La produzione di eroina in Afghanistan è cresciuta in maniera esponenziale in poco più di dieci anni. “L’eroina afgana ha ucciso più di un milione di persone in tutto il mondo da quando è cominciata l’operazione ‘Enduring Freedom’, e più di un miliardo di dollari provenienti dalla vendita di droga sono stati investiti nella criminalità organizzata transnazionale”, aveva rivelato il capo del Servizio Federale Russo di Controllo della Droga, Viktor Ivanov, ad una conferenza sulla situazione della droga in Afghanistan.
Nel mese di marzo, forze combinate della coalizione e della sicurezza afghana hanno tratto in arresto un leader talebano ritenuto responsabile per aver diretto attacchi terroristici contro le forze di sicurezza, mentre altri arresti sono stati effettuati nel distretto di Nawah-ye Barakzai, provincia di Helmand, nel distretto di Arghandab provincia di Kandahar, in provincia di Logar di Baraki Barak e nella provincia di Paktia di Gardez, nel corso di operazioni antiterrorismo.
Oltre gli arresti, il sequestro di oltre 20kg di eroina pronta ad essere esportata, il cui ricavato dalla vendita sarebbe dovuto servire per l’acquisto di armi ed esplosivi.
Ma qual è il nesso tra terrorismo e traffico di droga? Le strategie politiche globali hanno portato a grandi cambiamenti anche nel terrorismo, in particolare in Medio Oriente, dove la grave crisi istituzionale e strutturale ha portato ad interventi esterni da parte di paesi come Israele, Stati Uniti e Iran.
Agli inizi del decennio scorso, i comandanti talebani afghani, dopo essere stati cacciati via dal loro paese d’origine, presero a vivere in piccoli villaggi di poche case costruite con mattoni di fango.
Una vita grama che aveva un duplice effetto: da un lato, la costruzione di un’immagine accattivante che facesse presa sulle popolazioni locali; dall’altro, il rimanere sotto traccia e sfuggire più agevolmente alle temute attenzioni degli americani.
Negli ultimi anni si assiste ad una diversa tendenza, con la nascita di nuovi agglomerati urbani la cui ricchezza non ha nulla da invidiare ai bei quartieri delle città occidentali.
Ville e palazzine lussuose , abitate da leader talebani improvvisamente diventati ricchi, dinanzi le quali sostano fiammanti auto di lusso superaccessoriate.
A cosa si deve tanta ricchezza dei talebani in Afghanistan e Pakistan? Il commercio della droga ha rappresentato uno dei fattori più importanti dell’economia dell’Afghanistan, attirando le attenzioni degli ex signori della guerra dell’Alleanza del Nord, che, grazie a funzionari governativi corrotti e narcotrafficanti provenienti da varie parti del mondo, si sono arricchiti sfruttando le popolazioni locali. I leader talebani locali, inizialmente si limitarono a trarre benefici economici garantendo protezione ai coltivatori di papaveri da oppio, fin quando non decisero di entrare loro stessi a far parte della schiera di narcotrafficanti che con la loro eroina dall’Afghanistan invadono il mondo.
Numeri da capogiro che, secondo un rapporto del 2009 dell’UNODC, ai talebani locali – i quali percepivano il 10% dei ricavi delle piantagioni di papavero da oppio, giustificandolo con la necessità di finanziare le operazioni terroristiche – avrebbero fruttato decine di milioni di dollari e circa altri 70 milioni per la protezione ai convogli di carichi di droga che viaggiano attraverso il loro territorio.
Un mercato in continua crescita, se si considera che nel solo 2012 gli agricoltori afghani hanno coltivato più di 380.000 ettari di papaveri da oppio, dei quali solo il 6% è stato distrutto da parte delle forze di polizia impegnate nelle operazioni antidroga
Non c’è voluto molto prima che i talebani passassero dal pizzo (tassa del 10% sulla produzione) e dalla protezione ai preziosi carichi, alla diretta partecipazione al business, prestando i soldi per le semenze ai contadini, acquistandone il raccolto, raffinandolo ed esportandolo già sotto forma di eroina verso altri paesi. Un business che secondo l’UNODC frutterebbe ai leader talebani oltre 200 milioni di dollari.
Con le forze speciali americane impegnate su fronti diversi da quelli del narcotraffico, con politici e funzionari di polizia corrotti che ricavano dall’oppio molto più di quanto potrebbero guadagnare onestamente, i narcotrafficanti talebani hanno gioco facile nel finanziare la jihad e giustificare i loro traffici, nonostante la droga sia condannata dall’Islam, come se fosse una nuova forma di jihad: “Combattere il nemico con la droga e prendendo il suo denaro è la stessa lotta con l’infedele denaro americano”.
Per raggiungere l’obiettivo, i talebani hanno dovuto stringere un accordo di convenienza con i loro principali nemici di sempre, dimenticando le divergenze politiche e guardando solo agli affari: gli ex membri dell’Alleanza del Nord.
Il problema principale per i talebani, pare provenga dall’interno delle loro stesse fila, visto che non tutti condividono l’idea di sporcarsi le mani con la droga e, ancor peggio, il fatto che si sia venuta a creare una struttura verticistica simile ad altre forme di criminalità organizzata, che lucra sugli utili che i comandanti locali traggono dalla coltivazione e dalla raffinazione dell’oppio.
“Alti dirigenti intascano circa l’80 per cento dei ricavi della droga da cinque province del sud. Questo è denaro sacro per la jihad e nessuno deve prenderne più della giusta quota”, afferma uno di loro.
A distanza di secoli sembra ripetersi la storia delle Triadi, che, nate nel contesto della resistenza Ming all’occupazione alla dinastia Manciù dei Qing, si trasformarono nella potente organizzazione criminale cinese che tutti ben conosciamo e che si pone ai vertici dei traffici internazionali di droga.
Gjm