Tra le note giunte in redazione dopo l’elezione di Papa Francesco I°, ne abbiamo scelta una a firma di Rodolfo Cardarelli che riteniamo sia meritevole di particolare attenzione:
“Caro Francesco,
ti faccio le mie felicitazioni e i miei auguri, perché ne avrai bisogno.
Non posso neanche immaginare cosa voglia dire per un solo, piccolo essere umano, il carico di responsabilità che ieri ti hanno assegnato e tu hai preso sulle tue spalle.
Mi permetto di darti del tu, perché da non credente non riesco a vedere in te Sua Santità, ma un uomo come gli altri; scusami, ma non mi viene proprio di sentire lo spirito santo che aleggia sul capo dei Cardinali mentre ti scelgono come successore di Pietro.
Eppure non posso ignorare che da oggi sei il riferimento principale e il capo assoluto di una comunità di un miliardo di persone. Penso che ora ogni tua parola, ogni tuo gesto, ogni tua decisione, potrà cambiare la vita di molti uomini e donne, e anche quella di chi come me, pur non sentendosi appartenente alla tua comunità, ci vive immerso da sempre.
Per questo mi permetto, nel momento della gioia e della preoccupazione, di ricordarti che sono molte le cose che puoi fare per migliorare la vita delle tue pecorelle, e anche la nostra, atei, agnostici, miscredenti e dubbiosi, che di dio non sappiamo bene che farne, ma che temiamo le azioni degli uomini, soprattutto di quelli che parlano a suo nome.
Ricordati, Francesco, che più della metà degli essere umani che oggi popolano questo nostro pianeta, sono di sesso femminile.
E se è vero che nelle comunità cristiane e cattoliche godono di una libertà personale e intellettuale che in altre comunità religiose è anche impossibile sognarla, devo dirti che vedere ieri sui balconi di San Pietro affacciarsi solo vecchi uomini mi ha fatto male. Mi ha fatto pensare che ho una madre, una sorella, una moglie, una figlia, e sono persone che la tua chiesa oggi esclude, tranne per farne appunto madri, sorelle, mogli, figlie. Magari concubine, oppure perpetue. Se va bene suore. Ma non hanno pari dignità nella tua comunità.
Parti da qui, Francesco, sarebbe importante riconoscere che gli esseri umani sono tutti uguali di fronte a dio, anche se Gesù era uomo, e suoi apostoli lo stesso.
Ma come disse Giovanni Paolo I, Dio è padre e madre.
E i suoi figli sono fratelli e sorelle.
C’è scritto anche nelle tavole della legge che Dio consegnò a Mosè: non rubare, non desiderare la roba d’altri.
Gesù predicò la povertà, in povertà.
Il tuo omonimo ancora oggi viene chiamato il “Poverello d’Assisi”.
I soldi, caro Francesco, sono il controvalore del nostro duro lavoro. Sono la moneta di scambio con cui barattiamo la nostra giornata per un pezzo di pane.
I soldi non valgono niente, in sé, anche se si uccide, si ama, si corrompe per i soldi.
Spesso neanche per quello che possono comprare, che già sarebbe un passo avanti.
No, talvolta i soldi corrompono l’anima delle persone solo per il fatto di esistere, di essere accumulati e contati.
Alcune religioni considerano peccato l’interesse bancario; non voglio arrivare a chiederti questo, no.
Ma guarda nella tua chiesa, e domandati se è giusto che i tuoi accoliti, magari quelli a cui hai dato più fiducia, usino le grandi ricchezze materiali che la chiesa possiede per controllare persone, movimenti politici, assegnare beni, favorire questo o quest’altro.
So bene che la chiesa fa anche un buon uso dei soldi che tutti i suoi fedeli (e anche i non fedeli, visto che non pagate tasse al governo italiano da tempo immemorabile) vi donano.
Ma so anche che avete fatto del potere economico uno strumento di potere, coercizione e corruzione.
Dovresti ricominciare da Francesco, Francesco, e chiedere a te stesso e ai tuoi di fermare tutto questo.
Sappiamo tutti come funziona la natura, e Darwin – scusa se mi permetto di citarlo – ci ha anche spiegato perché la riproduzione sessuata è la più efficace possibile, per questo è stata selezionata praticamente da tutte le specie animali, compresa la nostra.
Oh, lo so che lo sai anche tu: la chiesa ha fondato su ciò uno dei principi base della sua dottrina, il matrimonio ha come scopo la riproduzione, e l’unione di un uomo con una donna è l’obiettivo della loro esistenza.
Ma vedi, non possiamo ignorare che una percentuale altissima di noi, qualcuno dice addirittura il 15%, è attratta e ama persone del suo stesso sesso.
E spesso queste persone sono ferventi cattolici; ti potrei anche fare un paio di nomi di papi che secondo me potevano far parte di questa ridotta ma solida minoranza.
Non ti chiedo di riconoscere agli omosessuali dei diritti che non sei pronto ora né forse mai a riconoscere: ma la tolleranza e la carità cristiana sono per tutti.
Cerca di ridurre un pochino l’omofobia che spesso circonda le cose di chiesa, soprattutto perché al tuo interno, come è giusto e naturale che sia, ce ne sono tanti, che magari soffrono in silenzio.
Disse Gesù: “Lasciate che i bambini vengano a me”.
Penso di sapere perché lo disse: perché i bambini sono il nostro futuro, la nostra speranza, la nostra salvezza.
Noi adulti, vecchi peccatori, non possiamo più cambiare, possiamo solo continuare a ripetere i nostri sbagli; ma loro no, loro possono essere migliori, più felici, più giusti.
Il futuro è dei bambini, e noi li mettiamo al mondo per questo: per regalare loro il nostro futuro, quello che non vedremo e che invece loro dovranno prendere sotto la loro responsabilità quando diventeranno adulti.
