10 ottobre 1999. Potrebbe essere un giorno come tanti altri. E forse così è stato per Ignazio Cutrò, fin quando non riceve la telefonata del nipote. In contrada Canfutino, una pala meccanica aveva preso fuoco.
Una scena ancora viva nella mente dell’imprenditore. Le fiamme che avvolgevano il mezzo meccanico, il padre con l’estintore in mano, i carabinieri e le guardie forestali che tentavano d’impedire all’uomo di avvicinarsi alle fiamme.
Quel dovere che impone alle forze dell’ordine di preoccuparsi prima di tutto della vita delle persone, e poi, laddove possibile, dei beni.
Ma per l’imprenditore Ignazio Cutrò e suo padre, quel “bene” significa pane. Significa vita. Riescono a domare le fiamme… Ma tutto quello che resta, è lo scheletro di un mezzo di lavoro ormai distrutto. “Maledetta cattiva sorte… Maledetto quel corto circuito che ha distrutto il mezzo…”. Questo pensa Cutrò, mentre, forse con un nodo in gola, guarda un filo di fumo nero che ancora si leva verso il cielo in una sera d’ottobre.
Quanti sacrifici, distrutti dalle fiamme… A scuoterlo dai suoi pensieri, la voce del maresciallo dei carabinieri che lo invita ad andare in caserma a sporgere denuncia. Denuncia? Denuncia di che? Cutrò non si è ancora reso conto di nulla. È il maresciallo che gli fa notare i fili d’acciaio di quelli che erano i copertoni che mani ignote avevano posto sotto la pala meccanica per appiccare il fuoco.
È così che Cutrò presenta la sua prima denuncia contro ignoti.
Da quel momento è un susseguirsi di minacce e intimidazioni, fino al 2006 quando Cutrò decide di diventare un testimone di giustizia, denunciando i suoi estorsori. L’operazione “Face off”, avviata grazie a Cutrò, porta dietro le sbarre i fratelli Luigi, Marcello e Maurizio Panepinto che nel gennaio 2011vengono condannati ad un totale di 66 anni e mezzo di carcere.
Morici: Cutrò, lei di recente, in un articolo, è stato definito “pentito”…
Cutrò: Pentito io? E di cosa dovrei pentirmi, di aver creduto nello Stato? Il “testimone di giustizia”, è chi come me denuncia un fatto del quale è stato testimone o vittima, mentre un “pentito”, è colui che prima d’esser tale è stato comunque un mafioso. Sarà anche un valido strumento ai fini delle indagini, ma per me resta sempre colui che mi ha fatto del male, mi ha ucciso la speranza, ha ucciso una parte di me… Mafioso era, mafioso è, mafioso resta…
M: Da quando lei denunciò le estorsioni, com’è cambiata la sua vita?
C: Ha idea di cosa significhi vivere sempre sotto scorta? Lei non può neppure lontanamente immaginare cosa significhi vivere in queste condizioni. Non poter più lavorare, ritrovarsi isolato, guardato anche male…
M: Ma i suoi amici, i suoi paesani, i suoi parenti…
C: Amici e parenti? Quali, quelli che venivano prima a mangiare a casa mia e sono poi spariti come neve al sole? Forse la cosa che più mi fa male è proprio questa. I mafiosi, tra loro fanno gruppo. Le famiglie si aiutano l’un l’altra… L’esatto opposto di quello che succede alla gente come me, come Libero Grassi, come tanti altri che si rifiutano di piegare la testa. La gente ci isola, ci allontana… Non c’è gruppo… La gente ha paura d’aver coraggio… E isolandoci, spegnendoci i riflettori, ignorandoci, ci rendono facile bersaglio… Questi giorni di festa, a me mettono solo tanta tristezza nel cuore. Pochi gli amici che mi sono rimasti accanto… Se non fosse per parte delle forze dell’ordine, della magistratura, di quei pochissimi che ancora mi stanno vicini e per uomini come il generale Amato, che mi è stato di grande aiuto anche sul piano umano, oggi sarei soltanto un uomo solo. Anzi, peggio. Un uomo con la sua famiglia, lasciati soli. È a questi uomini che va il pensiero e il ringraziamento mio e dei miei familiari.
M: Alcuni sostengono però che lo Stato dà molte agevolazioni a quanti decidono di ribellarsi al racket, di dire “NO”…
C: Vogliamo chiamare “agevolazioni” il dover lasciare il proprio paese, l’essere trasferiti all’estero e magari tornare in Italia per andare a vivere fuori dalla propria terra? E se anche così fosse, io questo stesso l’ho rifiutato… Non voglio vivere d’assistenza pubblica. Io voglio lavorare. Né io né i miei familiari vogliamo lasciare questa nostra terra. E su questo siamo decisi, da qui non andremo via… Io la mia scelta l’ho fatta ed è stata quella di stare dalla parte dello Stato. Decida ora lo Stato da che parte stare e cosa dobbiamo fare…
M: Già, lo Stato… Quello Stato che ha permesso che a lei arrivasse una cartella esattoriale di quasi 86 mila euro?
