Hisayasu Sato è, al di là di ogni ragionevole dubbio, uno dei cineasti più radicali della scena contemporanea. Il meno risolto, il più malato. Sin dai suoi esordi negli anni ’80 ha esplorato le proprie visioni e ossessioni coniugando nella sua opera la sottocultura porno all’avanguardia. I suoi lavori (circa 50 film in meno di dieci anni) affrontano i temi del vuoto e dell’alienazione sociale attraverso la violenza e il fanatismo dei suoi antieroi. Un panorama delirante di maniaci stupratori che vivono in oscuri seminterrati o in cisterne vuote, di scolarette paranoiche separate dal mondo reale come uteri dal ventre, di burattini animati da un mondo virtuale di desideri distruttivi e fatale follia. In una cornice di estremo concettualismo, Hisayasu Sato descrive uno scenario terminale: feticismo, perversione, nevrosi, omosessualità, voyeurismo, suicidio. Ma il lavoro del cineasta giapponese pone soprattutto le questioni radicali del senso della riduzione letterale delle immagini e dei limiti della rappresentazione, annunciando in qualche modo la morte del cinema e la sua frenetica decomposizione attraverso un processo (spesso doloroso, talora contorto) di metaforizzazione per eccesso di realtà. Il senso del suo lavoro è affidato alle parole dello stesso Hisayasu Sato: “Voglio fare un film che faccia impazzire gli spettatori, che li spinga a commettere un omicidio.”
Beniamino Biondi è nato il 12 maggio 1977 ad Agrigento. Poeta e saggista, si occupa di teatro e cinema. Collabora con riviste di letteratura e critica cinematografica, cura rassegne di cinema d’autore e svolge attività di drammaturgo e regista teatrale. Come relatore partecipa inoltre a numerosi convegni e giornate di studio. Ha curato l’edizione delle poesie complete del filosofo Aldo Braibanti ed ha pubblicato numerosi volumi di scrittura creativa e critica. In uscita nei prossimi mesi uno studio sul cinema messicano degli anni ’70 e un volume sul nuovo cinema greco.