Francesco Paolo Oreste, autore del libro “… mi son visto di spalle che partivo… – Tra scegliere e restare ho preferito il mare”, ci regala ancora una volta uno spaccato di vita vissuta, frutto della terra che queste vite ha partorito.
Di Francesco Paolo Oreste, poliziotto, barricadiero, poeta, avevamo già scritto.
A Ninì,
che dinanzi all’ultimo specchio
scoprì di non guardarsi
e sorrise al passo
che ritornava lieve.
“10 Storie Sbagliate. Più Una”. Le tante storie che si attorcigliano attorno la vita di un uomo che, ora spettatore, ora protagonista, le osserva, le vive e le descrive.
Prefazione
Se non potessi nemmeno scriverle, rinchiuderle in una gabbia di fogli, farfalle sporche, sicuramente fuggirebbero via, per la vergogna, per dissimulare il dolore in un battito di colori sbiaditi.
Sono storie sbagliate, non le vorrebbe nessuno, nemmeno io, sono facce cattive e gabbiani del malaugurio, sono storie sbagliate, che cercano di perdersi, di scappare lontano.
Se non potessi nemmeno scriverle si farebbero dimenticare, porterebbero via con sé la puzza e lascerebbero il veleno, seppellito, piantato tra vicoli e campi seminati a peste e amore.
Sono storie sbagliate, errori e orrori, amori, piccole speranze seppellite nella verità.
La storia di Ninetta. Di un comodino in un angolo tra due letti a castello, come un arbitro tra due pugili, a destra Salvatore e Antonio, a sinistra Nicola e Domenico, sul comodino Teresa, la femminuccia, non fate la lotta pure con lei, e non salite con i piedi sul letto, stasera pane condito, si, come ieri sera, Salvato’ a te lo lascio il pomodoro dentro? Di Ninetta, che non è mamma e ha cinque figli. Di Ninetta che lava, stira e cucina, e ha i capelli neri e l’anima bianca. Di Ninetta, che è un brava ragazza, ma i fratelli sono due infami e per la fine del mese le guardie dovranno portarsela via.
Ma anche storie diverse, come quella di “Birillo che trotterella tra la casa delle fate ed il libro dei cuccioli Sara non c’è. E’ nella stanza della nonna, ha il pigiamino, i segni del cuscino sulla guancia e tanto, tanto sonno. Il pigiamino di Sara è il pigiamino di Trilli, come quello della mia Chicca, la mia Trillina, mia figlia, Sara invece è la figlia di Peppe e Peppe vende la roba”. Birillo, piccolo e brutto, che galoppa con le gambe corte e ed il naso stretto, lungo e nero.
Tra le “dieci più una”, ne abbiamo scelta una per voi. Non una più sbagliata, né più giusta. Solo una. una tra le dieci più una. una tra le centinaia, le migliaia, che affollano la nostra quotidianità senza che noi ce ne accorgiamo. Ma Francesco Paolo Oreste se ne accorge. Se ne accorge il poliziotto, il barricadiero e anche il poeta…
Giuditta
Una spiaggia ai piedi del letto
stazione Termini ai piedi del cuore
una notte un po’ concitata
una notte sbagliata.
Faber
Ore. 14.00
Il 24 di dicembre la nuova stazione è già vecchia di sporco, Maria ha nove mesi di pancia ed una borsa a sacca, cinque euro, un pacco di fazzolettini ed è appena scesa dal diretto delle due.
Oggi trova casa, si liberano le due stanze di zia Filomena, la sorella di papà, quella che ancora le parla. Papà invece non la vuole più vedere, eppure la nonna aveva diciassette anni quando è nato papà, ma non c’entra Marì, la nonna era sposata, il nonno lavorava, aveva fatto la guerra, e aveva una casa. Tu per tuo padre sei una zoccola e gli hai messo lo scuorno in faccia.
Brigadiè qua la gente è così, alla faccia ci tiene più che alla dignità.
Zia Filomena invece allo scuorno non ci aveva mai dato troppo peso, era partita da zero e di scuorno in scuorno era passata dal niente ad un basso e poi all’appartamento nelle palazzine popolari ed ora se ne andava a stare da un signore vero, don Mimì, qualche anno in più di lei, trenta in più, ma un signore, un signore che aveva perso la testa per lei. Era ancora bella zia Filomena, bella e senza scuorno e don Mimì le aveva detto “le feste ce le facciamo insieme Filome’, te ne vieni a vivere da me, non tengo niente da vedere con nessuno”. Amen.
