
Ali Mohammed al-Nimr, giovane saudita sciita di 21 anni, arrestato all’étà di 17 anni. La sua colpa: aver manifestato contro il regime quando era minorenne. E’ stato condannato alla pena di morte inflitta per decapitazione seguita da crocefissione sulla pubblica piazza sino a decomposizione del corpo. La condanna potrebbe essere applicata nelle prossime ore o nei prossimi giorni.
Raif Badawi, giovane saudita di 31 anni. La sua colpa: aver creato il blog Free Saudi Liberals per incoraggiare il dibattito pubblico in Arabia Saudita. E’ stato condannato nel maggio 2014 a 10 anni di prigione ed a 1.000 frustrate. Il 9 gennaio 2015 ha ricevuto le prime 50 frustrate in pubblico. L’Arabia Saudita potrebbe aprire un nuovo processo per “apostasia”, un’accusa che prevede la pena di morte.
Faisal bin Hassan Trad, rappresentante dell’Arabia Saudita. Dal giugno 2015 presidente di un panel sui diritti umani dell’ONU.
L’Arabia Saudita alla guida dei diritti umani. L’Arabia Saudita già da tempo nella lista nera di Amnesty International per il numero di condanne a morte. L’organizzazione umanitaria ha contato un’esecuzione ogni due giorni dall’inizio dell’anno. Si aggiungono le torture, i processi sommari che non rispettano le norme internazionali. L’ultimo rapporto di Amnesty in merito si intitola “Killing in the Name of Justice: The Death Penalty in Saudi Arabia“.
Come ha potuto l’ONU affidare un ruolo umanitario e di tale importanza proprio all’Arabia Saudita? La nota a riguardo è stata resa nota a settembre, ossia circa tre mesi dopo la nomina. Il tempo per digerire l’imbarazzo? Non ci si venga a dire che è stata un’idea per spingere il paese wahabita al rispetto dei diritti umani. Non è cambiato nulla. Prova ne sia la condanna di Ali Mohammed al-Nimr.
I fatti parlano da soli e le reazioni internazionali sono scandalosamente troppo tiepide, quando ci sono.
Luisa Pace