I bambini sono sacri, Francesco. Non c’è peccato più grande che fare del male ai bambini, e questo peccato credo sia inviso a dio ancora di più se viene da uno dei suoi rappresentanti sulla terra.
La pedofilia è la parte più brutta, distorta, disgustosa, di tutte le perversioni che l’animo umano possa immaginare.
La pedofilia che sfrutta il contatto naturale tra bambini e chiesa è ancora peggio: è subdola, usa le parole di dio per ingannare. E’ il prodotto migliore mai confezionato dal demonio.
Devi estirpare la pedofilia dalla tua chiesa, Francesco, devi lasciare che i bambini vengano a te con fiducia, con interesse, e con un sorriso sulle labbra che non debba essere mai spezzato da adulti malati.
Il sesso non è una cosa brutta, Francesco, lo riconosci anche tu, quando dici che il matrimonio deve portare alla riproduzione.
Non vorrei convincerti che sia giusto fare sesso senza un obiettivo così nobile, e solo per il basso piacere personale, so che non ci riuscirei.
Ma su una cosa vorrei sentire una parola da parte della chiesa: sapere che marito e moglie, in difficoltà economiche, possono usare il preservativo per non fare figli che non potrebbero mantenere. Non c’è soddisfazione, piacere, scopo da parte di dio e della sua chiesa nel portare alla povertà le sue pecorelle.
E se uno dei coniugi fosse malato, magari di una malattia contagiosa, anche qui, donagli il permesso di continuare ad amare suo marito o sua moglie come ha sempre fatto, senza per questo dover arrivare al sacrificio della propria esistenza.
Questo piccolo passo avanti ti spalancherebbe la porta della gratitudine e avvicinerebbe alla tua chiesa tanti fedeli delusi.
Non ti dico altro Francesco, se facessi anche una sola di queste cose, saresti il Papa migliore che io abbia visto finora in 50 anni di vita.
Tanti auguri, ne avrai bisogno.”
A seguito della lettera di cui sopra, vogliamo offrire a voi lettori un’altra nota, questa volta di un uomo di Fede, segnalataci da una nostra attenta lettrice, pubblicata prima dell’elezione di Francesco I°:
“Mi auguro – scrive il missionario – che i cardinali riuniti in conclave prima di eleggere il nuovo Papa ripassassero il patto delle catacombe che alcuni vescovi illuminati hanno sottoscritto in chiusura del Concilio Vaticano II.
Un testo profetico che fino a quando verrà ignorato, la Chiesa difficilmente sarà secondo il cuore di Cristo!!!
Il patto delle catacombe per una chiesa serva e povera.
Il 16 novembre del 1965, pochi giorni prima della chiusura del Vaticano II, una quarantina di padri conciliari hanno celebrato una Eucaristia nelle catacombe di Domitilla, a Roma, chiedendo fedeltà allo Spirito di Gesù.
Dopo questa celebrazione, hanno firmato il “Patto delle Catacombe”.
Il documento è una sfida ai “fratelli nell’Episcopato” a portare avanti una “vita di povertà”, una Chiesa “serva e povera”, come aveva suggerito il papa Giovanni XXIII.
I firmatari – fra di essi, molti brasiliani e latinoamericani, poiché molti più tardi aderirono al patto – si impegnavano a vivere in povertà, a rinunciare a tutti i simboli o ai privilegi del potere e a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale.
Il testo ha avuto una forte influenza sulla Teologia della Liberazione, che sarebbe sorta negli annHelder camarai seguenti.
Uno dei firmatari e propositori del Patto fu dom Helder Câmara, il vescovo brasiliano dei poveri ( 1909-1999)
Di seguito il testo.
Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i nostri Fratelli nell’Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia, ci impegniamo a quanto segue:
1) Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende. Cfr. Mt 5,3; 6,33s; 8,20.
2) Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente evangelici). Cf. Mc 6,9; Mt 10,9s; At 3,6. Né oro né argento.
3) Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc.; e, se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere sociali o caritative. Cf. Mt 6,19-21; Lc 12,33s.
4) Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli. Cf. Mt 10,8; At. 6,1-7.
5) Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre. Cf. Mt 20,25-28; 23,6-11; Jo 13,12-15.
6) Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi). Cf. Lc 13,12-14; 1Cor 9,14-19.
7) Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale al culto, all’apostolato e all’azione sociale. Cf. Mt 6,2-4; Lc 15,9-13; 2Cor 12,4.
8) Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati, senza che questo pregiudichi le altre persone e gruppi della diocesi. Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi o i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la vita operaia e il lavoro. Cf. Lc 4,18s; Mc 6,4; Mt 11,4s; At 18,3s; 20,33-35; 1Cor 4,12 e 9,1-27.
9) Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di “beneficienza” in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti. Cf. Mt 25,31-46; Lc 13,12-14 e 33s.
10) Opereremo in modo che i responsabili del nostro governo e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui, all’avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio. Cf. At. 2,44s; 4,32-35; 5,4; 2Cor 8 e 9 interi; 1Tim 5, 16.
11) Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi dell’umanità – ci impegniamo:
– a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere;
– a richiedere insieme agli organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria.
12) Ci impegniamo a condividere, nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio; così:
– ci sforzeremo di “rivedere la nostra vita” con loro;
– formeremo collaboratori che siano più animatori secondo lo spirito che capi secondo il mondo;
– cercheremo di essere il più umanamente presenti, accoglienti…;
– saremo aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione. Cf. Mc 8,34s; At 6,1-7; 1Tim 3,8-10.
13) Tornati alle nostre rispettive diocesi, faremo conoscere ai fedeli delle nostre diocesi la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro preghiere.
Aiutaci Dio ad essere fedeli.”