Negli ultimi anni quello che è stato il più grande patrimonio ambientale italiano “il sistema delle aree nazionali protette” ( Parchi Nazionali, Aree marine , e riserve naturali) si è talmente deteriorato da essere oramai sull’orlo di una crisi irreversibile che porterà le aree protette all’estinzione.
Le ragioni di questo disastro sono differenti tra i parchi nazionali e le aree marine protette.
Parchi nazionali
I parchi nazionali hanno una legislazione propria e godono di notevole autonomia, i fondi statali se pur In costante diminuzione , sono sempre arrivati e sono stati sufficienti per garantirne la sopravvivenza, i veri problemi sono altri gli stessi che affliggono molti settori pubblici italiani.
Nomine politiche , clientelismo e incompetenza.
Per i Parchi Le nomine sono determinate non in base alle competenze ma alle appartenenze, non solo politiche ma anche del mondo delle grandi associazioni ambientaliste che dagli incarichi dagli appalti e spesso dalla gestione di servizi traggono enormi risorse e vantaggi. Presidenti e direttori sono quasi sempre gli stessi da più di vent’anni e non è raro vederli ruotare da un parco all’altro. Molto spesso il denaro pubblico è destinato ad azioni che non hanno alcuna ricaduta né scientifica né territoriale ma semplicemente utile a finanziare determinate consulenze e determinati acquisti.
Mancanza di controllo della gestione.
Un’ ottusa burocrazia e le carenze di personale del Ministero dell’ambiente rendono impossibili i controlli, senza controlli le situazioni degenerano provocando i commissariamenti dei Parchi , incredibile il fatto che i commissari chiamati quali rappresentanti dello Stato per gestire una situazione di emergenza alla fine del proprio mandato vengono spesso nominati Presidenti del Parco generando così con un colossale conflitto d’interesse. E’ come se un commissario prefettizio diventa Sindaco del paese commissariato senza dimettersi dal proprio ufficio prefettizio e senza sottoporsi al voto popolare).
Aree Marine Protette
Per le aree marine la realtà supera ogni più catastrofica previsione, il taglio rilevante dei fondi e la loro assegnazione differenziata da parte del ministero ha di fatto fa sì che le AMP (aree marine protette) di fatto non esistono più, per comprendere la gravità della situazione riporto di seguito l’intervista del Presidente AIDAP (’associazione italiana direttori di aree protette)
Dal giornale il fatto quotidiano:
“La denuncia arriva dal presidente dell’Aidap “Non c’è un euro in cassa, stanno smembrando tutto”. E c’è chi prova a far da sé per evitare speculazioni dei privati e allontanare la mano della criminalità organizzata”
Pronti, via: inizia l’estate e con essa la lenta agonia delle 27 aree marine protette dello Stivale. Grattando il fondo del barile, restano pochi spiccioli per le attività di salvaguardia dell’ecosistema marino e per la valorizzazione turistica di territori dalla bellezza unica al mondo. In tal senso è preciso e documentato l’allarme di Antonino Miccio, direttore della Riserva Marina di Punta Campanella, che incastona alcuni dei gioielli più preziosi delle coste tra la penisola sorrentina ePositano in Campania, nonché presidente dell’Aidap (associazione italiana direttori e funzionari delle aree protette).
Nel 1999 il governo D’Alema stanziò 36 miliardi delle vecchie lire. E le aree protette erano soltanto 15. Taglia, taglia, nel 2012, e con un considerevole ritardo, il governo Monti ha appena approntato per le attuali 27 riserve solo 3 milioni e 600mila euro. Una cifra pari allo 0,0002 del Pil. “Che paese è quello che oltre a pensare di svendere i suoi beni culturali non investe nel mare, la risorsa più strategica del nostro turismo?” Miccio non si dà pace. Paradossi all’italiana. Nazione che prima costruisce un sistema di parchi all’avanguardia e poi si diverte a distruggerlo. Anche perché al contrario delle aree protette terrestri, istituite con leggi dello Stato e terreno fertile per la lottizzazione, qui siamo di fronte a enti gestori leggeri e agili, meno permeabili alla politica politicante delle spartizioni e delle consulenze.
