Il coraggio è una virtù, ma la temerarietà, se non un vizio, è considerata quanto meno pericolosa per chi ne fa sfoggio e per gli altri.
Un “condannato a morte” dalla mafia che, invece di starsene rintanato in un ambiente ben protetto da telecamere, tiratori scelti, cani poliziotto, dispositivo antibomba e invece di muoversi solo in una macchina superblindata, munita di quel marchingegno che impedisce la trasmissione di impulsi di esplosione elettronici, uno “jamer” (che è costata un occhio e che gli amici del “condannato” hanno richiesto a furor di popolo) se ne va in giro per l’Italia a collezionare diplomi di conferimento di cittadinanze onorarie ed a tenere conferenze sui legami e patti oscuri della mafia etc. etc. è certamente un coraggioso, ma (e spero che per questo non chieda il risarcimento danni di un milioni di euro) è anche un pochetto temerario.
E, sì. Perché proprio lui e molti suoi colleghi, per non dire delle confraternite dei suoi fans e, poi di quelli che oramai sembrano i nuovi accoliti, il braccio politico di esse, i “grillini” o “Cinquestelluti”, ci hanno spiegato, certificato, ripetuto in tutte le salse che la mafia ha propaggini in tutta Italia, non è solo “Cosa Nostra” (cioè loro) ma dispone di “collaborazioni” con i Servizi Segreti deviati o forse anche no e comunque, naturalmente, della CIA, oltre altre “mafie” associate un po’ da per tutto.
Nino Di Matteo è dunque, più che un coraggioso, un temerario se se ne va in giro per l’Italia e non in segreto, ma con “appuntamenti” fissati a distanza di tempo, per consentire “bagni di folla”, che, poi, magari non ci sono.
Ho di fronte la pubblicità di un Convegno a Bergamo, 5 aprile ore 20,30 presso “La Casa del Giovane”. Con la crème dell’Antimafia togata e no (Di Pietro, Lombardo, e poi un po’ di deputati cinquestelluti).
Mi domando: a Bergamo andrà con la macchina superblindata antibomba, cioè “jamer” (costata un occhio, a noi contribuenti) oppure con un aereo speciale “antimissile” etc. E un ulteriore domanda, sempre un po’ volgarmente “economica”: quanto costerà allo Stato lo spostamento a Bergamo (come quello di giorni fa in Abruzzo) di tutto l’apparato difensivo che Agende Rosse e Scorta Civica e deputati e senatori cinquestelluti hanno chiesto, intimato, preteso che gli fosse assicurato (magari, poi, dichiarandoli insoddisfatti per non aver ricevuto dal Governo le informazioni su come funziona il marchingegno antibomba)?
Ma la domanda più importante, che qualcuno riterrà addirittura irriguardosa, è: ma tanta temerarietà di un “condannato a morte” da Totò Riina o, non vorrei sbagliare, da Messina Denaro, non è un po’ indifferente nei confronti del pericolo cui espone non dico i “colleghi” ed ex tali (tutti, magari, un po’ scortati e certamente coraggiosi e, magari, temerari ed abituati al pericolo) ma anche per le folle chiamate “ad audiendum verbum”?
La risposta potrebbe essere semplice e tale da escludere qualsiasi trascuratezza per l’incolumità altrui.
E’, o potrebbe essere, nella stessa risposta all’interrogativo del titolo del convegno di Bergamo. “Sì, la mafia è stata proprio sconfitta?” Può darsi che Di Matteo, che, per carità, non è stato lui a spargere la voce di quella sua condanna a morte, sappia che la mafia è stata sconfitta e che non è più in grado di eseguire condanne. Meglio tardi che mai.
Ma allora perché tanto affanno per andar, invece in giro a dire: “guardate la mafia NON è stata sconfitta”? Perché non lasciare che anche la gente, quella d‘Abruzzo, di Bergamo, magari della Val Trompia si goda un po’ delle soddisfazioni della liberazione da questo incubo che l’ha frastornata per decenni?
E, già: perché sembra che oggi l’Antimafia, che ha perso smalto, credibilità, simpatie, fiducia, se Don La Torre dice: se fossi mafioso, sarei antimafioso”, se persino Don Ciotti ammette che, magari delle “appendici” all’antimafia sono marce, se l’”Agit-prop” dell’Antimafia Musotto è condannato come impostore, se la Saguto è incriminata, se Alfano consegna miliardi di beni confiscati agli uomini della Confindustria del “Terzo Livello”, l’”Antimafia militante” si affanni invece a spiegare che la mafia non è sconfitta, che loro, i professionisti dell’Antimafia, non debbano andarsene in pensione.
L’Antimafia ha bisogno, ovviamente, della mafia.
Sciascia diceva, già negli anni ’70 che il gran parlare che si era cominciato a fare della mafia stava giovando a quest’ultima quanto in precedenza aveva ad essa giovato il silenzio. E non si era che all’inizio.
Le chiacchiere, in cui si prodigano gli esponenti, le icone dell’Antimafia, non sono certo prive di un qualche effetto giovevole per la Mafia.
Ma che a chiacchierare di mafia in giro per l’Italia vadano tranquillamente in ottima salute (con nostre grande sollievo e soddisfazione, credetemi) quelli che l’Antimafia stessa vuole imporci come “condannati a morte” da Totò Riina, con sentenza pronunziata a portata di orecchie delle guardie carcerarie, è cosa che ci convince, quale che saranno le conclusioni (scontate) del Convegno di Bergamo, che la Mafia non esiste più, quella delle condanne a morte, della lupara e degli esplosivi. E che, piaccia o non piaccia a Di Matteo, è ora, invece di cominciare a preoccuparsi seriamente, con i fatti e non con le chiacchiere, dei malanni dell’Antimafia.
In parole brevi: se Di Matteo ci tiene tanto a convincerci che “la mafia non è stata ancora sconfitta” e che, magari è in condizioni di eseguire le “condanne a morte” pronunziate dai suoi capi supremi, rinunzi ad andarsene in giro per l’Italia, stia ben guardato in casa sua, non metta a repentaglio la sua preziosa vita e quella (altrettanto o, almeno, quasi), degli altri. Se no, ci dispiace, faremo ancor più fatica a dargli retta.
25.03.2016
Mauro Mellini