Nel corso delle “giornate della memoria della legalità” svoltesi sabato 16 maggio e lunedì 18 maggio, è stata ricordata la figura di Lorenzo Panepinto, maestro elementare, artista e politico, che si era impegnato in battaglie politiche in favore dei contadini, fino a quando, il 16 maggio del 1911 venne assassinato dinanzi l’ingresso di casa sua con due colpi di fucile.
Giorno 18, dopo la deposizione di una corona di fiori dinanzi la lapide affissa nel muro della casa natale di Panepinto, la manifestazione si è spostata nell’aula consiliare, dove è stato presentato il libro ”Vittime di mafia”, di Fabio Fabiano e Gian J. Morici, per dare la possibilità alla cittadinanza di ascoltare le storie raccontate direttamente dai familiari delle vittime innocenti di mafia e per poter ascoltare le testimonianze di chi ogni giorno vive con l’obiettivo di garantire ciò che è sancito dalla nostra Costituzione e non solo da quella.
Dinanzi una sala gremita anche da diversi giovani, il Sindaco del paese, Francesco Cacciatore, ha voluto precisare come l’amministrazione si sia sempre impegnata e resa disponibile nei confronti di tali iniziative, tanto da aver istituito ”La giornata della memoria e della verità”, già da due anni.
Nell’aula consiliare, intitolata a Francesco Maniscalco, vittima innocente di mafia, ucciso nel ’94, il Presidente del Consiglio ha evidenziato come sia importante il significato della presentazione di un libro che tratta di vittime di mafia, in un’aula dedicata ad una vittima, citando una celebre frase del Giudice Falcone sugli ideali.
Un rifiuto dunque all’accettare il fenomeno mafioso come qualcosa di ineluttabile.
Tra i presenti, Vincenzo Ferrante al quale è stato assegnato il ruolo di baby sindaco, come esempio per i suoi coetanei.
Il moderatore dell’incontro, Enzo Alessi, ha sottolineato l’impegno attivo e non solo formale dell’amministrazione locale, ripercorrendo a ritroso un cammino della memoria che riporta ai tanti mesi di maggio del passato che hanno visto nel corso degli anni tantissimi morti, dagli omicidi eccellenti, alle stragi.
Narra dell’entusiasmo quando per la prima volta gli fu chiesto di presentare il libro “Vittime di mafia”, soffermandosi sulla necessità di un libro che finalmente trattasse le vere vittime della mafia, un percorso amaro ma illuminante che parla di gente vera fatta di valori e non come spesso accade di mafiosi e pentiti.
“Non bisogna parlare di cultura mafiosa, bisogna scegliere da che parte stare, denunciare. La delinquenza purtroppo conosce tante strade”, afferma Alessi prima di fare riferimento all’uccisione dei fratelli Vaccaro Notte e a come Angelo, unico fratello rimasto in vita, sia costretto oggi a vivere sotto scorta lontano dalla sua terra natale..
Un accenno a Lorenzo Panepinto, ucciso esattamente il giorno prima che ad Agrigento si tenesse un congresso sull’analfabetizzazione e la delinquenza, prima di dare la parola a Lea Gebbia, sorella di Filippo, ucciso nel corso della stage di Porto Empedocle il 2& settembre del 1986.
La Gebbia ha raccontato ai presenti quello che avvenne quel giorno, di come apprese della morte del fratello, narrando inoltre come testimone della strage fu anche lo scrittore Andrea Camilleri.
È poi il turno di Giuseppe Ciminnisi, figlio di Michele, ucciso il 29 settembre del 1981, il quale nell’illustrare ai presenti la sua storia e la voglia di rendere giustizia al padre che lo ha accompagnato negli anni, non ha lesinato aspre critiche nei confronti della classe politica che purtroppo non riesce a garantire come dovrebbe i propri cittadini, rivedendo le leggi in materia di contrasto alla mafia; risanando il divario che esiste tra vittime considerate di serie A e vittime di serie B (riferendosi alla differenza tra vittime di mafia e vittime del terrorismo mafioso –nda); rendendo onore ai tanti sindacalisti uccisi nell’immediato dopoguerra riconoscendo loro lo status di vittime di mafia, anziché fare sterili passerelle sulle storie dei sindacalisti morti.
Non meno critico nei riguardi della legge sul Fondo di rotazione al quale dovrebbero avere accesso i familiari delle vittime di mafia e che invece, paradossalmente, consenta anche ai congiunti di mafiosi uccisi, di poter attingere a somme la cui destinazione logica e morale dovrebbe essere ben altra.
