La promessa del neopresidente Mattarella che tutto sarebbe stato fatto per “portare a casa i nostri Marò” pare sia destinata a fare da copertura, come già la fece la sciagurata cerimonia del ricevimento al Quirinale da parte di Napolitano risposta al tradimento del “ripiegamento” dalla linea del già adottato rifiuto di riconsegnarli agli Indiani, di un secondo, vergognoso, definitivo epilogo della vicenda, corrispondente, in pratica, all’adozione della “linea” del viceministro degli Esteri del Governo Letta nonché “responsabile Esteri del P.D.” Lapo Pistelli: lasciarli condannare dagli Indiani “ad una pena inferiore ai setti anni” che, poi, cortesemente, gli Indiani ci incaricherebbero di far scontare a quei poveracci nelle nostre accoglienti galere.
Un silenzio gelido è caduto sulla vicenda.
E’ avvenuto senza il minimo clamore, come si addice ai delitti premeditati, il rinvio anche di Latorre, già trattenuto in Italia per la riabilitazione dalle conseguenze dell’icuts, in India.
E siamo arrivati alla data fissata, secondo le pulcinellesche procedure Indiane, per il processo.
Non una parola sulle prove abusivamente raccolte contro i nostri Militari da parte degli Indiani è stata di recente pronunziata da organi ufficiali (e di stampa) Italiani. E soprattutto, non una parola delle prove dei fatti veri che, malgrado tutto, sono disponibili a Roma.
E’ oramai evidente che da parte del nostro Governo si fa di tutto e di più perché il processo Indiano sia consumato alla chetichella.
Quattro strilli quando si saprà della condanna (con frasi consolatori perché è stato riconosciuto che si è trattato di omicidio colposo e non è stata applicata la pena di morte) e poi, magari, il trionfalistico starnazzare di Renzi e di Gentiloni perché si otterrà che i Marò vengano in Italia. In galera.
Man mano che questa conclusione incredibile, avvilente per tutto il Paese, ignobile per la mancanza di rispetto e di tutela per chi lo serve sotto le armi, diventa più probabile, cresce il disappunto per la mancata attivazione della procedura di arbitrato internazionale, annunziata dai nostri governanti più e più volte, sempre bugiardamente.
E cresce l’incredulità ed il disappunto di fronte alla mancata utilizzazione delle prove, anche documentali, che l’incidente in cui fu coinvolta la petroliera italiana “E. Lexie” ed in cui i Marò ebbero ad aprire il fuoco (in aria ed in mare) per l’accostarsi di un barchino presumibilmente pirata, fu diverso, ed accaduto a distanza di alcune ore, da quello in cui trovarono la morte i due pescatori.
Perché queste resistenze?
Ogni giorno che passa e che più probabile appare la volontà di abbandonare i Marò alla mercé di una bislacca giustizia Indiana, si fa avanti sempre più concreto e prepotente il sospetto che in realtà qualcuno in Italia abbia volentieri “prestato” la “E. Lexie”, l’aggressione da essa subita, e, quel che è peggio, la sorte e le persone dei nostri Militari, come alibi ai partner di lucrosi affari e di maneggi di tangenti miliardarie per coprire un atto di brutalità della guardia costiera Indiana. Un inverecondo “prestito”, magari sfuggito di mano fin dall’inizio a chi lo aveva concepito, richiesto e consentito, per l’esplodere della xenofobia nello Stato del Kerala della confederazione Indiana (comunista).
U sospetto atroce del quale vorremmo poterci vergognare, ma che i nostri ineffabili governanti, quelli del Governo Monti, di quello Letta e di quello Renzi sembra facciano di tutto per impedircelo e convincerci che non si tratta di un nostro cedimento alle solite “dietrologie”.
Malgrado i miei convincimenti sulla figura ed il ruolo del nuovo Presidente della Repubblica Mattarella, credo sia il momento di ricordargli le parole pronunziate all’atto della sua assunzione dell’altissima carica.
Con l’implorazione di non far sì che di esse possa esser fatta una così incredibile utilizzazione di copertura di un vero delitto.
Altrettanto dovremo ricordare ai giornali che sembrano già assuefatti alla “dimenticanza” dei Marò e pronti a coprire l’estremo mercanteggiamento, magari presentandolo come un “successo” del Governo.
Dio non voglia.
Mauro Mellini