volte scontrare.
Scusate se vi ho annoiato.
Mauro Mellini