E la casa alla Piccionaia, quella nelle palazzine popolari, la zia Filomena l’aveva lasciata il 23, ed il 24 ci poteva andare Maria. Stazione Termini, prendi il due rosso che ti porta a via de Andrè, scendi alla fermata vicino alla fontana, imbocchi il vialone che trovi alle spalle di Garibaldi, duecento metri e arrivi alla “Piccionaia”.
Scala C, quinto piano, interno 15, due rampe di scale da venti gradini per ogni piano fa duecento, le chiavi dietro al contatore della corrente elettrica e statti attenta ai fili, e le chiavi ci sono, i fili pure, ma l’interno 15 non c’è, il 14 si, il 16 si, il 15 no, il 14 è Gagliozzi, il 16 è Pipitaro e il 15 è un muro in mattoni al posto della porta. Gagliozzi si sarà allargato, o forse Pipitaro, probabilmente tutti e due, e futtete Marì, poteva mai essere che avevi un po’ di ciorta anche tu? La fortuna la tengono i fortunati, tu tieni le mani, le gambe e tutto quello che riesci a non farti fregare.
Ore 16.00. Cinque euro. Due euro di panino, cinquanta centesimi d’acqua, cinquanta centesimi per chiamare Giuseppe, cinquanta centesimi persi, risponde e attacca, Giuseppe ha preso il largo, ventidue anni in fondo sono pochi, mica ha fatto la guerra come il nonno, e non lavora, per lui è solo un guaio Maria, e quando risponde Giuseppe…
Restano due euro e un po’ di fame.
Due euro… chi chiamo? Zia Filomena? La casa famiglia? Papà? Sta creatura ancora deve nascere e già deve chiedere il piacere di poter campare. Una casa, una mamma ed un papà, il nido, poi i desideri, i sogni, le delusioni, ci sono cose che si dovrebbero avere con il modello base e invece no, sta creatura nasce con una mamma bambina e la buonanima di un padre vivo e sperso.
Loro ci avevano provato a farla ragionare, loro, prima Giuseppe e poi pure papà, “e come si fa”, Giuseppe, “che scuorno”, papà, “non lo possiamo tenere” Giuseppe, “non lo puoi tenere” papà, tutti d’accordo, “ ma la creatura è mia e me la tengo”, Maria, e papà l’aveva cacciata, e Giuseppe era sparito e Maria se ne era andata, e vafanculo a Giuseppe. E pure a papà.
Due euro Maria se li tiene in tasca e se ne torna alla stazione, poi si vede.
Ore 17.00. La creatura butta calci, è viva, è forte, è bella, è di Maria, ogni calcio è dolore, ogni calcio è gioia, ad ogni calcio il viso di Maria si contrae in una smorfia d’amore.
Ore 18.00. Alla vigilia i treni passano fino alle due, anche i ferrovieri hanno il diritto di sedersi a tavola con la famiglia ad abboffarsi e a scartare regali.
Maria intanto comincia a sentire freddo e intanto pensa se farsi arrestare o farsi ricoverare: la stazione è fredda, una mamma brava non se ne deve stare al freddo con una creatura piccola nella pancia, gli unici due tetti sicuri che le vengono in mente sono il commissariato e l’ospedale, ma l’ospedale è troppo lontano, un altro comune, più vicino il commissariato, magari mi portano loro in ospedale, magari mi portano in volante, in ospedale ci arrivo volando, tra sirene e luci blu.
Maria esce dalla stazione, raccoglie un sasso e va a costituirsi.
Ore 18.30. Venti ragazzini rom ed il piantone, Maria entra nel commissariato e trova un asilo. Venti ragazzini tra i sette e i dieci anni, quelli che ti guardano negli occhi e ti chiedono qualcosa, quelli che non li devi guardare negli occhi altrimenti sai che finisci per dargli qualcosa, tutti in commissariato. Oggi c’è l’operazione “Buon Natale”: nessun mendicante tra i piedi mentre la gente se ne va in giro a fare regali e a scambiarsi il “Buon Natale”, e allora commissariato dalle otto del mattino alle otto di sera per tutti i ragazzini che mendicano, operazione Buon Natale perfettamente riuscita. Buon Natale.
