«Il giocatore non ha ragione di ricusare
Manifestazioni di ammirazione e amicizia sportiva»
«Il calciatore trascinato nel maleodorante
vaniloquio sulle frequentazioni, consapevoli
o inconsapevoli, con parenti di mafiosi»
ROMA – Vittorio Sgarbi difende il Capitano del Palermo Calcio, Fabrizio Miccoli, messo sulla graticola per le frequentazioni con il figlio di un presunto mafioso:
«Sono assolutamente certo della buona fede del grande Capitano del Palermo Calcio, Fabrizio Miccoli, ancora una volta trascinato nel maleodorante vaniloquio sulle frequentazioni, consapevoli o inconsapevoli, con parenti di mafiosi.
Qualunque chiamata in responsabilità di Miccoli impone, a maggior ragione, un severo riferimento, morale e giudiziario, al non inconsapevole rapporto del dottor Antonio Ingroia e del Procuratore di Marsala Alberto Di Pisa, con Michele Aiello (ritenuto dai magistrati “prestanome” di Bernardo Provenzano), dal quale entrambi hanno avuto utilità materiali in dimostrati interventi nelle loro abitazioni, senza che fino ad oggi i due magistrati abbiano chiarito, pubblicamente, perché proprio Michele Aiello fosse in rapporti di confidenza con loro. Non soltanto è evidente lo stringente parallelo con le vicende del Capitano Miccoli (che, peraltro, non è magistrato), ma, per l’evidente anomalia, si potrebbe configurare per i due magistati l’ipotesi di concussione.
Inutile dire che nel caso del Capitano Miccoli – conclude Sgarbi – la semplice frequentazione con il figlio di un presunto mafioso, ha a che fare con il tifo, la stima (che va concessa anche ai figli di presunti mafiosi) per un grande sportivo, il quale non ha ragione di ricusare manifestazioni di ammirazione e amicizia sportiva».