Dire quello che si prova non deve richiedere troppo tempo. Me lo diceva mio padre. I veri sentimenti si nutrono di gesti e frasi brevi. Un giorno mi spiegò: “se una risposta su ciò che provi, arriva dopo più di tre secondi, o non è sincera o ha comunque preso una strada troppo lunga per venir fuori”. Per lui l’amore, l’amicizia, non andavano farciti di parole. Andavano presi alla sprovvista, per saggiarne la genuinità. In fondo sono le piccole frasi che chiudono o aprono rapporti. Ho bisogno di te. Non ti amo più. Il resto, come si dice in un film, fa solo volume. Riempie inutilmente. Una volta mi disse anche che c’è da dire solo una parola a chi durante una crisi, chiede quelle famose pause di riflessione e di distanza “per vedere se davvero ci manchiamo”, la parola è vaffanculo.
Anticipare. Una delle sensazioni più sgradevoli da provare, nelle relazioni umane quotidiane, di qualsiasi natura. Mi ricorda una canzone di Gaber, i borghesi. Come quando ti siedi a tavola, con commensali che conosci ormai bene. Anticipare le battute che verranno fatte da chi hai davanti. Sapere esattamente chi parlerà, quando e come. Cosa dirà, quanto sarà volgare e forbito il commento, a seconda del momento. Quanto vuole colpire la platea. Anticipare, anche se ti stai divertendo, ha un potere inchiodante. Ha assegnato un ruolo. Un piccolo gelo esistenziale e comunicativo, che chiunque, me compreso, credo si auguri di far provare il meno possibile agli altri.
Ettore Zanca