Emanuele Piazza (Palermo, 1960 – Capaci, 16 marzo 1990) è stato un poliziotto italiano.
Piazza entra nelle forze dell’ordine come agente della Polizia di Stato. Successivamente, si dimette per trasferirsi nella sua città natale, operando poi come agente dei servizi (SISDE) e “cacciatore di latitanti”. Durante il suo ultimo incarico lavorerà anche come autista e guardia del corpo per alcuni politici.
Emanuele Piazza scompare dalla sua abitazione di Sferracavallo, a Palermo, il 16 marzo 1990. Il giorno seguente avrebbe dovuto partecipare alla festa di compleanno del padre Giustino, ma non si presenta. Preoccupati, il padre e il fratello si recano a cercarlo in casa e verificano la sua assenza, ma notano che in cucina c’è un tegame con della pasta cotta e non più servita, mentre sul ripiano vi è una scatola di cibo destinata al cane che Emanuele possiede, ma la scatola è stranamente lasciata aperta; l’animale, inoltre, si mostra affamato. Tutti segni che indicano che il ragazzo è, forse, uscito all’improvviso, ma non è più tornato. Giustino Piazza, noto avvocato, decide allora di denunciarne la scomparsa.
Nonostante le sollecitazioni del padre, da quel momento amici e referenti di Emanuele Piazza alzano un muro di silenzio sui loro rapporti, arrivando persino a negare che lavorasse per il Sisde, sin quando Giovanni Falcone si interessa al caso e ottiene conferma dal direttore del servizio, Riccardo Malpica, che Piazza avesse qualifica di agente in prova: era il 22 settembre del 1990, ben sei mesi dopo la sua scomparsa. Del caso si occupano anche le trasmissioni televisive Chi l’ha visto? nel 1998, e Blu Notte, nel 2003, parallelamente al caso della scomparsa dell’agente Antonino Agostino, ma nel frattempo i genitori dei due agenti cercheranno invano la verità.
Per Emanuele Piazza, la ricostruzione dei fatti avvenne grazie alle rivelazioni di due collaboratori di giustizia, tra cui il suo stesso assassino, Francesco Onorato: quel 16 marzo Emanuele viene attirato fuori dalla sua abitazione da Onorato, ex pugile e suo vecchio compagno di palestra, con la scusa di cambiare un assegno in un magazzino di mobili di Capaci (a pochi minuti di distanza da Sferracavallo). Onorato condusse Piazza in uno scantinato, e l’agente venne strangolato. In seguito il suo cadavere venne sciolto nell’acido in un casolare della campagna di Capaci, a poche centinaia di metri dal luogo dove nel 1992 troverà la morte lo stesso giudice Falcone.
I misteri intorno all’omicidio.
Stando alle notizie raccolte da Falcone, Emanuele Piazza avrebbe collaborato ufficialmente coi servizi dal 13 novembre 1989 al 13 febbraio 1990. Le sue soffiate avevano prodotto un paio di arresti ed il reperimento di una base d’appoggio per killer mafiosi e gli sarebbe anche stata consegnata una lista di latitanti da cercare stilata su carta intestata del ministero degli Interni, tra cui spiccava anche Salvatore Riina, allora al vertice di Cosa Nostra.
Ad un certo punto, la carriera di Piazza si era incrociata con quella dell’agente Agostino, anch’egli attivo nel Sisde ed a caccia di latitanti. Quest’ultimo verrà assassinato assieme alla giovane moglie Ida il 5 agosto 1989, in circostanze poco chiare che per lungo tempo non troveranno risposta e soggette a pesanti depistaggi. All’epoca, venne comunque ipotizzato che egli fosse a conoscenza di importanti fatti sul fallito attentato dell’Addaura a Giovanni Falcone.
Dopo il duplice omicidio Agostino, Emanuele Piazza aveva continuato ad indagare su chi avesse assassinato il collega e sua moglie, proseguendo, tra l’altro, il tentativo di ottenere informazioni sui latitanti mafiosi, infiltrandosi negli ambienti affini.
Come risulterà solo a distanza di anni, in una di queste occasioni, Piazza venne notato da Salvatore Biondino, della famiglia mafiosa di San Lorenzo e braccio destro di Totò Riina (con cui verrà catturato), mentre scambiava amichevolmente quattro chiacchiere con Onorato. Poco dopo, Biondino rimproverò Onorato dicendogli: “Che fai, ti abbracci con gli sbirri?”.
Evidentemente, Biondino era al corrente di chi fosse Emanuele Piazza e soprattutto che avesse il compito stabilito coi servizi segreti, peraltro altamente riservato, di cercare latitanti. L’ordine dell’omicidio sarebbe stato impartito dunque perché Piazza era diventato troppo scomodo. Si presume dunque che la posizione di Piazza, come quella di Agostino, sia stata compromessa da una “talpa” vicina alle autorità.
Nuove ipotesi investigative emerse vent’anni dopo, avallerebbero le indiscrezioni giornalistiche[1] secondo le quali Emanuele Piazza ed Antonino Agostino riuscirono ad impedire che l’attentato a Falcone si compisse, fingendosi sommozzatori e rendendo inoffensivo l’ordigno nelle ore notturne antecedenti al ritrovamento.
Per i PM Antonio Ingroia ed Amelio, comunque, il caso non è ancora completamente chiarito. Nel frattempo, il padre di Emanuele Piazza ha dichiarato a “Chi l’ha visto?” di voler richiedere un indennizzo allo Stato, e di volere investire gli eventuali fondi per fondare un’associazione intestata al figlio finalizzata a nuove attività sociali nel quartiere San Filippo Neri di Palermo.