Solo che a furia di tagliare e smagrire, stanno per mancare fondi e risorse umane indispensabili alla sopravvivenza. Emanuele Mollica è il direttore della riserva marina Isole Ciclopi, in provincia di Catania, gestita da un consorzio tra gli enti locali e l’Università. “Ma sono un direttore che non dirige nessuno. Ai sei dipendenti dell’ente il contratto a progetto è scaduto”. Dal governo Monti risuona lo stesso verbo pronunciato in altri campi: autofinanziatevi. Trovate da soli il modo di andare avanti. Altrimenti – è il senso di una nota del ministero in corso di elaborazione – troveremo altri enti gestori. “Ma per avviare attività di promozione turistica che abbiano una ricaduta economica nelle casse dell’ente – ribatte Mollica – serve personale: per elaborare i piani di comunicazione, per spingerli, per tenere i contatti. E io sono rimasto solo con questo circolo vizioso. E’ una situazione drammatica”.
E quella riflessione sull’autofinanziamento dei parchi marini suona sinistra. Apre il campo all’ingresso di imprenditori privati. Ma profitto e tutela ambientale spesso vanno in conflitto. Senza dimenticare gli interessi delle mafie. Molte riserve marine ricadono in regioni dalla forte incidenza della criminalità organizzata, cui fa gola il business della pesca di frodo e dei datterai. Sull’oasi diPunta Campanella, per fare un esempio, si è allungata la mano dei clan della zona stabiese-vesuviana. I controlli spettano alle Capitanerie di porto, che lavorano giorno e notte per contrastare i reati marini. Ma senza il prezioso supporto finora garantito dalle attività di volontariato dell’ente gestore dell’area protetta. “Avevamo un gommone con cui insieme alle associazioni ambientaliste organizzavamo uscite diurne per spiegare ai diportisti i vincoli del Parco, dove potevano ancorare e dove invece non potevano per salvaguardare la posidonia, e uscite notturne per denunciare i pescatori di frodo – ricorda Miccio – ma l’ho dovuto permutare e ora non abbiamo neanche un mezzo. I continui tagli, oltre a sacrificare le attività di ricerca e divulgazione scientifica, stanno consegnando il mare alla criminalità organizzata”.
Alle Isole Ciclopi proveranno a tirare avanti attraverso la gestione di un albergo confiscato alla mafia. Ci hanno ricavato gli uffici dell’ente, ma sono rimaste otto camere per i clienti. “Ci concentreremo in questo campo perché in qualche modo dobbiamo trovare i soldi per il personale – conclude Mollica – cosa che faremo anche curando con maggiore attenzione la raccolta delle tasse per il rilascio dei permessi di nostra competenza: per ancorare, per pescare, per fare attività subacquee. E trascureremo le attività di educazione ambientale, che non producono ritorni economici”. Ma le riserve marine erano nate anche per questo.
Questa la situazione riportata da chi comunque fa parte del sistema e quindi condizionato.
Quali le soluzioni? La politica ed i sapientoni di turno propongono una nuova legge che sostituisca la legge quadro n.394. in sostanza cambiamo tutto perché nulla cambi .
La 394 è ancora oggi una legge straordinaria è inutile cambiarla, facciamo un’altra cosa, istituiamo una commissione parlamentare d’inchiesta sui parchi e sulle aree protette italiane, vediamo da chi e come sono stati spesi e gestiti i soldi degli italiani in un settore vitale della vita nazionale di cui nessuno parla più perché oggi nel nostro paese ambiente sono solo le (pur importanti) tematiche energetiche e quelle dei rifiuti, .
25 Luglio 2012
Elio lanzillotti