Su questo tema, è bene ricordare che Ciminnisi nella qualità di coordinatore nazionale dei familiari di vittime di mafia dell’associazione “I cittadini contro le mafie e la corruzione”, è già intervenuto più volte – nonostante i silenzi da parte di associazioni e politici e alle censure praticate da molti organi d’informazione – e sta facendo opera di sensibilizzazione affinchè vengano posti dei limiti di accesso al Fondo.
Alla domanda di cosa possa aver paura un uomo che come Ciminnisi ha fatto condannare all’ergastolo boss di primo piano della cosiddetta Cupola di Cosa Nostra, la risposta è lapidaria: “Dei colletti bianchi!”
Un chiaro indice di come i timori siano quelli dell’esistenza di un livello superiore a quello del braccio armato della mafia, che nel nostro Paese ha finito con l’inquinare anche le stesse istituzioni e, ancor peggio, la stessa antimafia.
Una situazione vergognosa che il moderatore Alessi stigmatizza narrando un episodio che risale ad anni fa, quando a Palermo vennero affissi dei manifesti con su scritto ”Chi paga il pizzo è un uomo senza dignità”. In quella circostanza, a far affiggere i manifesti erano stati ragazzi stanchi di vivere in una società che gli vietava persino di esprimersi, eppure, anche in quella occasione qualcuno ebbe il coraggio di chiedere se l’affissione di quei manifesti fosse stata autorizzata.
Da quel momento, Addio Pizzo, diventò una grande realtà che oggi conta più di 800 commercianti iscritti.
E di pizzo parla Scimeca, imprenditore proveniente da Caccamo che nelgennaio del 2001 con il fratello e la sorella decisero di aprire una sala giochi, fin quando, dopo diverse controversie con un pregiudicato del luogo, con precedenti per estorsione, subirono le prime minacce e richieste di pizzo. Decisero di comune accordo con la famiglia di denunciare e dopo vari tentativi di incastrare l’uomo, riuscirono a farlo arrestare e condannare. Una condanna a quattro anni che non scontò del tutto, infatti dopo nemmeno un anno e mezzo uscì di prigione grazie a uno sconto di pena e per buona condotta.
Addio Pizzo non era ancora nato e loro furono costretti a vivere l’emarginazione. Senza scorta o con poche persone su cui contare.
Dopo la scarcerazione dell’estorsore, la cui abitazione si trovava nelle vicinanze del loro locale, la gente aveva paura a frequentarli e la sala giochi andò a rotoli.
Lo sconforto prese il sopravvento, fino al giorno in cui videro uno striscione in strada di “Addio Pizzo”, dieci ragazzi anche loro molto impauriti e inesperti nel gestire una cosa più grande di loro ma che decisero di stargli accanto, iniziando un percorso di sostegno nei loro confronti. Scimeca fu il primo commerciante ad iscritto all’associazione Addio Pizzo. Adesso gli Scimeca gestiscono un bar nel loro paese e sono di supporto per tutti quei commercianti che vivono ciò che loro hanno già passato.
È dunque il turno di chi ha il compito di garantire ciò che è sancito dalla nostra Costituzione e far rispettare le leggi.
“Bisognerebbe porsi una domanda, perchè siamo qui?” – chiede rivolgendosi ai presenti il sostituto Procuratore Salvatore Vella, raccontando di come l’anno precedente , grazie alla cooperativa di Libera aveva avuto la possibilità di incontrare a Naro alcuni ragazzi di Lecco che lo tempestarono di domande sulla tanto chiacchierata agenda rossa di Borsellino ma che non seppero rispondere alla semplice domanda su quando fosse avvenuto l’ultimo arresto di mafia nella loro città, nonostante fossero trascorsi soltanto pochi mesi.
