Al di qua della marana c’era il prato, la strada asfaltata e la loro palazzina. Oltre i pioppi e i salici, i campi. Nell’inverno nebbioso i buoi maremmani che tiravano lentamente l’aratro sembravano apparizioni. Dietro teneva il contadino. La finestra era fredda e ci poggiava la fronte. Il tempo e gli uomini hanno prosciugato la marana. Non ci sono più le greggi che si riversavano nei prati sotto casa, il quartiere è di lusso, e un qualche pendio con panchine e alberi superstiti è stato dichiarato parco.
Sua madre indossava il suo tallieur pesante e l’impermeabile, staccava dal gancio la borsa fatta di spicchi di pelle imbottita, che le serviva per la spesa, si preoccupava di abbottonarle bene il cappotto, e che il cappello di velluto le coprisse le orecchie. Si usciva nel freddo agro che veniva dalle vaste aree incolte, dal fango indurito dalla tramontana. Il mercato era roba per l’estate, così lontano e addossato all’area per le giostre.
L’inverno era per i negozi in fila su un’unica strada stretta, il fornaio con il commesso sordo, i fruttivendoli, moglie e marito, ambedue rossi di capelli e lestofanti. Le foglie annerite dei platani, cadute nel mese di novembre, si ammucchiavano ai lati dei marciapiedi, fino a seccarsi e diventare croccanti se calpestate dalle scarpe con le suole di caucciù.
Lontano dagli spaventi della scuola, con il freddo che tagliava le gambe, si teneva stretta alla madre nella sua peregrinazione : un etto di mortadella, le ciriole che costavano meno, chili di cicoria, un osso per il brodo. A casa si tornava intirizziti, una grande casa disadorna, con scomode poltroncine svedesi e un tavolino di cristallo rotondo con gambe di legno chiaro sghembe e irritanti.
Non c’era che accostarsi alla malinconia della finestra, accanto al calorifero, con lo sguardo sui bovi rallentati dal giogo e le limacce bianche del cielo.
Al mezzogiorno la madre cominciava a preparare il pranzo, alle due il padre tornava, ci si metteva in tavola, dopo estenuanti discussioni tra i fratelli per chi dovesse apparecchiare. C’era spesso del brodo e della cicoria bollita, qualche uovo, una sterile polemica del fratello grande che pretendeva più cibo e dei soldi, per uscire con qualche ragazza. Lei rifiutava la verdura amara, la foga dei litigi, la brutta vista dei rombi rossi e bianchi della tovaglia. Alla domenica c’era la radio a distrarli, e un senso di rassegnata distensione.
Alla sera sua madre si stendeva sul divano e lei poggiava la testa sul suo grembiule a quadri, e sentiva il cuore della donna e non ricordava di averlo mai udito prima.
Davano spesso film western, intere saghe dove il protagonista era un unico grande attore del passato, generalmente morto. Poi pellicole di un unico grande regista svedese. Lei non voleva dormire, lottava con il freddo e il sonno poi qualcuno la portava in un letto gelato e chiudeva la luce. Nel dormiveglia la montagna nera e le sagome dei protagonisti incappucciati che sgambettano dietro la morte intabarrata, continuavano a perseguitarla. Per molto tempo non si sarebbe più avventurata nel corridoio di casa male illuminato.
Le mattine di tramontana il terreno sfavillava di brina e il cielo gli gravava addosso azzurro e asciutto. Sua madre l’accompagnava a scuola finalmente non nel solito fango, ma nella terra indurita e solida. Per colazione aveva un sacchetto di grissini. C’era tanta gente intorno a loro che raggiungeva la scuola, bambini con cartelle di cuoio, madri con cappotti troppo leggeri. Ma lei non li notava. Davanti alla scuola la madre le porgeva un piccolo vaso con due ciuffi di clorophillium: – La pianta che ha chiesto la maestra-
-Ma non ci sono i fiori-
-Fatti bastare questa-
Sul portone della scuola lei non saluta sua madre. Non sa come farà a consegnare quella pianta così diversa dai ciclamini che già qualche compagno ha portato.
In classe sono trentacinque, c’è odore di matite temperate, di mandarino e coccoina. Lei resta muta al suo posto, mentre qualcuno legge del Natale, di gomitoli e di cose, di un focolare che non c’è più in nessuna casa. Solo un paio di poltroncine svedesi, con scene di caccia, e un albero sintetico con grosse sfere di plastica. Forse la luce della lampada sul divano potrebbe essere un focolare. La maestra ha riposto in un armadio i regali delle famiglie. Ogni tanto li controlla e le sfugge una esclamazione. Qualcuno ha rubato la bottiglia di marsala.
-La bottiglia che mi ha regalato la madre di quella bambina- e la indica- Povera donna, deve essere pure operata-
Così lei lo viene a sapere. Rosso, come il marsala, come il Natale, come il sangue.