Una vicenda che dura dal 2008, quando l’imprenditore edile di Ceresole, il quale aveva avuto dei dissidi con l’amministrazione comunale, subì i danni causati da una valanga che distrusse anche alcune case e buona parte del cimitero.
“Non rimasi ucciso per una esigua manciata di secondi – dichiara Rolando Roberto – così come per miracolo si salvò mia moglie”.
Nei giorni successivi, stando a quanto narrato dall’imprenditore, il sindaco si rifiutò di inviare soccorsi in aiuto per cercare di salvare quanto più possibile dell’azienda e della casa di proprietà del Rolando, tanto da costringere lo stesso a rivolgersi agli alpini della protezione civile, giunti poi numerosi a cercare di arginare i danni.
Da quel momento in poi, comincia il calvario dell’imprenditore. La richiesta di ristoro dei danni alla Regione Piemonte, passando attraverso il comune, come prevedeva la procedura, senza mai ottenere nulla, neppure una plausibile spiegazione che andasse al di là di una fantomatica assenza di fondi, poi scomparsa per le calamità successive.
Gli appelli alla Regione, al Comune, ai politici locali, affinchè intervenissero per aiutarlo far fronte alle decine e decine di migliaia di euro di danni, ai quali faceva da eco sempre la medesima risposta: “prima devi risolvere i tuoi problemi con il comune”.
Ai danni della valanga, si aggiunsero ben presto nuovi problemi con l’amministrazione di Ceresole, tanto che nel 2010, l’imprenditore cominciò a denunciare ai carabinieri del paese del Parco nazionale del Gran Paradiso, le storie di alcuni appalti sospetti, facendo i nomi di soggetti ritenuti coinvolti.
Da lì presero le indagini che portarono all’iscrizione al registro degli indagati, dell’ex vicesindaco del Comune montano Tiziana Uggetti e dell’ex segretario comunale Antonino Battaglia che in quell’occasione avrebbe detto all’imprenditore che in Calabria queste cose si sarebbero risolte in un altro modo… L’ex vicesindaco Tiziana Uggetti avrebbe aggiunto: “Forse questo è il modo migliore”.
Frasi sibilline, che portarono i due ad essere accusati di minacce aggravate dal metodo mafioso. Battaglia, nel frattempo, veniva arrestato nel corso di un’operazione contro la ’ndrangheta, che portò in carcere 150 persone.
Qualche settimana fa, la vicenda si chiudeva in maniera favorevole agli imputati.
Battaglia si è infatti difeso sostenendo che con quella frase intendeva dire che in Calabria avrebbe risolto tutto al bar davanti a un buon bicchiere di vino senza che fosse necessario trascinarsi in inutili contenziosi.
Ma non è questo l’unico aspetto della vicenda, visto che se da un lato – come dichiara Rolando – lui e la moglie denunciano, oltre al mancato ristoro dei danni a causa della valanga, tutta una serie di presunte irregolarità nell’assegnazione dei lavori pubblici, dall’altro, l’amministrazione sempre più decisa a ignorarli, se non a portare la sua azienda al totale annichilimento, procede nei suoi confronti a suon di ordinanze, denunciandolo per procurato allarme, diffusione di notizie false e lo cita chiedendo €100000 di danni di immagine, mentre l’imprenditore veniva minacciato, riceveva avvertimenti e “consigli” sugli atteggiamenti da tenere e riceveva lettere intimidatorie.
E che ci fosse un atteggiamento ostativo nei confronti del Rolando, escluso da tutte le gare pubbliche del Comune, non è soltanto lui a dirlo, visto che la stessa Guardia di Finanza che ha indagato sulle presunte irregolarità, ha messo in evidenza come tali atteggiamenti avrebbero portato la sua azienda al totale annichilimento.
Dalle indagini affidate alla Guardia di Finanza, emergevano nuovi elementi penalmente rilevanti in merito all’affidamento di lavori da parte del Comune di Ceresole Reale, che nel corso degli anni avrebbe favorito una cerchia ristretta di imprenditori, escludendo Rolando.
La Guardia di Finanza metteva infatti a verbale come la condotta assolutamente non imparziale tenuta nel corso gli anni dall’amministrazione del comune di Ceresole Reale ha creato una sacca indebita promiscuità tra interesse pubblico e privato nella quale sono state adottate delibere e provvedimenti in cui l’arbitrarietà è stato l’unico principio cui uniformarsi.
Una situazione che avrebbe impedito all’imprenditore di poter lavorare nel proprio paese.
