di Agostino Spataro
Di fronte al ri-esplodere del problema, latente e crescente, dei carrieristi dell’antimafia, il pensiero corre alla feroce polemica scatenata contro Leonardo Sciascia per avere egli scritto, nel gennaio del 1987 sul Corriere della Sera, un “provocatorio”articolo dal titolo “I professionisti dell’antimafia”. Lo scontro degenerò in una sorta di linciaggio morale in cui taluni giunsero a bollare lo scrittore come un “traditore” della lotta alla mafia, un “quaraquaqua” e via blaterando.
Pur non condivendo taluni passaggi dello scritto (lo scrittore sbagliò persona- Paolo Borsellino- ma avvertì del pericolo di un possibile snaturamento di quella lotta), non ritenni di accodarmi a quelle dichiarazioni offensive che criticai pubblicamente e per iscritto non per per amicizia (giacchè amico di Sciascia non fui, lo frequentai in quelle rare sue venute a Montecitorio), ma solo per onestà intellettuale e politica e anche per rispetto della mia autonomia di giudizio.
Dello scrittore ho sempre apprezzato lo stile conciso, denso, la capacità d’intuizione, anche politica, senza considerarlo “profetico” e/o mitizzarne l’opera, il pensiero come taluni continuano a fare.
Aveva ragione Sciascia o i suoi detrattori e accusatori?
Nel Pci le opinioni erano contrastanti: al di là della personalità di Sciascia, in ballo c’erano una certa concezione e pratica della lotta antimafia.
Per capire l’atmosfera del tempo, sono andato a cercare fra le mie carte e ho trovato questa intervista a Marcelle Padovani, pubblicata dall’agenzia “Parcomit” nell’agosto 1989 (che allego anche come documentazione), nella quale si riflette l’asprezza di quella polemica che indusse la famosa giornalista francese, che con Sciascia aveva publicato il bellissimo “La Sicilia come metafora”, a un giudizio molto pesante sullo scrittore.
Pur trattandosi di un’Agenzia di stampa del mio Partito, dissentii da quel giudizio tranciante, ingiusto specie quando la Padovani definisce Sciascia “uno che sta dall’altra parte.”