(Come la malagiustizia spianò la via del Campidoglio al Rubagalline)
Dopo che avevo scritto il pezzo su Marino, Ferrara e i retroscena della Comica Capitolina, il mio amico e prezioso collaboratore delle mie scorribande paragiornalistiche, Andrea Granata, mi ha fornito la copia della sentenza che aveva consentito a Marino di confondere le acque mediatiche in ordine alla storia della sua estromissione dall’Università di Pittsburgh (U.S.A.) per via di quel vizietto sui rimborsi, oggetto, poi, dello scivolone finale e del coro di quanti erano rimasti, allora taciti consenzienti quando era “emerso” con la candidatura a segretario del P.D.
Capisco ora, leggendo quelle diciotto pagine del distillato della sapienza giuridica di Serena giudicessa che avevano condannato Ferrara e quasi tutti i giornalisti dell'”area berlusconiana” per aver offeso l’onore e la reputazione del futuro Sindaco di Roma Capitale nonché zimbello internazionale convitato non invitato e “preso a pesci in faccia” dal Pontefice in persona, il tono incazzato di Giuliano ed anche il fatto che sia arrivato a prendersela col suffragio universale, benché i giudici in Italia non siano eletti né con il suffragio universale né con quella “ristretto”.
Quella sentenza è del tutto conforme al carattere intrinsecamente comico dell’incredibile storia del Sindaco Rubagalline. E conferma che, presente ed incombente il Partito dei Magistrati nella vita del Paese, quasi sempre nelle vicende poco edificanti della società italiana ci si deve pure imbattere in qualche cavolata (non c’è termine più “composto” atto ad esprimere compiutamente il concetto), commessa “in nome del Popolo Italiano”.
Definire queste prodezze “atti di malagiustizia” è, in fondo, espressione fuorviante, perché non ne è lesa solo la giustizia, né essi sono espressione di un soggettivo atteggiamento di parzialità di uno o più “togati”. Sono manifestazioni di un meccanismo giudiziario deviato, di una deriva istituzionale ad altro indirizzata che all’applicazione della legge (e del buon senso e del comune metro della logica e della giustizia). E le conseguenze non sono solo quelle della lesione dei diritti dei cittadini volontari o involontari utenti del “servizio giustizia” (oramai non più inteso come tale) ma di tutta la vita pubblica del Paese.
Veniamo al sodo.
I quotidiani IL FOGLIO, LIBERO, ITALIA OGGI e IL GIORNALE, in epoca più o meno coincidente con quella nella quale Ignazio Marino venne fuori proponendo la sua candidatura a segretario del Partito Democratico (prodomo di quella a Sindaco di Roma) nel 2009 pubblicarono servizi relativi alla vicenda della fine ingloriosa dell’incarico di Ignazio Marino, medico-chirurgo al Centro Medico dell’Università di Pittsburgh (U.S.A.), incarico da lui ottenuto a Palermo, dove tale Centro Ospedaliero Americano ha una sua propaggine.
Marino lamentava, con citazione avanti al Tribunale di Milano, il carattere diffamatorio di tali servizi giornalistici, adducendo di non essere stato “licenziato”, come si affermava in tali scritti, ma “allontanato” a seguito di accordi tra le parti e non a causa della sua appropriazione indebita di rimborsi spese “duplicati”, ma solo in occasionali coincidenze temporali con tali “duplicazioni”, non definibili come “intenzionali” per esser mancato un accertamento dell’intenzionalità.
La causa fu affidata alla Dott. Serena Baccolini, che, con sentenza 18 settembre 2012 condannò Ferrara, Cervo, Rosselli, Belpietro, Giordani, Feltri, Fontana, Zucchetti, D’Onofrio, Granzotto, Perna, Panerai al pagamento di somme varie, per un totale di un consistente gruzzolo a titolo di ristoro della “lesione della sua immagine, identità, onore e reputazione” per la propalazione della notizia della “duplicazione dei rimborsi” e del “licenziamento”.
E’ qui il caso di dire che quella storia, oltre a rappresentare genericamente una non certo commendevole immagine del futuro Sindaco dell’Urbe, aveva una certa analogia con le vicende del Rubagalline che l’avrebbero travolto dal prestigioso piedistallo in questi ultimi giorni.
E’ da notare che la stessa disinvoltura con la quale Marino ha oggi “giustificato” l’uso della carta di credito indicando come “colazioni di lavoro” con personaggi importanti che lo hanno puntualmente smentito, cenette con famigliari ed amici, lo ha indotto ad esibire la sentenza della dott. Serena Baccolini come blasone della sua immacolatezza nel suo sito internet.
Ora quelle diciotto pagine, stilate in nome del bistrattato Popolo Italiano, sono da considerare un vero capolavoro giuridico tale che, se i principi in esso espressi divennero (vera) “giurisprudenza costante” non vi sarebbero più, ad esempio, condanne per corruzione. Tizio dà al Sindaco un milione? non vi è prova dell’intenzionalità della “dazione” né quella della “connessione” con il contemporaneo rilascio che so, di una licenza edilizia!!!
Perché questo è il succo del Serena-pensiero.
I giornalisti avrebbero travalicato i limiti del diritto di cronaca e distorto la verità dei fatti, perché, tradotto dall’inglese, il provvedimento adottato dall’Università di Pittsburgh, non sarebbe stato di “licenziamento”, ma di “allontanamento” e non vi sarebbe prova che la “reiterazione dei rimborsi” (l’esserseli fatti fare due volte) fosse la causa dell’allontanamento (mancanza del “nesso casuale”). Le parti (Università e Marino) avrebbero redatto un atto di transazione in cui si sarebbe parlato dell’”allontanamento” e, poi, anche della “ripetizione dei rimborsi” per 8.000 dollari, ma solo per sollazzo dei lettori di quell’atto. Marino avrebbe rinunziato ad ogni indennità per il rapporto risolto in tronco solo per beneficenza nei confronti dell’Università Americana.
Lo scrupolo della giudicessa è ammirevole. Sapendo che a pensar male si fa peccato non si è lasciata trasportare da un istintivo impulso che le avrà pur suggerito che “spesso ci si azzecca”, come diceva Andreotti, e che, quindi, non si sarebbe trattato di pensar male ma di valutare prove così stringenti che non “si azzecca” la verità, ma la si conquista, per quanto è possibile a questo mondo.
Molta gente, a Milano ed altrove, è finita in galera per “coincidenze” molto meno probabili ed in base a “nessi di casualità” evanescenti e non così evidenti. Ma il “libero convincimento” dei giudici (e delle giudicesse) ci può dare questo ed altro. Certo il “nesso di casualità” tra quella sentenza così generosa e l’elezione a Sindaco del Rubagalline dei due Mondi potrà essere considerato “indiretto”, insufficiente. E lo stomaco robusto di tanta parte della stampa italiana (parlo di quella non condannata dalla giudicessa Serena) avrebbe digerito, ignorandola, anche una sentenza che, assolvendo Ferrara e gli altri, avesse invece affermato più chiaramente la significativa ed allarmante verità dei fatti e, magari non ci avrebbe affatto (lo dico anche a sollievo della coscienza della dott. Baccolini, che non ne avrà alcun bisogno)garantito che ci fosse risparmiato il Sindaco con tendenze a fare la cresta sui conti e rimborsi spese.
Ma questo non significa che giudici, giornalisti, etc. etc. non abbiano una loro bella parte in un sistema in cui i Marino ce li possiamo trovare Sindaci di Roma. E dover poi aspettare che sia il Papa a cacciarli.
E non prendiamocela, caro Giuliano col suffragio universale.
Mauro Mellini