“Se oggi siamo qui è per conoscere ed incontrare persone con un vissuto importante e non a caso siamo a Santo Stefano di Quisquina, città di Lorenzo Panepinto”, continua il sostituto Procuratore, riportando alla memoria la figura di Lorenzo Panepinto, le sue lotte, narrandone aneddoti e ricostruzioni storiche di quegli anni. “Già in quegli anni nello statuto del fascio di Santo Stefano di Quisquina veniva utilizzata la parola ‘mafia’, infatti era severamente vietato essere soci dei mafiosi. Siamo nell’anno 1893.Da un rapporto della questura si evince il trambusto di quegli anni e di come anche le donne si misero in prima linea. Il rapporto recita: ‘qui le donne hanno perso la loro riservatezza.’ Il movimento diventa sempre più scomodo tanto da portare l’allora presidente del consiglio Francesco Crispi ad ordinare all’esercito qualsiasi forma di repressione, anche sparare alle folle. Bisognava mantenere l’ordine costituito. Con la morte si Panepinto si ha una vera e proprio svolta. Fu una donna a presentarsi al processo come testimone, riconoscendo l’esecutore materiale nella persona di Anzalone, figlioccio dell’allora ministro di grazia e giustizia.
Il processo si svolse a Catania poiché per motivi di incompatibilità in quel periodo si preferiva spostarlo dal tribunale del posto dove era stato commesso il crimine, in modo da garantire il buon esito del processo. Il processo durò dal 28-03-1914 al 07-04-1914, vennero chiamati come teste il commissario di Polizia, tale Montalbano, il quale chiese l’esonero dall’essere sentito per ragioni familiari e il commissario dei Carabinieri, anche lui fu esonerato per questioni di lavoro. Il PCI costituitosi, parte civile nel processo, si ritirò e il PM chiese l’assoluzione dell’imputato poiché la teste non era attendibile.”
Una puntuale ricostruzione dei fatti che ancora una volta deve farci riflettere. “Noi siamo i figli della nostra storia – continua il sostituto Procuratore – non siamo solo esportatori di criminali ma anche di tanta brava gente. Dobbiamo essere cittadini e non sudditi. Bisogna non cedere anche nelle piccole cose perchè alla fine i malfattori verranno sempre a chiedere il conto, lo si può chiedere in favori da ricambiare, in voti durante le elezioni.”
È ancora il turno di un altro magistrato, – Alessandra Vella, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati di Agrigento, la quale dopo aver salutato i presenti e ringraziato quanti hanno reso possibile l’incontro, fa presente come sia importante aver inserito nello statuto comunale la giornata della memoria e l’importanza di ricordare le vittime non solo per il loro sacrificio finale, ma per tutto ciò che hanno fatto in vita.
Il giorno della strage di Falcone lei, che aveva solo sedici anni, sarebbe dovuta andare ad una festa. Si preparò e andò ma durante la serata vedendo scorrere le immagini sul televisore si rese conto di come quel giorno, da allora in poi, sarebbe stato un giorno di lutto.
Dei ”ragazzi del 92″, si parlò in un approfondimento sul giornale la Repubblica ed effettivamente furono tanti i ragazzi che cambiarono la propria scelta di vita e quelle che avrebbero fatto dopo quella strage…e lei un po’ ragazza del ‘92ci si sente, visto che non fu un caso se proseguì negli studi scegliendo la via della magistratura.
“Bisogna dire no alle scelte facili” – ribadisce il magistrato, evidenziando come negli ultimi anni fortunatamente qualcosa sta cambiando e sono sempre di più le associazioni in supporto di chi ha avuto problemi con la mafia.
“ Di mafia si parla sempre più spesso Ma tutto ciò non basta bisogna riuscire a cambiare la concezione che abbiamo nei confronti di chi ci tutela, altrimenti rischiano di tornare indietro negli anni. Bisogna imparare a chiedere alle istituzioni di essere migliori. Purtroppo chi sceglie anche solo una volta di far parte del mondo dell’illegalità difficilmente riesce a tornare sui suoi passi.”
L’ennesimo chiaro invito ad essere Stato. Perché ogni cittadino è parte dello Stato e in quanto tale non può e non deve fare scelte diverse, scelte che ci riporterebbero indietro nel tempo e che annullerebbero i sacrifici di quanti lottando contro la mafia hanno pagato con la propria vita il nostro diritto a vivere in un paese democratico.
A Santo Stefano di Quisquina, non si è tenuto un evento commemorativo. Si è tenuta una lezione di vita, che si spera possa dare un piccolo contributo nelle scelte che i tanti ragazzi presenti faranno in futuro grazie alle testimonianze di chi la mafia l’ha vissuta sulla propria pelle e grazie a chi ogni giorno la combatte con gli strumenti che lo Stato offre. Anche quando alcuni appartenenti alle istituzioni e parte di una classe politica inadeguata, operano affinchè non avvenga nessun cambiamento…
D. M.