C: Ormai è saputo e risaputo quello che sta accadendo. A seguito della non accettazione, da parte di alcuni enti previdenziali e fiscali Statali, della sospensione dei termini di scadenza rilasciata dalla Prefettura di Agrigento, come previsto dall’art. 20 della legge 44/99, oggi, da procedura per le somme non pagate che già dovevano essere bloccate da quel provvedimento, la Serit agenzia per la riscossione invia una comunicazione preventiva ipotecaria che avrà effetto dopo un mese dal suo arrivo se ovviamente non si pagano i quasi 86 mila euro tra interessi ed arretrati. La Serit indubbiamente sta solo seguendo la sua scaletta burocratica, non gli si può dare una colpa ne all’ufficio scrivente ne tanto meno alla mafia arrivata a questo punto, perché parliamo di burocrazia Statale in questo caso. In effetti, vige una normativa che dovrebbe tutelare le persone che denunciano, i cosiddetti “Testimoni di Giustizia” (ovviamente quelli riconosciuto dalla Commissione Centrale di Sicurezza) che a seguito dell’impegno preso con la magistratura vengono aiutati nel reinserimento sociale, ed anche nel campo lavorativo per i Testimoni di Giustizia che restano sul luogo d’origine. Purtroppo sarà stata per colpa delle vacanze natalizie, almeno spero, perché l’articolo 12, comma 4 del DM 23 aprile 2004, n.161 recita:
Art. 12.
(Testimoni di giustizia)
4. La Commissione, a mezzo del Prefetto, cura che il testimone permanga nella località di origine e prosegua o riprenda le attività ivi svolte, sempre che non sussistano esigenze di sicurezza che rendano necessario il trasferimento in un luogo protetto, a cura del Servizio centrale di protezione.
Si è vero che la legge è ad interpretazione, ma quel detto più famoso dice che “la legge è uguale per tutti”. Non si mette in dubbio il lavoro di nessuno, l’operato di nessun ufficio, si vuole solo trasmettere la concretezza di quello che sta accadendo oggi, e si sta facendo di tutto per evitare che accada domani, quando altri imprenditori decidono di liberarsi del morbo mafioso, così avviando un cammino verso la legalità più libero e limpido del mio. Non abbiate paura, imprenditori, quello che sta accadendo oggi qua a me è colpa nostra, si, perché mai nessuno si era avventurato per il sentiero della denuncia, quindi anche la macchina burocratica non era pronta, ma ormai si spera che tutto si risolva nel più breve tempo possibile, perché credo nella Giustizia, nello Stato, nonché nelle figure che lo rappresentano nella provincia di Agrigento: la Prefettura, che spero presto riescono ad attivare le varie procedure per dimostrare che lo Stato esiste e sta accanto di chi vuol andare a braccetto con Esso.
M: E se lo Stato non rispondesse?
C: Dopo l’Epifania, inizierò la mia protesta. Farò lo sciopero della fame e della sete. Forse ne morirò, ma nessun mafioso mi vedrà mai piangere… Non intendo più parlare con i funzionari della Prefettura di Agrigento… Questa volta, sarà il Ministro o il suo Sottosegretario a dovermi sentire… La lotta alla mafia, non ha colore politico e sono grato a tutti coloro che ci sono vicini. Questi anni, mi hanno lasciato addosso tante cicatrici, ma mi hanno fatto diventare un Uomo. Un Uomo che oggi non si arrende e che è più che mai determinato…
M: I mafiosi?
C: Sono soltanto dei parassiti…
M: Lei chiude sempre i suoi discorsi…
C: Sì… Li chiudo sempre così: “In culo alla mafia…”… Morici…un’ultima cosa… ricordati… meglio morire, che vivere senza vita…
Grazie Ignazio Cutrò. Quella di oggi è stata un’altra bella lezione di vita che ho appreso. Buon Anno a te e alla tua famiglia, ma anche ai tanti piccoli grandi eroi che ogni giorno, come te, trovano la forza di ribellarsi e dire “NO”.
In culo alla mafia Ignazio… Me ne ricorderò…
Gian J. Morici
& proprio x TUTTO q morire NO però.
In culo alla mafia!!! Facciamone un nuovo slogan. Che anche lo Stato debba sentire.
Gentile direttore ,e poi si lamentano che non c’é collaborazione da parte dei cittadini .