HONG KONG – Tra il 2003 e il 2009, solo 130 persone in Cina hanno donato i propri organi. A fronte di un milione di pazienti che necessitano di un trapianto, i donatori di organi sono un numero veramente irrisorio, anche se gli interventi effettuati sono nell’ordine di alcune migliaia.
Organi che fino a poco tempo fa si riteneva provenissero dalle esecuzioni capitali, fino a quando non è scoppiato lo scandalo che ha coinvolto politici, ospedali e trafficanti di organi.
Alla base del bassissimo numero di donatori, la superstizione secondo la quale una persona privata di un organo, rinascerebbe a futura vita con un handicap all’organo asportato.
Nonostante l’apparente carenza di organi da trapiantare, quando nel 2006 un giornalista della BBC andò in un ospedale pubblico nella città di Tianjin, fingendo di dover organizzare un trapianto di fegato per il padre malato, si sentì rispondere che in tre settimane l’organo sarebbe stato disponibile.
Una disponibilità che poteva derivare soltanto dal commercio illegale degli organi, come nel caso del 17enne che ha venduto un rene per 3.500$, facendone guadagnare ben 35.000 all’intermediario, o da brutali assassinii, come nel caso della coppia coreana in luna di miele in Cina, quando la giovane misteriosamente scomparve e poi il corpo venne ritrovato con molti organi mancanti.
La storia della coppia coreana, è stata portata nelle sale cinematografiche grazie ad un film-denuncia.
Ma è dai praticanti del Falun Gong (disciplina che cerca di migliorare il corpo, la mente e l’etica), che chirurghi, guardie carcerarie, militari e altri criminali, traggono enormi vantaggi economici.
A partire dal 1999, lo stato cinese ha represso il movimento Falun Gong, i cui principi fondamentali sono “verità, compassione e tolleranza.” Torture, lavori forzati e uccisioni, sono state le risposte del governo cinese a un movimento pacifico.
Decine di migliaia di praticanti del Falun Gong, hanno fornito la ‘materia prima’ per i trapianti d’organi.
Bastava una sola firma di un funzionario di polizia e il povero malcapitato finiva in un campo di lavori forzati. Il sistema, realizzato in Russia da Stalin e da Hitler nel Terzo Reich, fu copiato nel 1950 da Mao.
Se inizialmente questo consentì a società multinazionali di poter avere in subappalto manodopera a basso costo (sedici ore al giorno di lavoro senza paga e poco cibo), ben presto si è trasformato nella “fattoria degli organi”, dove la manodopera meno produttiva o ormai inutilizzabile, viene macellata e rivenduta sul banco carni di quegli ospedali, anche pubblici, che commerciano in organi.
Una stima del 2005 indica in 340 i campi di lavoro e in 350.000 detenuti, dei quali almeno la metà per il solo fatto di appartenere al Falun Gong.
Considerato lo scarsissimo numero di donatori volontari e il numero delle esecuzioni capitali effettuate in Cina, non è difficile comprendere come gli organi immessi sul mercato provengano in buona parte da questo sistema.
Al fine di impedire forme di schiavitù e ‘omicidi di Stato’ finalizzati al traffico di organi, la comunità internazionale farebbe bene a chiedere che cessi la repressione del Falun Gong; che vengano severamente puniti i praticanti del cosiddetto turismo del trapianto e che vengano liberati i prigionieri per fatti politici e di opinione.
Un segnale altrettanto forte, potremmo darlo noi cittadini, boicottando il commercio di articoli provenienti da Paesi che, come la Cina, hanno fatto dei prigionieri una risorsa lavorativa a basso costo e carne da macello per chi può pagarne gli organi.
Gjm