Il caso del pensionato lombardo che ha ucciso con un colpo di pistola un ladro che, di notte, si era introdotto nella sua abitazione, ha fatto esplodere un’ennesima volta le discussioni sull’esimente della legittima difesa.
Discussioni, per lo più, a vanvera, nelle quali il caso che ne è occasione, e le norme e le prassi che ne sono oggetto, sono evocati più per astratte e non sempre ragionevoli polemiche che non per affrontare veramente quella che, indubbiamente, è una delle più delicate questioni e non solo per l’uso arbitrario che ne fanno talora i giudici, si pongono per il nostro ordinamento penale.
E’ una questione di morale prima ancora che di diritto. Sulla quale sono state “espresse” proposizioni di altissimo valore e baggianate grottesche. “Porgere l’altra guancia” è precetto evangelico (uno dei meno osservati) che si riflette più sul versante della legittima difesa che su quello della provocazione, altro istituto penalistico, assai meno controverso. Anni fa Pannella tentò una riedizione “ampliata” del precetto evangelico facendo inserire nel “preambolo” dello Statuto dell’allora Partito Radicale l’affermazione che “i Radicali rifiutano la violenza anche per legittima difesa”. La difesa sarebbe, di conseguenza, sempre qualificata illegittima, almeno per i Radicali. Si trattava, in realtà di un “eccesso” nel respingere le troppe glorificazioni della “violenza rivoluzionaria”, che erano di moda in quel momento e nella ricerca di un’attenzione mediatica sulle opposte posizioni assunte al riguardo.
Le cavolate non vengono mai sole.
Questa “radicale” condanna della difesa legittima, peraltro, è stata ben presto disinvoltamente dimenticata.
Certo è che il diritto penale del nostro Paese e la giurisprudenza intervenuta sulla sua applicazione fanno dei limiti da noi posti alla legittima difesa tra i più rigorosi e restrittivi rispetto a quelli degli altri Paesi civili.
E ne fanno pure le norme meno condivise ed approvate dalla gente, che, però, poi, facilmente si commuove se ad essere ammazzato è un rapinatore giovanissimo e sfortunato.
L’aumento, vero o presunto, dei casi di aggressioni di rapinatori armati, specie in danno di determinate categorie di commercianti o nelle private abitazioni, ha fatto sorgere un vero e proprio movimento in favore di un più ampio riconoscimento di questa esimente, indiscutibilmente espressione di un istintivo spirito di autodifesa di ogni individuo. A farsi paladino della difesa legittima “all’americana” (…se ti introduci in casa mia ho il diritto di ammazzarti) e di fronte ai singoli episodi, a stare ad oltranza e senza troppi riguardi per l’effettività della “necessità” di difesa, dalla parte di chiunque, anche al di là della necessità di difendersi, si faccia giustizia da sé, è stata sempre la Lega Nord. E lo è tanto più oggi che ha scelto la strada dell’estremismo conservatore e di Salvini. E furono parlamentari della Lega che ottennero (vedremo poi che occorre aggiungere: “si fa per dire”) una aggiunta all’articolo 52 c.p. (anno 2006) che avrebbe dovuto accogliere, almeno in parte, l’esigenza di “allargamento” della esimente. E’ accaduto, invece, che la grossolana e sanguigna concezione delle “ragioni dei galantuomini” (specie del Nord) professata dai Leghisti, ha portato ad una opposta e testarda opposizione degli altri ed a far così prevalere le preoccupazioni di non adottare metodi di autodifesa da Far West.
Il risultato: lo espresse magistralmente il mio giovane amico e Collega Francesco Vittozzi che, proprio allora, concluse il suo corso alla scuola di perfezionamento forense. Chiamato a discutere una tesi su “la nuova legittima difesa”, mise tutta la Commissione dei docenti di fronte alla realtà, iniziando così: “La nuova legittima difesa” non c’è. Non c’è, nessuna reale novità”.
E spiattellò le ragioni per cui quelle parole affastellate nei commi aggiunti erano, in sostanza, un’equazione algebrica il cui risultato è zero. Cosa tutt’altro che infrequente nella grottesca sovrabbondanza del linguaggio dei nostri Legislatori. Parole che si susseguono le une per sfuggire al significato delle altre e negarne l’effetto.
Così siamo “da capo a dodici” come si dice a Roma, cioè al punto di prima. Continuano a subire condanne pesanti pensionati che sparano ai ladri in casa ed orefici che reagiscono ai rapinatori. Si grida, invece, che i ladri bisogna ammazzarli tutti perché se la vanno a cercare. Ed i magistrati si pavoneggiano con “brillanti motivazioni”.
Se volete sapere se sono d’accordo con chi strilla allo scandalo delle condanne dei rapinati che si difendono o con le pretese di chi afferma che un tizio rapinato, avrebbe dovuto valutare diversamente le condizioni etc. etc. vi rispondo di no all’uno ed all’altro quesito.
Ma ritengo che questa nostra, preoccupazione di contare su immediate illuminazioni circa le proporzioni del pericolo etc. etc. da parte di una persona aggredita, è eccessiva ed, anzi, assurda.
Meglio allora adottare un sistema basato esclusivamente sul dato soggettivo, dello stato che l’aggressione ha, nella concreta circostanza, provocato nell’aggredito. Mettendo l’errore di valutazione del pericolo a carico di chi lo provoca, determinando la paura dell’aggredito. E’ il sistema del diritto penale spagnolo, in cui l’esimente non è quella (oggettiva) della “legittima difesa” (concetto di estrema complessità, di sottigliezza inconcepibile nelle reazioni da decidere in pochi secondi) ma quella del “miedo” della paura, che non deve essere necessariamente misurata e commensurata all’entità dell’offesa etc. etc.
Ma qui viene fuori un’altra questione.
Non c’è legge buona in mano ad un cattivo giudice, in un processo barocco e taroccato. Ed allora la domanda giusta da porsi, con la prospettiva di una risposta allarmante, è questa: “Abbiamo P.M., abbiamo Giudici in Italia capaci di maneggiare con prudenza e buon senso, senza preconcetti e ricerca di successo mediatico istituti fondamentali delicatissimi come la “legittima difesa” del codice italiano, o “el miedo” di quello spagnolo, o le norme americane etc.?”, applicando la legge in modo da far prevalere il buon senso?
Il punto, ahimè, è questo.
Mauro Mellini