“Dall’inizio del 2010 – scrive Rolando – l’amministrazione decise di fare solamente più affidamenti diretti o procedure negoziate dalle quali sono stato categoricamente escluso per anni, e questo anche dopo gli avvisi di garanzia emessi dalla DDA di Torino. Da notare che l’ultima gara per l’amministrazione comunale l’avevo vinta con un ribasso superiore al 20%, mentre ho visto per anni assegnazioni con ribassi tra lo 0,1 e il 2-3%, ho visto lavori iniziati mesi, se non anni dopo l’affidamento e per i quali erano state fatte persino variazioni di bilancio dettate dall’urgenza. Ho visto lavori mai iniziati, variazioni in corso d’opera, affidamenti con attrezzature non idonee, affidamenti riassegnati uno dopo l’altro alla stessa impresa, senza neppure chiedere un altro preventivo. Ho visto violare palesemente le norme sulla sicurezza, disfare e rifare ex-novo lavori finanziati dalla regione pochi anni prima, affidare con ordinanza, per urgenza, lavori a 2200 metri all’inizio della stagione della neve…”
Rolando è un fiume in piena. Senza entrare nel merito di eventuali responsabilità, evidenzia come non possa che essere perplesso nel constatare come il funzionario che si occupava in regione della pratica sui suoi rimborsi, fosse il marito di un architetto che si occupava di varianti al piano regolatore e progettazioni per il Comune. Quello stesso Comune con il quale l’imprenditore è in rotta e dal quale, oltre a non aver ricevuto alcun aiuto, è stato escluso nei bandi pubblici.
Ma v’è di più. Non potendo più svolgere alcun lavoro per il Comune, indebitato, con non pochi problemi di salute e con i privati che piano piano lo hanno abbandonato come fornitore, decisi, nella migliore delle ipotesi, a stare alla larga da un’impresa coinvolta, suo malgrado, in fatti di competenza della direzione distrettuale antimafia, il suo volume di lavoro si è sempre ridotto sino a convincerlo che la vendita delle attrezzature sarebbe stato l’unico modo rimasto per far fronte ai debiti.
“Vendere le attrezzature in un piccolo paese di montagna in cui non ci sono alternative di lavoro, vuole dire andarsene. Vuole dire darla vinta a chi ti ha fatto la guerra, vuole dire perdere pur sapendo di avere ragione, perchè nessuno si è degnato di far rispettare la legge, come fossimo nella repubblica delle banane” – afferma Rolando.
Ma cos’altro resta da fare ad un uomo nella sua situazione, se non di gettare la spugna, lasciarsi alle spalle il proprio paese, la propria vita e cercare di portar lontano la famiglia da un luogo dove ha visto distruggere l’azienda, la casa, la sua serenità?
Del resto, se esposti analoghi a quello di Rolando, per le eventuali responsabilità a seguito della valanga, come quello presentato dai suoi vicini di casa, sono approdati alle aule giudiziarie, come si spiega il fatto che Rolando, il quale chiedeva venissero chiarite le responsabilità di chi si era dimenticato di avvertire del pericolo in occasione della valanga, non ha ottenuto risposta alcuna ai danni che ha subito? “Evidentemente non era un mio diritto!” – afferma l’imprenditore, il quale ribadisce come” il sindaco fosse a conoscenza dei bollettini meteo, delle allerta, della criticità dettata da altre valanghe già cadute, e soprattutto nella totale consapevolezza che i paravalanghe a monte della nostra zona erano in uno stato di manutenzione deplorevole, omettendo di comunicarci il pericolo, non si preoccupava di invitarci a spostare le attrezzature e si dimenticava di evacuarci da una zona poi investita da una valanga di proporzioni spaventose. Sullo stato di manutenzione dei paravalanghe si ebbe conoscenza a disastro avvenuto, a differenza dell’amministrazione comunale che però aveva mantenuto uno stretto riserbo con in cittadini che avrebbero potuto e che poi, effettivamente, patirono le conseguenze di questo gesto scellerato, senza morti solo per puro miracolo.”
Tra le tante denunce presentate dall’imprenditore; anche una riguardo il danneggiamento di una pala meccanica. La notte di Capodanno, infatti, i finestrini laterali del pesante mezzo di lavoro, andarono in frantumi.
Sasso? Fucilata? Qualcuno che artatamente aveva sfondato i finestrini di entrambi i lati?
Qualsiasi ipotesi sarebbe stata plausibile. Tutte, tranne una: “il tappo di una bottiglia di spumante che ha sfondato i vetri dell’automezzo”.
Bene, si è arrivati anche ad ipotizzare questo, pur di non ammettere che a Ceresole qualcosa forse non funziona per come dovrebbe.
Cosa ne sarà delle denunce presentate da Rolando, delle opposizioni alle richieste di archiviazione, delle indagini che portarono la Guardia di Finanza a descrivere la creazione di una sacca indebita di promiscuità tra interesse pubblico e privato al Comune di Ceresole?
Finirà tutto a tarallucci e vino? O meglio, a tarallucci e tappi di spumante?
Gjm