
A poche ore di distanza dalla strage avvenuta ad Orlando, nello stato americano della Florida, che ha causato 50 morti e più di altrettanti feriti, sembra quasi che giornalisti, analisti e politici, cerchino di cancellare la parola “terrorismo” dai propri vocabolari.
L’attacco armato, condotto da un solo uomo, identificato in Omar Mateen, di origini afghane, ha avuto come obiettivo un night club gay.
Fin da subito, gli inquirenti, pur senza tralasciare altri possibili moventi, hanno seguito la pista dell’attentato terroristico di matrice islamica.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha definito l’attacco “un atto di terrorismo”, nonostante sia stato molto prudente evitando di pronunciarne la matrice islamica.
Meno cauti gli inquirenti e persino soggetti politici del Comitato dei Servizi Segreti, che seppur dello stesso partito del presidente americano, non hanno esitato a definire l’attacco come un atto di terrorismo di ispirazione islamica.
Il nome di Omar Mateen compariva come simpatizzante dello Stato Islamico in almeno cinque rapporti del FBI. L’attacco è avvenuto dopo che il portavoce dell’ISIS nei giorni scorsi aveva esortato gli estremisti a compiere attentati durante il Ramadan, mese sacro islamico, e da settimane molti messaggi erano rivolti contro gli omosessuali, che in applicazione della Sharia sarebbero punibili con la pena di morte.
Nonostante gli indizi, la cautela ha spinto tanti ad evitare accuratamente di pronunciare il possibile movente religioso. Una cautela che dopo le rivelazioni secondo le quali l’attentatore avrebbe dichiarato la propria fedeltà allo Stato islamico poco prima di portare a termine la strage, cominciava a sembrare un po’ eccessiva.
La rivendicazione dell’attentato da parte di Amaq, agenzia stampa dell’organizzazione, avrebbe dovuto porre fine alla questione, accettando il fatto che si è trattato di un atto terroristico di matrice islamica.
Invece no, non è stato così. Molti “opinionisti”, analisti o giornalisti che siano, si sono affannati per stabilire se, come e quando lo Stato Islamico avrebbe coordinato l’attentato.
Alcuni si sono anche spinti oltre, affermando che in mancanza di un collegamento diretto con l’organizzazione terroristica e senza un coordinamento da parte della stessa, non si potrebbe parlare di “rivendicazione da parte dello Stato Islamico”, bensì del tentativo da parte dello stesso di attribuirsi il risultato di un’azione condotta… già, condotta da chi?
Se in assenza di un coordinamento da parte dell’organizzazione terroristica; in mancanza di un “tesserino” di appartenenza all’IS; seppur in presenza di un attentato ispirato dalle migliaia di inviti che quotidianamente invadono la sfera mediatica jihadista, non possiamo definirlo “terrorismo islamico”, c’è da chiedersi se siano più idioti coloro i quali sono pronti ad uccidere e morire per un ordine impartito da un Califfo e dai suoi accoliti (questi per nulla intenzionati a diventar martiri ricompensati, nell’aldilà, con una piccola folla di vergini) o quanti disquisiscono sul fatto se un cosiddetto “lupo solitario”, un autodidatta che segue le indicazioni veicolate attraverso il network jihadista, potrà essere definito o meno come “terrorista”.
Infatti, come potremmo definire poi terrorista colui il quale verrà trovato in possesso di materiale jihadista, collegato virtualmente a gruppi o soggetti che segue, ricevendone gli input e magari scoperto con armi ed esplosivi, ma senza che questi abbia prima preso contatto diretto con i vertici dell’organizzazione terroristica?
Ed escludendo la partecipazione reale o virtuale ad un gruppo e l’esecuzione di ordini impartiti dallo stesso per il raggiungimento di obiettivi comuni, cosa resta?
Ben farebbero per il futuro al Baghdadi e i suoi accoliti a prendere contatti diretti con i “lupi solitari”, che solitari non sarebbero più, stabilendo con loro le modalità d’esecuzione degli attentati e rilasciando agli “iscritti all’ISIS” un tesserino di riconoscimento in modo tale che nessuno possa aver dubbi su matrice e rivendicazioni.
Gian J. Morici