Prove di laboratorio su campioni di acciaio per calcestruzzo armato ordinario.
Acciai non legati in barre.
Normative di riferimento ().
Prove a trazione. Campo: sollecitazioni statiche.
Parametri.
Modulo di elasticità.
Carico unitario di snervamento (limite elastico).
Resistenza a trazione (carico massimo).
Allungamento minimo a rottura.
Durante la fase elastica il diagramma che rappresenta il comportamento meccanico degli acciai da costruzione assume un andamento lineare: al crescere del carico cresce la deformazione (allungamento per trazione) del campione. Raggiunto il carico di snervamento inizia la fase plastica: la deformazione cresce a carico invariato. Segue una fase incrudente: il carico cresce fino al carico massimo. Raggiunto il carico massimo per effetto della strizione il carico diminuisce mentre la deformazione continua a crescere fino alla crisi del materiale e alla successiva rottura per eccesso di deformazione.
Fine.
Prova di Charpy o della resilienza. Campo: sollecitazioni impulsive (urti).
La prova di Charpy valuta la resistenza del materiale a frattura e flessione. Ne calcola la tenacità. La tenacità è l’energia che un dato campione è capace di assorbire in campo elasto-plastico, durante tutta la prova, fino alla rottura. La resilienza è l’energia che il campione può assorbire in campo elastico, fino allo snervamento o alla deformazione plastica. Alcuni metalli si rompono per deformazione. Sono quelli duttili. Altri si rompono per rottura fragile, senza deformazioni, senza preavviso. L’indice di fragilità, che è il reciproco di quello di resilienza serve a stabilire in quali campi è utilizzabile un metallo piuttosto che un altro. In alcuni casi può non essere tollerabile una deformazione permanente. In altri è preferibile una deformazione ad una rottura fragile. La resilienza diminuisce al decrescere della temperatura. Aumenta la fragilità. Un materiale duttile diventa fragile.
Fine.
Fatica.
La fatica è un fenomeno meccanico per cui un materiale sottoposto a carichi variabili nel tempo (in maniera regolare o casuale, “cicli”) si danneggia fino a rottura, nonostante l’intensità massima dei carichi sia sensibilmente inferiore a quella di rottura o di snervamento del materiale stesso. La fatica è il fenomeno responsabile della grande maggioranza (oltre il 90%) dei cedimenti di organi di macchine. In seguito ai cicli di carico nel materiale si producono micro fratture (cricche) superficiali che aumentano di dimensioni e profondità ad ogni ciclo successivo di carico fino a ridurre la sezione resistente. La sezione ridotta non è in grado di sopportare il carico previsto per la sezione di partenza. Il materiale si rompe di schianto.
Fine.
No.
La fatica è una specie di memoria storica del materiale. Il materiale ricorda gli sforzi cui è stato sottoposto. E diventa ogni volta più stanco. Anche se non fa freddo e non è fragile. Anche se è duttile. Anche se sa deformarsi – fino ad un limite massimo. Anche e persino se è uno di quei materiali a memoria di forma, capace cioè nei cicli di scarico di tornare ad assumere la forma iniziale. Si stanca, finché si rompe, di schianto. Il materiale.
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In ecologia e biologia la resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno.
La resilienza di un ecosistema indica la sua capacità di tornare ad uno stato simile a quello iniziale dopo avere subito uno stress. Lo stress può dipendere da eventi di tipo antropico (inquinamento, cambiamento climatico, disboscamento) o di tipo naturale (terremoti, frane, incendi).
Ecosistemi caratterizzati da forte variabilità di molti fattori ambientali, hanno una forte resilienza agli eventi naturali. Le specie tipiche di questi ambienti sono in grado di ricolonizzare velocemente le aree distrutte. E’ un buon esempio la macchia mediterranea. Ecosistemi nei quali i parametri ambientali sono rimasti pressoché immutati per millenni, hanno invece scarsissima capacità di rigenerarsi. E’ il caso di alcuni ecosistemi tropicali come la foresta pluviale o la barriera corallina.
In un ecosistema quindi ad una maggiore variabilità dei fattori ambientali corrisponde una alta resilienza delle specie che vi appartengono.
Fine.
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In psicologia, la resilienza è la capacità di affrontare in maniera positiva gli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi.
