La polizia ha espulso Oussama Khachia, cittadino marocchino che da più di 20 anni viveva in Italia. Oussama, saldatore professionale alla Petrella di Castronno, aveva ricevuto un “provvedimento di espulsione basato sulla pericolosità dello stesso in ragione di una sua potenziale strumentalizzazione” da parte di organizzazioni terroristiche presenti sul web che, secondo l’accusa, “avrebbero potuto convincerlo ad effettuare azioni giustificate dal credo religioso fondamentalista”, a seguito della sua intensa attività sui social network dove esprimeva opinioni forti in sostegno dei terroristi dello Stato Islamico.
Secondo le diverse fonti stampa che hanno riportato la notizia, Oussama Khachia sarebbe quasi vittima del Ministero dell’Interno che in nome della lotta al terrorismo minaccerebbe la libertà d’opinione. Una vicenda che il giovane marocchino, prima del suo rimpatrio da Malpensa ha commentato su Twitter interpellando direttamente il ministro dell’Interno Angelino Alfano: “È stato espulso un giovane musulmano di seconda generazione da Varese proprio in queste ore per la nuova norma stupida di @angealfa (account del capo del Viminale – ndr)”.
Fin qui la cronaca di un fatto che da parte di una certa stampa “buonista” andrebbe meglio analizzato. Oussama infatti, oltre ai tanti post che inneggiavano allo Stato Islamico, sui social network seguiva estremisti islamici considerati dalle forze di polizia di più nazioni come soggetti pericolosi e legati ad organizzazioni terroristiche. Tra questi, il gruppo londinese che fa capo ad Anjem Choudary, Mizanur Rahman e Siddhartha Dhar, conosciuto con il nome di battaglia di Abu Rumaysah, balzato all’onore delle cronache per essere sfuggito all’intelligence britannica e all’antiterrorismo londinese che, dopo averlo arrestato il 25 settembre – insieme ad altri sospetti terroristi tra i quali lo stesso Anjem Choudary e Mizanur Rahman – se lo son visti rilasciare su cauzione neppure 24 ore dopo averlo ammanettato.
Considerati tutti estremisti islamici conosciuti alle forze dell’ordine britanniche, i loro nomi sono collegati al gruppo islamico al-Muhajiroun, che reclutava terroristi disposti a combattere in Siria e Iraq. Infatti, subito dopo la fuga da Londra, Abu Rumaysah ha raggiunto la Siria dove combatte con le forze dell’ISIS e ama farsi fotografare nel corso delle sue imprese terroristiche armato di mitra.
Solo Tweet? No. Come se già non fossero sufficienti i collegamenti a personaggi di simil fatta, il buon Oussama Khachia, il giovane marocchino, figlio di un imam, conosciuto come “un bravo ragazzo” e che la stampa ci ha presentato quasi come vittima di uno stato di polizia nel quale viene impedita la libertà di poter esprimere le proprie opinioni (in supporto di organizzazioni terroristiche), tra i suoi contatti aveva anche Mehdi Masroor Biswas, noto su Twitter come Shami Witness, arrestato in India con l’accusa di cyber terrorismo e di crimini contro lo Stato, considerato uno dei maggiori reclutatori di jihadisti in Occidente per conto dello Stato Islamico.
Senza entrare nel merito del fatto se nei Tweet del sig. Oussama Khachia si potrebbero configurare estremi di reato (apologia, nella fattispecie del terrorismo), forse sarebbe doveroso da parte di una certa stampa analizzare un po’ meglio i fatti.
Se disgraziatamente il buon Oussama Khachia, entrato in contatto diretto con quelli che erano i suoi contatti virtuali legati al mondo del terrorismo avesse organizzato o preso parte ad azioni terroristiche nel nostro paese o in altre nazioni occidentali, cosa avremmo scritto? A chi avremmo attribuito la responsabilità per non aver vigilato e non aver preso alcun provvedimento nei riguardi di un soggetto che non nascondeva le proprie simpatie per gruppi terroristici e che con tali soggetti era in contatto?
Basta un po’ di falso buonismo e quella superficialità che ha portato i media a pubblicare i tweet del giovane marocchino, senza verificare i collegamenti più o meno virtuali dello stesso, a fare del buon giornalismo?