Si tratta del ventenne Mohamed Sa’id Ismail Musallam (nel video dichiara 19 anni e potrebbe significare che sia stato ucciso da settimane), nato a Gerusalemme il 16 febbraio 1995.
Gli hanno fatto raccontare la sua storia poi la solita scena, con la tunica arancione in attesa della sua esecuzione con un terrorista che minaccia l’Occidente in francese.
Gli viene sparato in viso e nella tragedia se ne vede un’altra. A sparargli a bruciapelo quardandolo negli occhi è solo un bambino. Un bambino che gli spara e poi lo finisce.
Storia di Mohamed Sa’id Ismail Musallam…
…come gliel’hanno fatta raccontare.
“Lavoravo come pompiere. Avevamo un vicino che lavorava nella polizia. Un giorno è venuto e mi ha chiesto di unirmi ai servizi israeliani. Gli ho detto che ci pensavo. L’ho detto a mio padre Sa’Id Isma’Il Musallam e mio fratello Ismail Sa’Id Musallam che mi hanno entrambi incoraggiato dicendomi che avrei potuto fare carriera ed ottenere molti soldi; capii a quel punto che anche loro lavoravano come spie.
Ho incontrato un uomo il cui nome è Eli, un ufficiale dei servizi assegnato ai checkpoint nella West Bank. E’ venuto a casa ed ha incontrato mio padre che è rimasto con noi. Mi ha spiegato diverse cose sul lavoro, la sua importanza ed i suoi vantaggi economici. Poi mi ha mandato in un campo d’addestramento a Gerusalemme Est, l’Anatawt Training Camp dove ho iniziato la mia preparazione. Eravamo in 9. Hanno cominciato ad insegnarci come sopravvivere ad un interrogatorio a come mantenere il controllo ed a come ottenere informazioni dagli altri. Mi sono anche addestrato all’uso delle armi. Al corso di addestramento erano ovviamente tutti ebrei. Io ero il solo arabo. Siamo stati nel campo per un mese. Per quel periodo sono stato pagato 5.000 Shekel. Ho finito l’addestramento e ho cominciato a lavorare come spia in mezzo alla gente. Il mio compito specifico era quello di trattare con i venditori di armi, con chiunque lanciasse razzi, con tutti i ricercati e con chiunque sembrasse voler infiltrare il territorio ebraico. Dovevo comunicare all’intelligence tutte le operazioni previste su Gerusalemme. In Palestina, la paga che ricevevo per i miei compiti era di 5.000 Shekel o anche più. Più il compito era importante, più l’informazione era importante, più ero pagato e ricevevo dei premi.
Un giorno sono tornato a casa ed ho trovato un ragazzo che si chiamava Miro, era seduto con mio padre e mio fratello. Teneva tra le mani il mio dossier e lo stava leggendo. Mi ha ringraziato per il lavoro che stavo facendo e per l’aiuto che fornivo. Mi ha detto di continuare su quella via per poter eventualmente lavorare per “loro”. Anche mio padre e mio fratello mi hanno ringraziato dicendo che facevo sempre meglio. Hanno continuato ad incoraggiarmi. Poi se n’è andato. La volta successiva ha detto che volevano che lavorassi per loro. Dissi che ero d’accordo. Rispose che ci avrebbero chiamati. Poi mi chiamò e mi invitò nel suo ufficio. Andai e mi pose delle domande. Mi chiese se sarei stato in grado di cavarmela se mi avessero preso assieme a certa gente. Mi chiese quante lingue parlavo e quali lavori sapevo fare.
Quindi mi disse: “Dobbiamo effettuare un compito urgente” . Chiesi “Quale?”. Hanno detto: “Vogliamo mandarti nello Stato Islamico e devi portarci il maggior numero di informazioni su di loro”. Chiesi quanto sarei stato pagato e mi risposero che avrei ricevuto uno stipendio mensile, una casa e che si sarebbero occupati di tutto quello di cui avrei avuto bisogno al mio rientro. Volevano le informazioni sui luoghi dove sono tenute le armi ed i missili. Poi le basi, una ad una ed infine il nome di ogni palestinese legatosi allo Stato Islamico dalla Palestina. Volevano il nome di ogni palestinese. Ho solo chiesto “Quando parto?”. Mi dissero di non far nulla fino alla fine dell’addestramento e del seminario sulla sharia, che mi avrebbero inviato il materiale e le armi necessari e nuovi compiti. Abbiamo concordato tutto, ho accettato e sono partito per la Turchia.
Ho incontrato dei contrabbandieri che mi hanno indicato la via per la Siria. Sono così entrato nello Stato Islamico. Ho vissuto in una casa privata. Con altri. Ci siamo stati per 13 o 14 giorni. Poi dovetti partire ed informarli che ero arrivato. Dissero che non c’era nulla che andasse storto. Lasciai la casa ed andai in un Internet Point. Dissi a mio padre che tutto andava bene. Tornai nella casa dove avevano scoperto che ero uscito. Il mio ospite mi chiese “ Perché sei uscito?”. Mi disse che avevo dimenticato di ascoltare ed obbedire. A quel punto mi spaventai, temevo che mi sospettassero perché ero andato a fare una telefonata. Temevo che mi punissero o che mi tenessero d’occhio. Cominciai a dubitare e tornai a telefonare a mio padre. Gli dissi cosa era successo. Mi disse di andarmene.
Alcuni uomini dell’amministrazione della frontiera dello Stato islamico vennero a trovarmi. Sono stato incarcerato ed hanno cominciato ad interrogarmi. Ho confessato di essere una spia. Ho confessato cosa facevo nel mio paese ed il mio percorso sino alla frontiera siriana. Ho detto che mio padre e mio fratello mi avevano portato a questa situazione e che mi avevano tentato con i soldi ed altre cose. “Pentitevi e lasciate questo lavoro”. Dico a coloro che vorrebbero diventare spie contro lo Stato Islamico di non farlo perché alla fine ti prendono.
Appaiono le immagini di un adulto e di un ragazzino, un bambino, entrambi in tuta mimetica. Parla il jihadista adulto, un francese di Tolosa, parla contro Israele ed il Mossad che ha inviato spie. Minaccia gli ebrei di sterminio. Minaccia Gerusalemme.
Viene fatto inginocchiare Mohamed Sa’id Ismail Musallam. Il bambino viene portato avanti dall’adulto. E’ armato di una pistola. Si mette davanti al giovane israeliano inginocchiato che lo guarda in viso. Il bambino non sembra un bambino, ha uno sguardo di odio mentre quello della vittima è quasi di pietà nei confronti della bambino. Vittima anche lui.
Luisa Pace