La resilienza può essere vista come una funzione psichica che si modifica nel tempo in relazione all’esperienza e ai meccanismi mentali attivi all’epoca in cui l’esperienza stessa si forma. In tal senso una buona resilienza è frutto dell’integrazione di elementi istintivi, affettivi, emotivi e cognitivi. Resilente è la persona in grado di giudicare non solo i benefici ma anche le interferenze che si determinano nei rapporti con gli altri e con il mondo esterno.
La psicologia delle catastrofi applica il concetto di resilienza a intere comunità. Analizza in pratica la capacità di reazione di contesti sociali in seguito al verificarsi di gravi catastrofi naturali o antropiche (eventi terroristici, guerre, rivoluzioni). In alcuni casi i processi economici e sociali in conseguenza del trauma-catastrofe, smettono di svilupparsi e restano in una continua instabilità o peggio collassano: la comunità si dissolve, si disperde, attraverso fenomeni come diaspore e migrazioni, che provocano poi ulteriori danni a livello individuale. In altri casi invece sopravvivono, anzi, trovano nuova forza e risorse per una nuova fase di crescita e di affermazione. Una comunità resiliente è una comunità nella quale sono forti i fattori identitari, la coesione sociale, la condivisione di intenti e valori.
Fine.
No.
Inizio.
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Marco ha quasi cinquant’anni.
Vive in una grande città del sud Italia. Del sud di questo paese si raccontano meraviglie sull’ospitalità, il calore, il buon cuore della gente che lo popola. Vere. Ma questi intenti, questi valori, questa coesione, questi fattori identitari hanno un limite. Che non è sempre l’egoismo dell’individuo. A volte si chiama paura. Non dell’altro. Non della perdita. Del futuro. La comunità non si è dissolta, non si è dispersa, ma è collassata. Non può chiamarsi comunità una accozzaglia di individui che lottano per la sopravvivenza, uno contro l’altro, persino dentro casa. Fratelli contro fratelli.
Marco ha quasi cinquant’anni.
Non è un ragazzino e di esperienze ne ha fatte abbastanza. Anche di traumi ne ha avuti abbastanza. Ed è stato forte.
Ha perso suo padre che ancora studiava, ma si è rimboccato le maniche, ha lavorato di giorno e studiato di notte.
Ha perso sua moglie in un incidente, ma si è organizzato e ha cresciuto suo figlio.
Ha amato una donna che lo ha lasciato, ha amato amici che lo hanno tradito, ma si è rimboccato le maniche, e anche il cuore, e ha scelto di amare ancora.
Marco ha quasi cinquant’anni.
Ha vissuto sempre qui perché di questa terra si è sentito parte. E perché questa terra non era la terra chiusa di un tempo. Ha girato da ragazzo ed ha visto tanti paesi. E il suo gli è sembrato un paese vivo e in fermento al pari e meglio di tanti. In grado di offrire percorsi e mutevoli mete ad ogni sogno, desiderio, progetto che una mente libera fosse in grado di partorire. Un sistema capace di rigenerarsi. Grazie alla forza dei suoi abitanti, delle sue risorse, delle sue ricchezze, della versatilità, dell’intelligenza. Si è sentito parte di tutto questo. Una lucertola. A cui tagli la coda e lei sa che le ricresce.
E gli è ricresciuta. Tante volte. Tutte le volte che gliel’hanno tagliata.
Perché Marco ha quasi cinquant’anni. E ha perso il lavoro per il quale ha studiato. Di notte, perché di giorno c’era da lavorare per poter studiare. Ma si è rimboccato le maniche e si è inventato altro. Poi è finito anche quello. E si è rimboccato le maniche, e anche l’orgoglio stavolta, ed ha fatto altro.
E poi altro, poi altro, poi altro. Cicli su cicli su cicli. Sempre di meno, per sempre meno. Rimboccandosi sogni, desideri, progetti. Poi appetiti. Poi rimboccando quelli di suo figlio. E la sua dignità.
Davanti allo specchio sono ormai anni che si cerca la coda che non gli ricresce.
Marco ha quasi cinquant’anni. Ed è stanco.
Perché al sud fa caldo e lui non è stato fragile.
Perché ha raggiunto ogni limite ma non si è spezzato.
Perché si è deformato, piegato, umiliato.
Ma le sue mani, le spalle, i suoi occhi ricordano tutta la sua fatica.
Ne hanno memoria. E di fatica ci si rompe di schianto.
Marco è stanco.
E Sisifo è solo un mito.