Ore 19.00. Maria si costituisce al piantone di turno che si rifiuta di arrestarla: è minorenne, è incinta, non ha commesso alcun reato ma Maria lo minaccia con un sasso, brigadiè mi dovete arrestare, i ragazzini si mettono a fare il tifo per Maria, il piantone sbatte tutti quanti fuori dal commissariato, chiude il portone e vafanculo, che per mille e pochi euro al mese devo lavorare la sera della vigilia e mi tocca pure avere a che fare con pazzi, zingari e bambini.
Il corteo esce dal commissariato ed inizia la processione: Maria, con la sua pancia immensa, una mano sui reni ed una sotto la pancia, due zingarelli ai lati della ragazza con la pietra a farle da scorta e a venerare il loro nuovo mito, poi tutti gli altri, in ordine sparso e disperso, che si guardano intorno alla ricerca di regali di Natale, come una bicicletta poggiata a un muretto e senza lucchetto.
Ore 20.00. Maria, seduta su una canna di una bicicletta, e venti ragazzini rom entrano nel campo nomadi, i ragazzini raccontano al capoclan che Maria ha minacciato il poliziotto con un sasso e lui li ha lasciati andare via, la ragazza è piccola e sta per partorire, c’è una roulotte in fondo al campo, puo’ fermarsi un po’ lì, ma poi se ne deve andare, prima possibile, questo posto è nostro, stranieri non ne vogliamo, una volta che li lasci entrare e fare quel che vogliono non te ne liberi più.
Ore 21.00. Una stella cadente, che non cade del tutto, si ferma a un centinaio di metri d’altezza sopra la roulotte in fondo al campo, e splende, e illumina il campo, e lo scalda.
Maria rompe le acque, Ionut, dieci anni le tiene la mano, Dumitru, sette anni corre a chiamare una delle mamme anziane del campo, in bicicletta, velocissimo, vola.
Ore 22.00. I primi gruppi di curiosi si affollano alle porte del campo, c’è freddo e chiacchiericcio, una luce così bella sul campo degli zingari mi sembra un’ingiustizia, poi dicono che non ci sono soldi per riparare le strade, e poi guarda come illumina, chissà quanto consuma, vorrei sapere chi paga, sarà il solito inutile progetto di solidarietà natalizia, stavolta aiutiamo gli zingari, loro rubano i fili elettrici e noi gli regaliamo la luce, una vergogna!
Ore 23.00. Tre strani stranieri entrano nel campo con passo pavido e occhi temerari, si guardano intorno, guardano in alto, guardano la stella e la roulotte, e ognuno di loro ha in mano un pacco. Forse non sono tutti e tre stranieri, uno si, sicuramente, è nero, qualcuno dei curiosi dice che sembrano vestiti come dei re, qualche altro dice che sembrano vestiti come dei pazzi, e poi c’è quello nero, chissà se lui il permesso ce l’ha, e chissà quei pacchi dove li hanno presi, e tutto alla luce del sole, anzi di questa stella luminosa, questi vengono a casa nostra e fanno quello che vogliono. Bisognerebbe fare qualcosa.
I tre strani stranieri si fermano dinanzi alla roulotte di Maria, posano i doni per terra e si inchinano in segno di saluto. Quando si rialzano è sparito un pacco.
Ore 23.30. I gruppi di curiosi sono tanti, rumoreggiano, qualcuno brinda, qualche altro ha acceso un fuoco, altri stanno in silenzio e guardano. Sembrano tutti convinti che si debba aspettare, e guardare, qualche altro continua a dire che bisognerebbe fare qualcosa, e la stella continua a brillare, ed i tre strani stranieri restano in piedi davanti alla roulotte, e aspettano.
Ore 24.00. Ionut esce dalla roulotte con un sorriso a trentatre denti, la creatura è nata, è nata Giuditta, è bella, salverà il mondo, porta la verità, infatti piange.
Ore 00.30 La roulotte di Maria è avvolta da una luce sempre più forte, da un calore sempre più intenso, qualche curioso più curioso degli altri ha dato fuoco alla roulotte alle spalle della sua, bisognava pur fare qualcosa. Qualcuno giura di aver visto lo strano straniero di colore nero girare intorno alla roulotte qualche minuto prima che prendesse fuoco, c’è sempre uno straniero di mezzo quando succede qualcosa di brutto.
E in un attimo il caldo diventa eccessivo, inghiotte tutto, pure i ricordi, e tutto è sommerso da cenere bagnata e fumo, tutto, tranne una bicicletta, un ragazzino e Giuditta, che respira, piange, vive.