(Divagazioni e proposte impossibili “in partibus infidelium”)
Meraviglia, perplessità, stizza, e, naturalmente, grandi consensi ufficiali (i dissensi sono, al più, dei “si dice”, ufficiosi) per la nomina che Papa Bergoglio ha fatto di due “preti di strada” ad arcivescovi di Bologna e di Palermo.
Nomine a beneficio e gloria di chi le ha fatte, alla ricerca, secondo la strategia gesuitica, del gradimento del Papa argentino da parte di chi, al momento, è sulla cresta dell’onda, che pare sia il populismo.
Borbotta l’opposizione, sputano veleno gli “scavalcati”, i costruttori pazienti di carriere che rischiano di aver sprecato tempo, fatica e rinunzie. Che, poi tali nomine, pescate nelle schiere di “Prelatura Democratica”, siano effettivamente gradite ed apprezzate dalla gente comune, non me la sentirei di affermarlo. Probabilmente quanti se ne sono compiaciuti lì per lì, se ne sono già dimenticati.
Ma il fascino nell’immaginario popolare di nomine imprevedibili, che cadano su persone umili per elevarle improvvisamente a posti tanto elevati nella scala del potere è legato al concetto del potere stesso come godimento, piacere e soddisfazione d’ogni possibile desiderio. Nomine di uomini che una volta si sarebbero detti in odore di santità, dalle condizioni più umili a quelle più elevate, quando si vuole che queste siano davvero di faticoso ed umile servizio del prossimo, dello Stato, della Chiesa, se non provocano scetticismo inducono, magari, a considerare “sprecata” la possibilità che qualcuno finisca di tribolare e goda davvero il piacere connesso al potere.
C’è tutto un frasario romano e romanesco che allude alla somma autorità pastorale della Chiesa come l’antitesi delle tribolazioni del popolo, dei poveri, di chi stenta a tirare avanti “Sta come un Papa…”, “La vedovanza è er papato de le donne” e altre simili, sono espressioni che l’opera di Papa Bergoglio per dare un’immagine di una Chiesa povera e di un papato come offerta a Dio di tribolazioni, non riuscirà certo a scalfire.
Le nomine di “preti di strada” alle cattedre arcivescovili (cui solitamente è assicurato anche il cardinalato) non mi pare che valgano a soddisfare il desiderio di un meglio ripartito e più equo “godimento” del potere ecclesiastico, della demolizione del “a chi tanto e a chi gnente” che, in fondo rimane sempre l’atteggiamento prevalente di fronte a qualsiasi vero o supposto “godimento” di posizioni elevate.
Ma la nomina di “preti di strada” ad arcivescovi è, secondo alcuni l’inizio di una nuova era.
Avremo allora anche papi scelti tra i mendicanti, tali magari per presunzione nascente dalle prescrizioni di un ordine monastico? E’ difficile ipotizzarlo, ma forse quella sarebbe la realizzazione dell’”un po’ per uno” nel “gradimento” delle massime cariche che cresce con il calo della considerazione dell’effettiva utilità del loro ruolo.
Veda un po’ Bergoglio, che viene tanto da lontano, di capire quel che Roma gli può suggerire. Legga Belli e la lezione che ci ha lasciato circa “La scerta der Papa”:
Sò ffornaciaro, sì, ssò ffornaciaro,
sò un cazzaccio, sò un tufo, sò un cojone:
ma la raggione la capisco a pparo
de chiunque sa intenne la raggione.
Sscejjenno un Papa, sor dottor mio caro,
drent’a ‘na settantina de perzone,
e mmanco sempre tante, è ccaso raro
che ss’azzecchino in lui qualità bbone.
Perché ss’ha da creà ssempre un de loro?
perché oggni tanto nun ze’ fa fflisce
un brav’omo che attenne ar zu’ lavoro?
Mettémo caso: io sto abbottanno er vetro?
entra un Eminentissimo e mme disce:
“Sor Titta, è Ppapa lei: vienghi a Ssan Pietro”.
22 dicembre 1834
Avremo dunque un Papa fornaciaro? Ne dubito, perché, anche se Bergoglio conoscesse (come dovrebbe essere d’obbligo per ogni Papa) i sonetti di G.G. Belli e volesse accettarne i suggerimenti, il prossimo Papa non sarà lui a nominarlo ed i “preti di strada” da lui elevati all’arcivescovato ed al cardinalato, anche ammesso che leggano Belli, una volta vestita la porpora cardinalizia, è molto probabile che cambino idea sui criteri e gli insegnamenti di chi li ha così “fatti felici”. Però Bergoglio potrebbe riformare le modalità ed i titoli necessari per la nomina del suo successore includendo nel collegio degli elettori e degli eleggibili una rappresentanza di laici, “fornaciari” o meno.
Qui mi fermo. Non vorrei che ai miei pur numerosi addebiti di eresia civile se ne aggiungessero altri, che so, di eresia religiosa in ordine alla figura ed al ruolo del Papa ed alla sua elezione. Io, del resto, non sono neppure un “fornaciaro”.
Mauro Mellini